Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14137 del 07/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 07/06/2017, (ud. 11/05/2017, dep.07/06/2017),  n. 14137

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5656/2010 R.G. proposto da:

Buzzi Unicem s.p.a., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Matteo

Rossomando e Alessandra Giovannetti, elettivamente domiciliata

presso il loro studio in Roma alla via Bissolati n. 76, per procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma alla via dei

Portoghesi n. 12 si domicilia;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte n. 7/31/09 depositata il 14 gennaio 2009;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11 maggio 2017

dal Consigliere Enrico Carbone.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del

ricorso principale e l’assorbimento dell’incidentale;

Uditi gli Avv.ti Simone Palombi su delega per la ricorrente e

Alessandro Maddalo per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Pagata una sanzione antitrust inflittale dalla Comunità Europea, Buzzi Unicem s.p.a. ne deduceva l’equivalente dal reddito imponibile e con fatture ne addebitava una quota a proprie controllate successivamente incorporate; era quindi raggiunta in data 5 agosto 2005 da due avvisi di accertamento per il recupero sia dell’IRPEG non versata che dell’IVA detratta.

La Commissione tributaria provinciale di Alessandria accoglieva l’impugnazione degli avvisi di accertamento unicamente quanto alle sanzioni tributarie, annullandole per l’esimente dell’incertezza normativa.

La Commissione tributaria regionale del Piemonte respingeva l’appello della società riguardo al debito principale, come anche l’appello incidentale dell’ufficio riguardo alle annullate sanzioni.

Buzzi Unicem ricorre per cassazione con due motivi, illustrati da memoria.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e formula ricorso incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 25 e 53 Cost., D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (oggi art. 109), per aver il giudice d’appello confermato l’indeducibilità delle sanzioni antitrust ai fini IRPEG.

1.1. Il motivo è infondato.

La Corte ha ormai chiarito che la sanzione antitrust non è un costo deducibile dal reddito d’impresa ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, poichè essa non è funzionale alla produzione di quel reddito (Cass. 11 aprile 2011, n. 8135, Rv. 617641).

Detta sanzione non può essere qualificata come sopravvenienza passiva del reddito d’impresa, attesa l’impossibilità di collegarla a ricavi o altri proventi (Cass. 3 marzo 2010, n. 5050, Rv. 611823).

D’altronde, la condotta anticoncorrenziale non può integrare un fattore produttivo, essendo non soltanto autonoma ed esterna rispetto alla normale vita dell’impresa, ma radicalmente antitetica al suo corretto andamento, sicchè l’imputazione della sanzione antitrust al reddito d’impresa quale sopravvenienza passiva neutralizzerebbe la ratio punitiva della misura, trasformandola in un risparmio d’imposta (Cass. 26 ottobre 2012, n. 18368, Rv. 624230).

Questo orientamento resiste agli argomenti del ricorso principale, ove la deducibilità della sanzione antitrust è affermata perchè: a) l’indeducibilità amplificherebbe l’effetto sanzionatorio della misura, in spregio ai princìpi di legalità e capacità contributiva; b) trattasi di un costo inerente all’impresa, in quanto conseguente ad opzioni imprenditoriali; c) trattasi di una sanzione di natura risarcitoria, o quantomeno a componente risarcitoria; d) trattasi di illeciti non penali, mentre la L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, esclude la deduzione solo per i costi dei fatti-reato.

In senso contrario deve ribadirsi che: a1) l’indeducibilità non è una sanzione addizionale, bensì l’effetto obiettivo della natura extraimprenditoriale dell’attività illecita; b1) l’illiceità della condotta spezza il nesso di inerenza all’attività d’impresa; c1) non può avere componenti risarcitorie una sanzione prescindente dalla diretta correlazione con un evento di danno; d1) la L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, riguarda “costi” e “spese” funzionali all’illecito, viceversa la sanzione non è un mezzo dell’illecito, bensì un suo effetto giuridico.

Conforme a una giurisprudenza interna ormai consolidata, questa ricostruzione aderisce inoltre alla giurisprudenza unionale, ove si è rimarcato come l’efficacia della sanzione inflitta a garanzia della concorrenza potrebbe essere sensibilmente ridotta dalla sua deducibilità fiscale, che avrebbe l’effetto di compensarne il peso con una diminuzione degli oneri tributari (Corte giust. 11 giugno 2009, C-429/07, Inspecteur van de Belastingdienst).

2. Il secondo motivo del ricorso principale denuncia omissione di pronuncia, in subordine omissione di motivazione, in ulteriore subordine violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 19, per aver il giudice d’appello pretermesso la censura attinente alla detrazione dell’IVA sulle fatture di riaddebito infragruppo dell’onere sanzionatorio.

2.1. Il motivo è inammissibile.

La ricorrente principale sostiene di aver posto in essere la condotta anticoncorrenziale anche nell’interesse delle società controllate e riaddebitate, così fornendo loro “prestazioni di servizi”.

Tuttavia, per essere rilevante ai fini IVA, a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, la prestazione di servizi deve avere una base obbligatoria, seppur a fonte aperta; base obbligatoria neppure dedotta nella fattispecie, giacchè questa attiene a una condotta illecita.

La prestazione di che trattasi è fuori campo IVA per difetto del requisito oggettivo dell’imposta.

Quindi, l’omissione di pronuncia del giudice d’appello non risulta decisiva.

3. Il ricorso incidentale denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, per aver il giudice d’appello confermato l’esimente dell’incertezza normativa.

3.1. Il ricorso è infondato.

Il giudice d’appello ha ritenuto che la sussistenza di un indirizzo dottrinale favorevole alla rilevanza fiscale degli oneri sanzionatori determinasse un’obiettiva incertezza normativa.

Tra i c.d. fatti-indice dell’incertezza normativa la Corte annovera anche il contrasto tra opinioni dottrinali (Cass. 29 luglio 2014, n. 17250, Rv. 632243; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26030, Rv. 638206).

Non si configura una violazione di legge, quindi, nè l’Agenzia delle entrate ha denunciato un’insufficienza motivazionale (come pure avrebbe potuto, vigente ratione temporis l’art. 360 c.p.c., n. 5, anteriore alla L. n. 134 del 2012).

4. Rigettati entrambi i ricorsi, le spese sono compensate per reciproca soccombenza.

PQM

 

Rigetta il ricorso principale e l’incidentale, compensando le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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