Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14136 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. II, 24/05/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 24/05/2021), n.14136

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25130/2019 proposto da:

K.G.M., rappresentato e difeso dall’avv. LORENZO

MINACAPILLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO

TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, depositata il

15/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Caltanissetta confermò la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che aveva disatteso la domanda di protezione avanzata da K.G.M.;

– il richiedente aveva narrato di essere espatriato dal Bangladesh perchè la sua relazione affettiva telefonica era invisa alla potente famiglia della ragazza, che lo voleva perciò uccidere;

– il Tribunale aveva giudicato la narrazione inattendibile (era inverosimile che il solo fatto di scambiarsi delle telefonate avesse potuto far maturare intenzione omicidiaria; contraddittoriamente il narrante solo davanti al Giudice aveva fatto riferimento al diverso credo religioso praticato dalla famiglia della ragazza); la decisione aveva del pari escluso la sussistenza dei presupposti di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, per il riconoscimento della protezione sussidiaria, stante che la situazione interna del Paese di provenienza, consultate le COI aggiornate, caratterizzata da violenza diffusa e incontrollata; veniva, infine, escluso il ricorrere dei presupposti della protezione umanitaria, poichè il ricorrente non aveva saputo trarre alcun profitto dal corso di alfabetizzazione, il che dimostrava la mancanza d’avvio d’un percorso d’integrazione, e non aveva allegato alcuna specifica ragione di vulnerabilità soggettiva;

ritenuto che il richiedente ricorre sulla base di tre censure avverso il decreto e che il Ministero dell’Interno resiste con controricorso;

ritenuto che con il primo motivo il richiedente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, assumendo che il Giudice era venuto meno al rispetto delle regole probatorie della materia e ai principi elaborati dalla giurisprudenza, avendo l’esponente assolto all’onere di cooperazione probatoria;

ritenuto che con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14, per essere stato negato il riconoscimento della protezione sussidiaria;

ritenuto che con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, per essere stato negato il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria;

considerato che tutte le censure non superano il vaglio d’ammissibilità per le ragioni che seguono:

a) tutte le doglianze si caratterizzano per la somma genericità delle critiche, consistite unicamente in un richiamo delle disciplina e in un resoconto dei principi affermati in giurisprudenza, privo di specifica attitudine censuratoria, essendosi il ricorrente limitato a riportare taluni dei principi regolanti la materia, senza, tuttavia, individuare quali siano state le concrete ricadute della dedotta violazione di legge; manca, e radicalmente, per contro, un’apprezzabile individuazione della vicenda soggettiva non vagliata dal Tribunale;

b) peraltro, il Giudice del merito risulta aver deciso applicando il principio enunciato da questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719);

c) che, inoltre, piuttosto palesemente le critiche sono rivolte al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5, difatti, invece che porre in rilievo l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo o l’assenza di giustificazione argomentativa della decisione, con le stesse il ricorrente, contrappone al ragionato esame della Corte il proprio avverso convincimento;

d) rimasta non dimostrata la sussistenza di violenza indiscriminata, la pretesa, poi, di aver diritto alla protezione umanitaria, priva di allegazioni di specifiche e individuali ragioni di vulnerabilità (che, ovviamente, non possono coincidere con lo stato di povertà), non ha fondamento giuridico, una volta che il Tribunale ha negato che dalla effettuata comparazione risulti emergere una situazione di specifica vulnerabilità nel caso di rimpatrio; il riferimento, poi, a trattamenti inumani patiti durante la permanenza in Libia non è scrutinabile perchè aspecifico sotto il profilo del difetto di autosufficienza;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che la giurisprudenza della Corte è ormai costante nel ritenere che l’art. 366 c.p.c., n. 4, si applichi, specularmente, anche al controricorso (Cass. n. 12171/09 ed ivi richiamo a Cass. n. 5400/06; cfr. anche Cass. nn. 6222/12 e 3421/97); ciò, tuttavia non significa affatto pretendere, al fine di valutarne l’ammissibilità, che il controricorso debba contenere dei propri “motivi” specifici e speculari rispetto a quelli del ricorso, nè tanto meno che contrattacchi la decisione con altre autonome argomentazioni, ma semplicemente esigere che esso contenga una sia pur minima confutazione del ricorso, in qualunque modo articolata, purchè la sua giustapposizione alla vicenda oggetto di ricorso non sia affidata alla sola deduzione logica della Corte sulla sola base dell’indicazione dei dati di riferimento della causa (numero d’iscrizione a ruolo, nomi delle parti, decisione impugnata);

che, pertanto, specificato in punto di diritto che: “ove il controricorso (…), a dispetto della indicazione della causa alla quale si riferisce, risulti privo di forza individualizzante, constando di uno schema avversativo “di genere”, sprovvisto cioè di concreta attitudine di contrasto, attraverso l’esposizione di argomenti specificamente indirizzati a quella vicenda e a quella decisione e posti a confronto di quel ricorso, non assolve al suo scopo”, deve reputarsi che il controricorso qui al vaglio sia estraneo al genus, e per esso non può essere riconosciuto il diritto al rimborso delle spese;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

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