Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14137 del 11/06/2010

Cassazione civile sez. I, 11/06/2010, (ud. 23/03/2010, dep. 11/06/2010), n.14137

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.S.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Marra Alfonso

Luigi, come da procura a margine del ricorso, domiciliato per legge

presso la cancelleria della Corte di cassazione in Roma;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro-tempore, rappresentata e difesa, per legge,

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di questa

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Napoli

depositato il 23 maggio 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 23 marzo 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.S.G. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 3.375 per anni tre e mesi nove di ritardo, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al avanti al TAR Campania e non ancora concluso alla data di presentazione della domanda.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della L. n. 89 del 2001 è inammissibile per inidoneità del quesito. Posto invero che “il quesito di diritto costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata e quindi non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità: ne deriva che la parte deve evidenziare sia il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia, per ciascun motivo di ricorso il principio, diverso da quello posto alla base del provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione potrebbe condurre ad una decisione di segno diverso” (Cassazione civile, sez. 3, 9 maggio 2008, n. 11535) al richiamato canone non pare rispondere il quesito proposto che si limita ad enunciare un principio generale relativo ai rapporti tra normativa nazionale e Convenzione senza che risulti l’attinenza con la concreta fattispecie.

Il secondo e il terzo motivo con cui si censura la quantificazione dell’indennizzo, operata dal giudice del merito in ragione di Euro 900 per anno, sono inammissibili per carenza di interesse in quanto l’importo da liquidarsi in applicazione della giurisprudenza della Corte (Sez. 1, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte europea (che è pari a Euro 1.000 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, cui il Collegio dovrebbe uniformarsi in sede di decisione sul merito, non sarebbe superiore a quello già riconosciuto dal giudice territoriale.

Con il quarto, il quinto e il sesto motivo, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, si deduce violazione della Convenzione e della L. n. 89 del 2001 e difetto di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000 per la particolare natura della controversia (lavoro e previdenza).

I motivi sono manifestamente infondati, essendosi già affermato dalla Corte che “In tema di equa riparazione per eccessiva durata del processo, le considerazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in merito alla centralità dell’occupazione e sulla relativa opportunità di riconoscere un bonus, svincolato da qualsiasi parametro e dovuto in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia, non determinano alcun automatismo nell’indennizzo: tocca al giudice nazionale valutare caso per caso l’importanza della controversia senza alcun obbligo di motivazione laddove venga esclusa la liquidazione di una somma ulteriore rispetto agli standard fissati dalla Cedu e dalla L. n. 89 del 2001 “(Cassazione civile, sez. 1, 12 gennaio 2009, n. 402).

Il settimo, il nono, il decimo e l’undicesimo motivo con cui si censura la liquidazione delle spese operata secondo la tariffa dei procedimenti camerali sono manifestamente fondati in quanto è già stato ritenuto che “Ai fini della liquidazione delle spese processuali, il processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, nè rientra tra quelli speciali di cui alla tabelle A) e B) allegate al D.M. 8 aprile 2004, n. 127 (rispettivamente voce 50, paragrafo 7 e voce 75, paragrafo 3), per tali dovendo intendersi, ai sensi dell’art. 11 della tariffa allegata al D.M. n. 127 cit. i procedimenti in camera di consiglio ed in genere i procedimenti non contenziosi” (Cassazione civile, sez. 1, 17 ottobre 2008, n. 25352).

L’ottavo motivo con cui si deduce la violazione dell’obbligo da parte del giudice nazionale di adeguarsi nella liquidazione delle spese agli standard della Corte europea è manifestamente infondato in quanto “Nei giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla corte di appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, e non deve tener conto degli onorari liquidati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, i quali attendono al regime del procedimento davanti alla Corte di Strasburgo, posto che la liquidazione dell’attività professionale svoltasi davanti ai giudici dello Stato deve avvenire esclusivamente in base alle tariffe professionali che disciplinano la professione legale davanti ai tribunali ed alle corti di quello Stato” (Cassazione civile, sez. 1, 11 settembre 2008, n, 23397).

Il dodicesimo e il tredicesimo motivo con cui si contesta il mancato riconoscimento delle voci indicate nella nota spese sono assorbiti, stante la necessità di procedere ad una nuova liquidazione.

Il ricorso deve dunque essere accolto nei limiti indicati. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito e pertanto liquidate le spese del primo grado, in difetto di dettagliata indicazione della nota spese a suo tempo depositata, in complessivi Euro 806, di cui 311 per diritti, 445 per onorari e 50 per spese.

In considerazione del parziale accoglimento del ricorso possono essere compensare per due terzi le spese di questa fase e posto a carico dell’Amministrazione il residuo.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa in parte qua il decreto impugnato e, decidendo nel merito, liquida le spese del primo grado in complessivi Euro 806 con distrazione in favore dell’Avv. Marra antistatario; compensa per due terzi le spese di questa fase e condanna l’Amministrazione resistente alla rifusione di un terzo delle spese che, per l’intero, liquida in complessivi Euro 550, di cui Euro 450 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge; spese distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2010

 

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