Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14130 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 08/07/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35868-2018 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

NICOLETTA ANTONIETTA DONADIO;

– ricorrente –

contro

R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

NICOLA CEA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 117/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 02/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA

MARIA LEONE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con sentenza n. 117/2018 la Corte di appello di Potenza aveva rigettato l’appello proposto da P.D. avverso la decisione con la quale il Tribunale di Matera aveva in parte accolto la domanda di R.M., diretta al riconoscimento del diritto al pagamento delle differenze retributive maturate nel corso del rapporto di lavoro intercorso tra le parti dal 8/10/2002 al 18/7/2008, ed aveva condannato il P. al pagamento della complessiva somma di Euro 75.437,35, oltre accessori.

La Corte territoriale aveva ritenuto che la lavoratrice avesse soddisfatto l’onere probatorio relativo alla spettanza delle differenze retributive in questione, ed aveva invece valutato non probanti le buste paga allegate dal datore di lavoro ai fini della prova dell’avvenuto e satisfattivo pagamento, non essendo le stesse idonee a dimostrare il totale adempimento di quanto dovuto in relazione alla prestazione effettuata.

Avverso tale statuizione il P. ha proposto ricorso affidato a due motivi cui ha resistito con controricorso R.M..

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

P.D. depositava successiva memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1)- Con il primo motivo è dedotta la “violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 2697 c.c.” per aver, la corte territoriale, erroneamente ritenuto che la lavoratrice avesse assolto l’onere probatorio sulla stessa gravante circa la effettiva esistenza di differenze retributive maturate e non percepite.

2) Con il secondo motivo è dedotta la “violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 2697 c.c.” per aver, la corte d’appello, ritenuto che le buste paga prodotte dal datore di lavoro non fossero idonee a contrastare la richiesta della ricorrente ed a fornire la prova dell’avvenuto pagamento di tutte le spettanze dovute alla stessa.

I motivi attengono ai rispettivi oneri probatori delle parti nel processo sia con riferimento ai fatti posti a fondamento della domanda che delle eccezioni rispetto alla pretesa ed ai fatti posti a base della stessa.

Con il primo motivo il ricorrente si duole della mancata ottemperanza agli oneri probatori incombenti sulla lavoratrice.

Il motivo è in primo luogo inammissibile perchè invoca il vizio di violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così sovrapponendo due differenti profili di violazione e non rendendo chiare le argomentazioni svolte rispetto alle singole ipotesi. In secondo luogo la censura è infondata perchè la Corte territoriale ha dato atto della prova fornita dalla lavoratrice circa gli elementi essenziali del rapporto di lavoro e della prestazione fornita (pg 4 sent.).

Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta la errata valutazione circa la capacità probatoria delle buste paga, a suo dire sufficienti, in quanto sottoscritte dalla lavoratrice, ad attestare l’avvenuto pagamento di tutte le spettanze. Anche tale censura presenta gli stessi profili di inammissibilità sopra evidenziati con riguardo alla sovrapposizione di violazioni denunciate ed argomentazioni svolte. Quanto al merito del motivo, deve rilevarsi che questa Corte ha chiarito che “La sottoscrizione “per ricevuta” apposta dal lavoratore alla busta paga non implica, in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma ivi indicata, sicchè la regolare tenuta della relativa documentazione da parte del datore di lavoro non determina alcuna conseguenza circa gli oneri probatori gravanti sulle parti”. (Cass. n. 10306/2018).

Deve anche osservarsi che “Le buste paga, ancorchè sottoscritte dal lavoratore con la formula “per ricevuta”, costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna ma non anche dell’effettivo pagamento, della cui dimostrazione è onerato il datore di lavoro, attesa l’assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore, il quale può provare l’insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni eventualmente apposte, fermo restando che l’accettazione senza riserve della liquidazione da parte di quest’ultimo al momento della risoluzione del rapporto può assumere, in presenza di altre circostanze precise, concordanti ed obiettivamente concludenti dell’intenzione di accettare l’atto risolutivo, significato negoziale (Cass. n. 13150/2016).

Attesa dunque la non idoneità delle buste paga a fornire la prova dell’avvenuto e concreto pagamento ed ancor meno del pieno soddisfacimento delle intere spettanze dovute al lavoratore in ragione della prestazione in concreto svolta, a fronte della prova del rapporto di lavoro e della prestazione effettuata, risulta invece carente l’eccezione sollevata dal ricorrente con riguardo alla non dovutezza delle somme riconosciute dal Giudice d’appello.

Il ricorso è pertanto inammissibile, anche ed infine considerato che si tratta di ipotesi di “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c. (Cass. n. 26774/2016; Cass. n. 5528/2014). Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Con distrazione al procuratore antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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