Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14126 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. I, 27/06/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 27/06/2011), n.14126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12821/2008 proposto da:

M.S. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA LUCULLO 3, presso l’avvocato ADRAGNA NICOLA,

rappresentata e difesa dall’avvocato RAUCCI Rosanna, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.I. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA OVIDIO 20, presso lo STUDIO PROF. AVV. LICCARDO LANDOLFI

& ASSOCIATI, rappresentato e difeso dall’avvocato ACTIS

Giovanni,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 396/2008 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 01/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12/04/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato STICCO, con delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 396 depositata il 1 febbraio 2008 e notificata il 6 marzo 2008, ha dichiarato inammissibile il gravame proposto da M.S. nei confronti di C.I., avverso la sentenza parziale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva dichiarato la separazione personale fra i predetti coniugi.

Avverso la statuizione M.S. ricorre per cassazione sulla base di cinque mezzi resistiti dall’intimato con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. Il collegio ha disposto darsi luogo a motivazione semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La sentenza impugnata, esclusa in linea preliminare, perchè indimostrata, l’intervenuta riconciliazione fra i coniugi, addotta dalla M. anche sulla scorta del suo stato di gravidanza, ma smentita dal coniuge: 1.- ha ravvisato e quindi dichiarato la nullità della sentenza impugnata, perchè assunta senza previa concessione alle parti del termine per formulare le loro conclusioni definitive, non comportante tuttavia rimessione degli atti al precedente grado; 2.- ha escluso la litispendenza col giudizio ancora pendente in primo grado, avente ad oggetto la determinazione delle condizioni della separazione, semmai pregiudiziale agli effetti di cui all’art. 295 c.p.c.; 3.- avendo rilevato che le censure mosse dall’appellante inerivano a vizi processuali, ma non esponevano richieste di merito, ne ha ravvisato il difetto d’interesse concreto all’impugnazione.

1.- Si deduce col 1^ motivo violazione degli artt. 154, 2696 e 2728 c.c. e art. 244 c.p.c..

Si assume che l’inconsistenza delle cause della crisi coniugale addotte dal C. renderebbero credibile che la coppia sappia regolare il proprio rapporto affettivo, oltre che la convivenza in appartamento ereditato dal predetto da cui è nata un’altra figlia.

Si lamenta l’omessa giustificazione della mancata comparizione in udienza, seppur il concepimento della bambina deponesse per la persistenza del rapporto sentimentale. Si ascrive al C. omesso espletamento della prova da cui era gravato.

Il complesso conclusivo quesito di diritto chiede se l’attore è onerato della prova dei fatti costitutivi della domanda; se il giudice è tenuto all’analisi dei fatti; se il concepimento della figlia dovesse valutarsi nel contesto familiare ostile; se questo fatto può dimostrare la riconciliazione.

Il contro ricorrente deduce l’inammissibilità del motivo.

Il motivo è inammissibile.

La censura non individua nè il passaggio logico specifico della decisione impugnata cui possano riferirsi gli argomenti in cui si articola, peraltro coltivando apparentemente vizio di motivazione neppure denunciato, nè la correlata effettiva violazione di legge ascritta al giudicante.

Il complesso quesito di diritto, generico nella sua confusa articolazione, non assolve alla funzione propria di far comprendere a questa Corte di legittimità, dalla sua mera lettura, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del motivo, la regola da applicare.

2.- Il 2^ motivo denuncia violazione di giudicato endoprocessuale rappresentato dalla declaratoria di nullità della sentenza del Tribunale, pronunciata con ordinanza collegiale del maggio 2007. Di qui la violazione degli artt. 324, 329, 340 e 361 c.p.c.. Il quesito di diritto chiede “se la natura di un provvedimento del giudice si ricavi dal suo contenuto ovvero dalla sua denominazione, e se il giudice è tenuto a rilevare il giudicato interno, ed individuare la volontà delle parti”.

Il resistente deduce l’inammissibilità del mezzo.

La censura, confusamente esposta, sembra indirizzarsi avverso il passaggio logico della decisione impugnata che ha dato atto dell’ordinanza del collegio che, rilevata l’omessa concessione alle parti da parte del primo giudice del termine per formulare le conclusioni finali, ha disposto la rinnovazione degli atti nulli, escludendo nondimeno l’applicazione del disposto dell’art. 354 c.p.c., comma 2. Carente nel suo tessuto argomentativo, che non illustra alcuna effettiva ragione di critica, la censura non riferisce neppure quale sia il contenuto della questione cui la Corte del merito avrebbe attribuito rilevanza solo formale, ma soprattutto non rappresenta i fatti e le situazioni che avrebbero potuto influenzare il giudizio conclusivo della Corte del merito se ne fosse stata ammessa l’illustrazione all’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni.

Formula a conclusione quesito di diritto parimenti generico, inidoneo in quanto tale a cogliere la regula juris che dovrebbe correttamente applicarsi al caso di specie.

3.- La ricorrente denuncia col terzo motivo violazione dell’art. 1362 c.c.. Ascrive alla Corte del merito errore consistito nel non aver considerato che le eccezioni formulate in primo grado e ribadite in appello si fossero trasformate in domande, che dunque rendevano ammissibile l’appello. Il quesito di diritto chiede,, in conformità, “se il giudice può trasformare le eccezioni in domande nè omettere di segnalare la richiesta di accoglimento dell’eccezione di rigetto della domanda di separazione del C. mancando presupposti e condizioni”.

Sia la censura che il quesito sono generici e di oscura intelligibilità. Di qui l’inammissibilità del motivo.

4.- Analoga sorte merita il 4^ motivo che, denunciando violazione degli artt. 189 e 190 c.p.c., asseritamente consumata nei due gradi di merito, chiede col quesito di diritto se il giudice può omettere l’udienza di precisazione delle conclusioni, arrecando “vulnus” al principio del contraddittorio. Premesso che il procedimento di separazione, regolato da rito camerale, non prevede l’udienza per la precisazione delle conclusioni, non può non rilevarsi la genericità della censura che neppure specifica in qual modo la denunciata omissione avrebbe compromesso il diritto di difesa, non specificando fatti e circostanze che, rappresentate in quella sede, avrebbero influenzato la decisione.

5.- Ancora inammissibile è l’altro mezzo che denuncia violazione dell’art. 151 c.c. e degli artt. 39, 103 e 709 bis c.p.c., e lamenta che la Corte territoriale avrebbe superato l’eccezione di litispendenza sull’assunto che il giudizio ancora pendente innanzi al Tribunale avesse ad oggetto domande accessorie della separazione, laddove, di contro, riguardava fatti incidenti sulla separazione. Il quesito di diritto chiede se il giudice può prescindere dalla pendenza dello stesso processo in fasi diverse.

Al pari dei precedenti, il motivo in esame è generico.

La censura esposta è priva di qualsiasi riferimento ai termini della vicenda alla quale si riferisce sì da precludere l’individuazione, necessariamente specifica, sia del passaggio logico della sentenza impugnata fatto segno di critica, sia dell’errore di diritto ivi riscontrabile.

Tutto ciò premesso, il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidandole in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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