Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14133 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. II, 24/05/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 24/05/2021), n.14133

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22144/2019 proposto da:

H.A., rappresentato e difeso dall’avv. ANTONELLA MACALUSO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), IN PERSONA DEL MINISTRO PRO

TEMPORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 35/2019 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 22/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Caltanissetta accolse la domanda di H.A. riconoscendogli lo status di rifugiato, che era stato negato dalla Commissione territoriale;

– la Corte d’appello di Caltanissetta, accolta l’impugnazione proposta dal Ministero dell’Interno, rigettò la domanda di protezione internazionale, evidenziando quanto segue:

– il richiedente aveva narrato di aver subito minacce da parte della comunità sunnita perchè il fratello e il padre avevano offerto un terreno per la costruzione di un edificio religioso sciita;

– messi in luce i plurimi profili d’inattendibilità riscontrati dalla Commissione (il racconto si presentava scarsamente circostanziato, erano stati prodotti documenti non attendibili, l’interessato non aveva dichiarato di professare la religione sciita e non aveva saputo spiegare le scaturigini del dissidio; non era verosimile che il padre fosse rimasto tranquillamente in Pakistan), la decisione nega il diritto alla protezione, valorizzando in special modo la circostanza che l’istante era rimasto otto anni in Grecia senza presentare domanda di protezione;

– dalle COI consultate non era dato trarre che nella zona di provenienza (Punjab) fosse riscontrabile una situazione di violenza diffusa e incontrollabile;

– quanto alla protezione umanitaria, non risultava addotta alcuna concreta ed effettiva integrazione;

ritenuto che l’ H. ricorre sulla base di tre censure avverso la statuizione d’appello e che il Ministero dell’Interno resiste con controricorso;

considerato che tutti i motivi, con i quali, rispettivamente, il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1 Convenzione di Ginevra, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), artt. 5, 7 e 8, anche in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e omesso esame di un fatto controverso e decisivo; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e omesso esame di un fatto controverso e decisivo; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, art. 3 Convenzione edu per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e omesso esame di un fatto controverso e decisivo, con i quali il ricorrente lamenta il negato riconoscimento del diritto allo status di rifugiato e, in subordine alla protezione sussidiaria e umanitaria, non superano il vaglio d’ammissibilità, in quanto:

a) in primo luogo il ricorrente non contesta, nè spiega il motivo per il quale, in marcata violazione del vincolante canone probatorio dettato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, si fosse deciso a presentare la domanda di protezione solo ora, pur avendo soggiornato in Grecia per ben otto anni; siffatta lesione del dovere di cooperazione istruttoria da parte dell’interessato è stata giudicata dirimente dalla Corte nissena e un tal giudizio, costituente ratio decisoria, non risulta essere stato inciso dalle critiche censuratorie;

b) le critiche, inoltre, appaiono prive di specifica attitudine impugnatoria, essendosi il ricorrente limitato a riportare stralci del contenuto normativo e di principi giurisprudenziali non correlati con puntualità alla vicenda da scrutinare;

c) a tutto concedere, inoltre, la Corte locale chiarisce, quanto alla situazione in Pakistan, con particolare riguardo alla zona di provenienza (Punjab), che dalle COI aggiornate era dato escludere la sussistenza di quella situazione di violenza diffusa e incontrollata evocata dal ricorrente; in definitiva risultava evidenziata una condizione di sottosviluppo e d’instabilità del Paese, diffusa, peraltro, purtroppo in molte regioni del mondo, ma non la situazione di particolare criticità dalla quale può conseguire il diritto alla protezione sussidiaria;

d) il Giudice del merito, quindi, ha deciso applicando il principio enunciato da questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719);

e) non ha pregio la tesi del ricorrente, secondo la quale I’EASO, avendo perso indipendenza, avrebbe diffuso COI non attendibili, bastando sul punto osservare che l’European Asylum Support Office, è agenzia ufficiale dell’UE, costituita con il regolamento n. 439/201 del 19/5/2019 e le Country of Origin Information costituiscono, unitamente alle informazioni divulgate dall’UNHCR fonti legali di conoscenza alle quali il giudice è tenuto ad attingere (D.Lgs. n. 25 del 2008, art., comma 3);

f) piuttosto palesemente le critiche sono rivolte al controllo motivazionale, in spregio al contenuto dell’art. 360, c.p.c., vigente n. 5, difatti, invece che porre in rilievo l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo o l’assenza di giustificazione argomentativa della decisione, con le stesse il ricorrente, contrappone al ragionato esame della Corte il proprio avverso convincimento;

g) infine, oltre a quanto sopra chiarito, deve osservarsi che, anche a riguardo della protezione umanitaria, la censura non risulta precipua, stante che con essa si adducono le condizioni di sottosviluppo generalizzato del Paese di provenienza, senza, tuttavia attingere la ratio decidendi, che aveva evidenziato come il ricorrente non avesse dimostrato un apprezzabile radicamento in Italia; nè, peraltro, consta che il medesimo abbia allegato una specifica e personale condizione di vulnerabilità;

considerato che il soccombente ricorrente deve essere condannato al rimborso delle spese in favore del costituito Ministero nella misura di cui in dispositivo, tenuto conto della qualità della causa, del suo valore e delle attività svolte;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a Sezioni Unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese legali in favore del Ministero controricorrente, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese anticipate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

 

 

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