Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1413 del 21/01/2011

Cassazione civile sez. III, 21/01/2011, (ud. 15/12/2010, dep. 21/01/2011), n.1413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FILADORO Camillo – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

EUROPEA EDIZIONI SPA, (OMISSIS), in persona del Consiglio dott.

B.A., C.M., (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 6, presso lo studio

dell’avvocato MUNARI ALESSANDRO, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati AURELI ADRIANO, PINTUS LORENZO giusta delega

a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI GRACCHI 151, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

SEGRETO, rappresentato e difeso dagli avvocati MONTESARDI FILOMENO,

EPIFANI VITO DONATO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 243/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Seconda Civile, emessa il 10/11/2004, depositata il

31/01/2005; R.G.N. 947/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2010 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato MUNARI ALESSANDRO e AUEVVLI ADRIANO;

udito l’Avvocato MONTESARDI FILOMENO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per manifesta infondatezza del

ricorso e condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I fatti di causa possono essere cosi’ ricostruiti sulla base della sentenza impugnata.

Con citazione notificata il 25 marzo 1999 M.A. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Milano C.M. e la Societa’ Europea di Edizioni s.p.a. per ivi sentirli condannare, nella qualita’, rispettivamente, di direttore e di editore della testata (OMISSIS), al risarcimento dei danni da lui subiti a seguito della pubblicazione dell’articolo, a firma di F.R. e dal titolo Mio marito condannato a morte dai colleghi, di contenuto diffamatorio e gravemente lesivo della sua dignita’ e onorabilita’.

Con sentenza del 1 febbraio 2001 il giudice adito, in accoglimento della domanda, condanno’ i convenuti in solido tra loro al pagamento, in favore dell’attore della somma di L. 100.000.000, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo.

Proposto gravame dai soccombenti, la Corte d’appello, in data 31 gennaio 2005, lo ha respinto.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione C. M. e Societa’ Europea di Edizioni s.p.a., formulando un solo motivo.

Resiste con controricorso, illustrato anche da memoria, M. A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nell’unico motivo di ricorso gli impugnanti lamentano mancanza, insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione con riferimento al preteso superamento del limite della continenza, argomentato con il richiamo a dati, quali il titolo dell’articolo, le dichiarazioni del Ri., amico e collega del defunto B., e della signora G., moglie di questi, benche’ le espressioni incriminate ben potessero essere ricondotte, a giudizio della stessa Corte d’appello, alla categoria delle mere iperboli retoriche. A tali conclusioni il decidente era pervenuto in ragione della ripetitivita’ di quelle espressioni, con assunto manifestamente illogico, non essendo dato comprendere quale tasso di ripetitivita’ sia necessario perche’ il ricorso a una figura retorica, in linea di principio ritenuta ammissibile all’interno di uno scritto, diventi percio’ stesso illecito.

Sotto altro, concorrente profilo lamentano i ricorrenti che il giudice di merito abbia ritenuto inoperante la scriminante dell’interesse pubblico alla conoscenza delle opinioni dei due intervistati, perche’ l’articolista, lungi dall’assumere la posizione di terzo osservatore dei fatti, aveva mostrato di aderire completamente alle dichiarazioni ingiuriose dei dichiaranti. Cosi’ argomentando, la Corte territoriale non aveva adeguatamente assolto all’impegno motivazionale, perche’ questo, in ottemperanza alle indicazioni della Corte Regolatrice (Cass. pen., sez. un. 16 ottobre 2001, n. 37140), doveva estendersi al necessario bilanciamento tra due diritti contrapposti, entrambi costituzionalmente tutelati:

quello alla salvaguardia della propria personalita’, riconosciuto dall’art. 2 Cost., e quello di cronaca, presidiato dall’art. 21.

2. Le critiche sono infondate.

In conformita’ a una giurisprudenza di legittimita’ piu’ che consolidata, a partire dal noto arresto del 18 ottobre 1984, n. 5259, per considerare la divulgazione di notizie lesive dell’onore lecita espressione del diritto di cronaca ed escludere la responsabilita’ civile per diffamazione, devono ricorrere tre condizioni consistenti:

a) nella verita’ oggettiva (o anche soltanto putativa, purche’ frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato;

ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (o ascoltatore) rappresentazioni della realta’ oggettiva false: principi sintetizzati nella formula secondo cui il testo va letto nel contesto, il quale puo’ determinare un mutamento del significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria, dandole un contenuto allusivo, percepibile dall’uomo medio (Cass. sez. 3^, 14/10/2008, n. 25157); b) nella sussistenza di un interesse pubblico all’informazione, vale a dire nella ed. pertinenza (ex multis Cass. n. 5146/2001; Cass. 18.10.1984, n. 5259; Cass. n. 15999/2001; Cass. 15.12.2004, n. 23366); c) nella forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, e cioe’ nella c.d. continenza, posto che lo scritto non deve mai eccedere lo scopo informativo da conseguire; deve essere improntato a serena obiettivita’, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio; deve essere redatto nel rispetto di quel minimo di dignita’ cui ha pur sempre diritto anche la piu’ riprovevole delle persone (Cass. 18 ottobre 1984 n. 5259).

2.1 Merita precisare che questi limiti operano altresi’ in caso di intervista, occorrendo anche qui, per l’operativita’ dell’esimente del diritto di cronaca: a) la ricorrenza del requisito della verita’ del fatto, nel senso che l’intervistato deve avere effettivamente formulato, nelle circostanze di tempo e di luogo indicate dal giornalista, le espressioni riportate, sempre che non ne siano dolosamente o colposamente taciute altre, idonee ad alterare il significato di quelle riferite, ovvero, mediante accostamenti suggestivi di singole affermazioni dell’intervistato capziosamente scelte o a mutamenti dell’ordine di esposizione delle medesime, l’intervista non venga a fuorviare il significato di quanto effettivamente dichiarato; b) la sussistenza, in relazione alla qualita’ dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione o ad altri caratteri dell’intervista, di indiscutibili profili di interesse pubblico all’informazione (confr. Cass. civ., 24 aprile 2008, n. 10686; Cass. civ., 15 dicembre 2004, n. 23366).

2.2 Quanto poi al diritto di critica, e cioe’ al diritto non gia’ di informare, ma di esprimere giudizi e valutazioni personali, per stabilirne la liceita’, allorche’ essi siano oggettivamente idonei ad offendere l’altrui reputazione, e’ necessario, secondo la giurisprudenza di questa Corte, procedere a un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita, bilanciamento da effettuare tenendo conto, ancora una volta, sia del rispetto del limite della correttezza formale, e cioe’ della continenza, sia della pertinenza della critica di cui si tratta all’interesse pubblico, cioe’ all’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, ma di quella interpretazione del fatto propria dell’autore dello scritto (confr.

Cass. civ., 6 agosto 2007, n. 17172; Cass. civ. 13 giugno 2006, n. 13646).

3. Venendo al caso di specie;, il giudice di merito, ricostruito in maniera estremamente analitica il contenuto dell’articolo, ha escluso che il giornalista avesse rispettato il limite della continenza, relativo alla correttezza delle espressioni usate, segnatamente evidenziando che, per contro, l’intero tono del testo travalicava dall’ambito di una critica misurata e obiettiva, pur se accesa e pungente, per trascendere nel campo della gratuita aggressione alla sfera morale altrui, sanzionata sia civilmente che penalmente. Ha in particolare esplicitato che il superamento del canone della continenza era denotato sia dal tenore del titolo e delle dichiarazioni degli intervistati che, ripetutamente additando nei colleghi del B. gli autori di una condanna a morte, neppure appariva giustificabile quale isolata iperbole retorica; sia dall’intera struttura del pezzo, nel quale il M. era in piu’ passaggi individuato come il principale artefice della persecuzione del B.. Ha poi aggiunto che il carattere complessivamente ingiurioso dello scritto non poteva ritenersi giustificato dall’interesse pubblico alla conoscenza della ricostruzione dei conflitti interni alla procura barese, perche’ l’articolista, nel riferire le opinioni dei due intervistati, non aveva assunto la posizione di terzo osservatore dei fatti, indicata, quale scriminante, dalla Corte Regolatrice (Cass. pen. sez. un. 16 ottobre 2001, n. 37140).

4 A giudizio del collegio tale percorso motivazionale, che non tralascia il confronto con alcuno dei paletti fissati dalla giurisprudenza di legittimita’ per il riconoscimento della natura diffamatoria di uno scritto destinato a essere divulgato in un pubblico indifferenziato di lettori, specularmente blindando il potere – dovere di raccontare e diffondere a mezzo stampa notizie e commenti, resiste alle censure formulate in ricorso. E’ sufficiente al riguardo considerare che dell’esito del suo scrutinio, soprattutto per quanto attiene al superamento del limite della continenza e al l’inoperativita’ della scriminante dell’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti e delle opinioni, sui quali maggiormente si appuntano i rilievi critici dell’impugnante, il giudice di merito ha fornito ampia ed esaustiva motivazione, non essendo affatto implausibile che la martellante ripetitivita’ di una iperbole retorica comporti il superamento di quel limite.

Con specifico riferimento, poi, alla posizione assunta dal giornalista, rispetto a quanto narrato dagli intervistati, il neutro distacco che avrebbe dovuto informarla e’ stato argomentatamente e condivisibilmente escluso in ragione della completa adesione della prosa di accompagnamento – riferibile, questa si’, esclusivamente all’intervistatore – alle dichiarazioni dei familiari e degli amici del B., le quali, inserite in uno scritto sostanzialmente improntato alla rappresentazione agiografica del defunto e denigratoria dei suoi pretesi persecutori, ne erano uscite esaltate.

Non e’ dunque vero che il giudice di merito abbia omesso di bilanciare i valori costituzionalmente protetti dei quali, in parte qua, e’ necessario tener conto, essendo piuttosto meramente assertivo l’assunto della mancata comparazione tra i valori in gioco; ne’ e’ vere che il decidente si sia sottratto all’impegno di dare adeguatamente conto del suo convincimento.

Vale allora il principio per cui, in tema di diffamazione a mezzo stampa, la ricostruzione storica della vicenda, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione e l’esclusione dell’esimente del diritto di cronaca o di critica, appartengono all’area degli accertamenti riservati al giudice di merito, insindacabili in sede di legittimita’ se, come nella fattispecie, congruamente motivati (Cass. civ. 24 aprile 2008, n. 10636; Cass. civ., 8 agosto 2007, n. 17395).

Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 6.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2011

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