Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14133 del 11/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 11/07/2016, (ud. 18/05/2016, dep. 11/07/2016), n.14133

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1024-2012 proposto da:

A.A., (OMISSIS), A.S. nato

a (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

BOLSENA 63, presso lo studio dell’avvocato SERGIO LONGONI,

rappresentati e difesi dall’avvocato MICHELANGELO RANDAZZO;

– ricorrenti –

contro

V.A.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA P.ZZA

CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato DOMENICO SCALIA;

– controricorrente –

e contro

V.M.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 775/2011 della CORTE D’APPELLO di

CATANIA(depositata il 27/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito l’Avvocato GASPAROTTO Antonella, con delega depositata in

udienza dell’avvocato RANDAZZO Michelangelo, difensore dei

ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato SCALIA Domenico, difensore della resistente che ha

chiesto l’inammissibilità, in subordine il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1.- Con ricorso del 1 giugno 1993, M.A. convenne in giudizio le sorelle V.A. e V.M.R., dolendosi del fatto che le stesse, nel corso dei lavori di ricostruzione di un edificio sito in (OMISSIS) (precedentemente demolito su ordine del Sindaco, a seguito del terremoto del 1984), si fossero opposte alla realizzazione di una tubatura di scarico secondo le previsioni del progetto sottoscritto da entrambe le parti; chiese la manutenzione del possesso della servitù summenzionata e chiese comunque, in via petitoria e a seguito delle eccezioni proposte dalle convenute, lo spostamento del sito dell’originaria tubazione installata nell’edificio demolito e la realizzazione della nuova secondo le previsioni progettuali.

Il Pretore di Trecastagni rigettò le domande attoree.

2. – Sul gravame proposto da A.A. e A. S., quest’ultimo quale procuratore di A.V., A.T., A.I. e A.C., nella qualità di eredi di M.A. (nel frattempo deceduta), il Tribunale di Catania confermò la sentenza di primo grado.

3. – Avverso la sentenza di appello proposero ricorso per cassazione gli appellanti e questa Corte, con sentenza n. 7822 del 4.4.2006, cassò la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Catania, rilevando che il giudice di appello aveva omesso di valutare il motivo di gravame col quale era stato dedotto che le Vecchio, sottoscrivendo il progetto di ricostruzione che prevedeva l’ubicazione della condotta di scarico in questione, avevano manifestato il loro consenso al trasferimento della servitù preesistente.

4. – Con sentenza del 27.5.2011, la Corte di Appello di Catania, pronunciando quale giudice di rinvio, ha rigettato l’appello, ritenendo che l’esame dei progetti di ricostruzione non consenta di ritenere che le parti, con la sottoscrizione ivi apposta, avessero manifestato il loro consenso al summenzionato trasferimento della servitù.

5. – Avverso tale sentenza della Corte di rinvio hanno proposto ancora ricorso per cassazione A.A. e A. S., quest’ultimo quale procuratore di A.V., A.T., A.I. e A.C., sulla base di due motivi.

Resistono con controricorso V.A. e V.M.R., che hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte di Appello ritenuto insussistente il consenso delle sorelle V. al trasferimento della servitù nonostante la sottoscrizione – da parte loro – del progetto di ricostruzione, omettendo così di osservare il dettame della Corte di Cassazione e omettendo altresì di considerare i tanti documenti prodotti dai quali tale consenso sarebbe emerso.

La censura non è fondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento.

Non sussiste, invece, tale vizio ove vi sia esclusivamente difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente in ordine agli elementi delibati, non essendo possibile una revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito al fine di ottenere una nuova pronuncia sul fatto (Cass., Sez. U, sentenza n. 24148 del 25 ottobre 2013, Rv. 627790).

Nella specie, la Corte di Appello di Catania ha specificamente affrontato la questione concernente l’avvenuta sottoscrizione ad opera delle parti dei progetti di ricostruzione del fabbricato ed ha escluso che, con detta sottoscrizione, le parti avessero inteso manifestare il loro consenso scritto al trasferimento della servitù preesistente. Essa ha spiegato, poi, il proprio convincimento affermando – conformemente all’insegnamento di questa Corte suprema –

che la semplice presentazione di un progetto firmato dai soggetti interessati alla pubblica amministrazione al fine di ricevere l’autorizzazione ad eseguire dei lavori non prova, di per sè, l’esistenza di una volontà negoziale, reciprocamente vincolante tali soggetti, di eseguire il progetto stesso, in quanto volta solo al rilascio del provvedimento amministrativo (Cass., Sez. 2, sentenza n. 4662 del 18 luglio 1981, Rv. 415369).

La Corte territoriale ha aggiunto, infine, con una motivazione logica e completa (che, in quanto tale, non può essere sindacata in sede di legittimità), che, agli atti di causa, non vi erano “altri documenti od altri idonei elementi probatori” che potessero fare ravvisare “in quei progetti l’esistenza di una volontà negoziale vincolante per gli interessati al fine del trasferimento della servitù in contestazione”.

I ricorrenti hanno indicato nell’atto di impugnazione una serie di documenti, sostenendo che tali documenti, se esaminati dalla Corte di Appello di Catania assieme ai progetti de quibus, avrebbero dimostrato che le parti si erano accordate sul trasferimento della servitù.

La censura, sotto tale profilo, risulta inammissibile: in primo luogo, per difetto di autosufficienza, poichè i ricorrenti elencano una serie di documenti senza riportarne il contenuto, non consentendo così a questa Corte di valutare la decisività di ciascun documento;

in secondo luogo, perchè mira ad ottenere dalla Corte una inammissibile valutazione nel merito delle risultanze probatorie, già considerate dai giudici di merito e da essi ritenute irrilevanti.

2. – Col secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per avere la Corte territoriale condannato essi ricorrenti al pagamento delle spese processuali relative al precedente giudizio di cassazione nonostante che in tale giudizio fossero risultati vincitori.

La doglianza è priva di fondamento, in quanto la soccombenza, ai fini della liquidazione delle spese, deve essere stabilita in base ad un criterio unitario e globale, tenendo presente l’esito complessivo della lite; pertanto, viola il principio di cui all’art. 91 c.p.c. il giudice di merito che ritenga la parte come soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 6259 del 18/03/2014, Rv. 629993; Sez. 3, Sentenza n. 15483 del 11/06/2008, Rv. 603368).

3. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 4.000,00 (quattromila), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Si dà atto che il procedimento è stato scrutinato con la collaborazione dell’Assistente di studio dott. C.D..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2016

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