Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1414 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. III, 20/01/2017, (ud. 27/06/2016, dep.20/01/2017),  n. 1414

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3001-2013 proposto da:

E.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SILVIO PELLICO 24, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE VALVO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO BRESCHI

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIPOL ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore dott. LOVAII

GIACOMO MARIA SAVERIO, legale rappresentante, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CRISTOFORO COLOMBO 440, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO TASSONI, che la rappresenta e difende giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

S.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 133/2012 del TRIBUNALE SEDE DISTACCATA DI

EMPOLI, depositata il 23/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/06/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato CESARE CARELLO per delega;

udito l’Avvocato FRANCESCO TASSONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI

E.M. convenne dinanzi al Giudice di pace di Empoli S.G., insieme con la Unipol Assicurazioni, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti dall’autovettura da lei condotta a seguito di un incidente la cui responsabilità andava a suo dire ascritta alla convenuta.

Il giudice di primo grado, sulla base della disposta CTU – che aveva radicalmente escluso la compatibilità dei danni lamentati dall’attrice con la dinamica dell’incidente – respinse la domanda.

Il Tribunale di Firenze, investito dell’impugnazione proposta dalla E., la rigettò.

Avverso la sentenza del giudice fiorentino l’appellante ha proposto ricorso per cassazione sulla base di 4 motivi di censura.

Resiste la Unipol con controricorso.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: valore probatorio della confessione resa dalla parte in giudizio.

Con il secondo motivo, si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: omessa valutazione delle prove assunte in giudizio.

Con il terzo motivo, si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: insufficiente e contraddittoria motivazione sul mancato rinnovo della CTU.

I motivi possono essere congiuntamente esaminati, attesane la intrinseca connessione.

Essi sono, nel loro complesso, manifestamente infondati.

La Corte territoriale, nel pieno rispetto del principio di diritto processuale che impone, della motivazione, l’applicazione di criteri logici di valutazione razionale del raggiunto convincimento e dell’adottata decisione, offre una chiara e puntuale giustificazione, congruamente argomentata, della valenza e dell’efficacia probatoria attribuita ad alcuni degli elementi (in particolare, le in equivoche risultanze della CTU) acquisiti al processo, ritenendo un’ipotesi di fatto, così come formulata in motivazione, dotata di un più elevato grado di conferma logica e di credibilità razionale rispetto ad altre, quali quelle ipotizzate dal ricorrente.

Tutte le censure sono, pertanto, irrimediabilmente destinate ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello, dacchè essi, nel loro complesso, pur formalmente abbigliate in veste di denuncia di un (asseritamente) decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito.

Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie concreta, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

E’ poi principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile).

Per altro verso, il ricorrente, nella specie, pur denunciando, formalmente, un insanabile deficit motivazionale della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Con il quarto motivo, si denuncia errata applicazione di norme di diritto (art. 91 c.p.c.): errata imputazione delle spese.

La doglianza è assorbita nel rigetto dei motivi che precedono.

Il ricorso è pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza. Liquidazione come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 2000, di cui 200 per spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari alla somma già dovuta, a norma del predetto art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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