Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14135 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. II, 24/05/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 24/05/2021), n.14135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25078/2019 proposto da:

N.A., rappresentato e difeso dall’avv. ANTONINO NOVELLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO

TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, depositata il

09/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Caltanissetta confermò la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che aveva disatteso la domanda di protezione avanzata da N.A.;

ritenuto che quest’ultimo ricorre sulla base di tre censure avverso il decreto e che il Ministero dell’Interno è rimasto intimato;

considerato che il primo motivo con il quale il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, assumendo che il Tribunale nel giudicare inattendibile la narrazione non aveva applicato i precetti normativi richiamati, non supera il vaglio d’ammissibilità, in quanto:

a) l’esponente aveva narrato di essersi allontanato dal Pakistan (Punjab) perchè aggredito e minacciato di morte per avere venduto un terreno da destinarsi alla costruzione di un edificio religioso, essendo stato oggetto per questa ragione di una fatwa;

b) il Tribunale ha giudicato il racconto non credibile per una convergente pluralità di ragioni (in una sola settimana avrebbe venduto il terreno, edificato il locale di culto, fatta sottoporre a un intervento chirurgico la madre utilizzando i soldi ricavati dalla vendita, era stato fatto oggetto della fatwa, subito la distruzione del negozio di barbiere e dell’abitazione) e permeato da contraddizioni tra la versione resa davanti alla Commissione e quella fornita al Giudice; riscontrando, inoltre, la tardività della presentazione della domanda di protezione (era rimasto in Grecia dal 2015 al 2017);

– il motivo risulta privo di specificità e puntuale attitudine censuratoria, essendosi il ricorrente limitato a riportare il contenuto normativo; nè la censura si colora di capacità di critica per il solo fatto di avere valorizzato il rilievo intimidatorio della fatwa, avendo il Tribunale spiegato “aliunde” le ragioni dell’inattendibilità, oltre a non essere stata spiegata la ragione per la quale l’esponente aveva presentato la domanda con siffatto grave ritardo, in spregio al precetto di legge;

considerato che il secondo motivo, con il quale il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, è inammissibile:

a) il Tribunale chiarisce, quanto alla situazione in Pakistan, con particolare riguardo alla zona di provenienza (Punjab), che dalle COI aggiornate, era dato escludere la sussistenza di quella situazione di violenza diffusa e incontrollata evocata dal ricorrente; in definitiva risultava evidenziata una condizione di sottosviluppo e d’instabilità del Paese, diffusa, peraltro, purtroppo in molte regioni del mondo, ma non la situazione di particolare criticità dalla quale può conseguire il diritto alla protezione sussidiaria;

b) il Giudice del merito, quindi, ha deciso applicando il principio enunciato da questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719);

c) piuttosto palesemente le critiche sono rivolte al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5, difatti, invece che porre in rilievo l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo o l’assenza di giustificazione argomentativa della decisione, con le stesse il ricorrente, contrappone al ragionato esame della Corte il proprio avverso convincimento;

considerato che anche il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, per essere stata negata la sussistenza delle condizioni per avere riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria, è inammissibile, valendo quanto segue:

a) il richiedente dopo aver riportato talune statuizioni giurisprudenziali, dal medesimo reputate di pertinenza, si limita a manifestare il proprio dissenso dalla decisione;

b) per contro, il Tribunale ha motivato sottolineando la circostanza che il reclamante non aveva esposto alcuna oggettiva situazione di vulnerabilità soggettiva, nè evidenziato una particolare deprivazione dei diritti umani fondamentali, tale da imporre l’allontanamento del medesimo dal proprio Paese d’origine;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che non occorre far luogo a regolamento delle spese poichè la controparte è rimasta intimata;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

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