Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14137 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. I, 27/06/2011, (ud. 12/05/2011, dep. 27/06/2011), n.14137

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.M., C.M.R., C.C., C.R.

G., L.A., G.G., G.

V., C.R., C.P., C.M., Co.

C., C.P., C.M.G., Co.

R., elettivamente domiciliati in Roma, via Lombardia 14, presso lo

Studio Angeloni, rappresentati e difesi dall’avv. PASANISI Gaetano

giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

Comune di Leporano in persona del Sindaco, elettivamente domiciliato

in Roma, via Bassi 2, presso lo Studio Masiani, rappresentato e

difeso dall’avv. AIRO’ Natalizia giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sezione

distaccata di Taranto, n. 134 del 15.5.2006;

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12.5.2011 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

uditi gli avv. M. Chiara Pasanisi con delega per i ricorrenti e Airò

per il Comune;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza non definitiva del 6.12.2004 il Tribunale di Taranto rigettava l’eccezione di prescrizione sollevata dal Comune di Leporano avverso la domanda di risarcimento del danno proposta da C.G.V., C.T., Co.Ro., C.R., Co.Ch., C.M., Co.

P., B.F., nonchè dal fallimento di Co.

C., a seguito della illegittima occupazione di alcuni terreni di loro proprietà.

La decisione, impugnata dal Comune sotto il duplice aspetto della demanialità dei terreni e della intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento, veniva riformata dalla Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, che in particolare rilevava come fosse fondato il secondo profilo di censura, atteso che le opere del Comune sarebbero state completate “ampiamente prima del quinquennio anteriore alla data di notificazione della citazione introduttiva di primo grado”.

Avverso la sentenza i C. proponevano ricorso per cassazione affidato a quattro motivi (poi ulteriormente illustrati da memoria), cui resisteva il Comune con controricorso (cui analogamente faceva seguito memoria) con il quale, fra l’altro, veniva eccepita “l’inammissibilità del ricorso per difetto dei requisiti previsti dall’art. 366 bis c.p.c.” (p. 11).

In particolare, con i motivi di impugnazione i ricorrenti hanno rispettivamente denunciato: 1) violazione dell’art. 936 c.c., atteso che, trattandosi di occupazione usurpativa, “la prescrizione dell’azione dei ricorrenti non ha mai cominciato a decorrere”;

2) violazione di legge in tema di occupazione acquisitiva, in quanto il Comune non avrebbe mai emesso una dichiarazione di pubblica utilità;

3) violazione di legge per il fatto che il sacrificio della proprietà privata ad un interesse pubblico sarebbe comunque subordinato ad una preventiva comunicazione del procedimento al proprietario, comunicazione che nella specie non sarebbe intervenuta;

4) violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’affermata sussistenza dei due presupposti in punto di fatto (dichiarazione di pubblica utilità e ultimazione dei lavori) posti a base della pronuncia di prescrizione.

Osserva il Collegio che i motivi non sono corredati del quesito di diritto ed il quarto (con il quale si denuncia pure un vizio di motivazione) è privo anche della chiara indicazione del fatto controverso sicchè, tenuto conto del disposto dell’art. 366 bis c.p.c., all’epoca vigente, in conformità di quanto eccepito dal Comune il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Nè rilevano in senso contrario le deduzioni svolte dai ricorrenti con memoria a sostegno dell’ammissibilità del ricorso, deduzioni essenzialmente consistenti nella sufficienza del richiamo a sentenze di questa Corte ai fini del soddisfacimento dell’obbligo imposto dall’art. 366 bis c.p.c., e nella rinvenibilità del richiesto momento di sintesi nella rappresentazione degli elementi posti a base del preteso vizio di motivazione.

Al riguardo è infatti sufficiente rilevare che il quesito di diritto ed il fatto controverso devono essere chiaramente rappresentati ed inseriti in una parte del ricorso a ciò deputata, sicchè non possono desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo; che, indipendentemente dalla collocazione grafica del quesito e dell’indicazione del fatto controverso, gli stessi devono risultare come frutto di una intenzionale articolazione di interpello alla Corte di legittimità, ipotesi non riscontrabile nel caso di specie in cui i ricorrenti hanno riportato massime enucleate da decisioni di questa Corte; che, infine, è onere della parte evidenziare il nesso fra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, onere nella specie non assolto.

Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna solidale dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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