Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14125 del 11/06/2010

Cassazione civile sez. un., 11/06/2010, (ud. 02/02/2010, dep. 11/06/2010), n.14125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente di sezione –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 8470/2005 proposto da:

G.A. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 15, presso lo studio dell’avvocato

CANEPA FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avvocato COSLOVICH

Libero, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.A., nella qualità di erede con beneficio di

inventario di S.A., elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE ARNALDO DA BRESCIA 9, presso lo studio dell’avvocato

LEONE ARTURO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

TROPEA GIULIANO, per delega a margine del controricorso;

LA FONDIARIA S.A.I. S.P.A. ((OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LEONIDA BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato SPINELLI

GIORDANO TOMMASO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MILESI CACCIAMALI GIUSEPPE, per delega a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

R.A., R.B., R.R.,

RA.RA., tutti nella qualità di eredi di R.

R., C.L., PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE

D’APPELLO DI BRESCIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 215/2004 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 12/03/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

02/02/10 dal Cons. Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;

uditi gli avvocati Francesco CANEPA per delega dell’avv. Libero

Coslovich, Giordano Tommaso SPINELLI;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, il quale chiede che la Corte decida sull’istanza di

remissione in termini.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso che:

con atto di citazione qualificato “contestuale proposizione di querela di falso e svolgimento di azione surrogatoria ex art. 2900 c.c.”, G.A. conveniva innanzi al Tribunale di Bergamo la moglie C.L., i coniugi Ra.Re. e S.A., la Italia Assicurazioni s.p.a. nonchè, in qualità di interventore necessario, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo, sostenendo: che in data (OMISSIS), il figlio minore P. era deceduto in seguito ad un sinistro stradale avvenuto tra la bicicletta condotta dallo stesso e l’autovettura di proprietà della S. e condotta dal R.;

che la propria moglie C.L., a causa della sofferenza psichica causata dalla morte del figlio, non era stata più in grado di condurre la sua attività artigianale e di far fronte ai debiti, per cui esso attore, che le aveva concesso garanzia ipotecaria, era stato costretto a vendere l’immobile ipotecato, così maturando un diritto di credito nei confronti di essa C.;

che quest’ultima aveva altresì trascurato di agire in giudizio in ordine ai danni derivatile dal sinistro in questione (tanto da rifiutarsi di sottoscrivere atti di interruzione del termine di prescrizione del diritto al risarcimento);

che, pertanto, dichiarava di agire in surrogatoria della C. ai sensi dell’art. 2900 c.c., sia nei confronti di detti coniugi R.- S. (nelle rispettive qualità di conducente e proprietaria del veicolo investitore), sia nei confronti della società assicuratrice (Italia Assicurazioni s.p.a., in seguito la Fondiaria Sai s.p.a.), chiedendo, quindi, condannarsi i convenuti in solito al risarcimento dei danni in favore suo e della C.;

si costituiva in giudizio la compagnia assicuratrice, mentre gli altri convenuti venivano dichiarati contumaci e la C. si costituiva in corso di causa dichiarando di essere in grado di tutelare i suoi interessi e chiedendo che fosse respinta la domanda proposta dal marito in surrogatoria e condannati gli altri convenuti al risarcimento dei danni derivati dal sinistro;

l’adito Tribunale di Bergamo, con sentenza in data 21.11.1998, dopo aver ritenuto il G. legittimato all’azione surrogatoria, riteneva, però, che l’avvenuta costituzione della C. e lo svolgimento da parte sua dell’azione per cui prima era stata inerte, avessero determinato la cessazione di detta legittimazione del G., con conseguente improcedibilità della domanda di quest’ultimo;

quanto alla domanda della C. intesa ad ottenere il risarcimento del danno, sulla premessa che, avendo essa identico tenore rispetto a quella proposta a suo tempo da G., reputava irrilevante che non ne fosse stata fatta notificazione al R. e alla S., rimasti contumaci;

proponeva appello il G., cui resisteva la Fondiaria che svolgeva anche appello incidentale e che, in via pregiudiziale, deduceva l’inammissibilità dell’impugnazione principale perchè notificata alla S. e al R., rispettivamente deceduti in data 18.9.1998 e 15.9.1999, anzichè ai loro eredi;

con provvedimento del 23.11.2001, la Corte d’Appello di Brescia, dichiarava la nullità dell’appello nei confronti del R., per essere il medesimo deceduto dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado e disponeva la rinnovazione della notifica dell’appello agli eredi della S. e la notifica alla C., rimasta contumace, dell’appello incidentale proposto nei suoi confronti dalla Fondiaria;

a seguito della rinnovazione delle notifiche si costituivano R.A., R.B., Ra.Ra., e R.R., le ultime tre adducendo di non essere eredi della S., per essere unico erede il primo che aveva accettato l’eredità con beneficio di inventario;

con sentenza del 12.3.2004, la Corte d’Appello di Brescia dichiarava inammissibile l’appello del G. nei confronti di R. B., Ra.Ra. e R.R., in quanto non eredi della S., e rigettava l’appello del G. con riguardo alle posizioni di R.A., della C.e della Fondiaria, nonchè rigettava gli appelli incidentali proposti dalla Fondiaria e da R.A., confermando nel resto la decisione di primo grado;

il G. proponeva ricorso per cassazione con sei motivi nei confronti della C., dell’istituto assicuratore, di R. A., in qualità di erede della S. e nei confronti del medesimo R.A. in proprio, nonchè di R. B., Ra.Ra. e R.R., nella qualità di eredi di Ra.Re., nonchè nei confronti del procuratore generale presso la Corte d’Appello di Brescia, nella qualità di interventore necessario;

resistono con separati controricorsi La Fondiaria e R. A., “erede con beneficio di inventario di S.A.”;

il ricorrente G. e R.A. hanno depositato memorie;

a seguito di ordinanza interlocutoria n. 15891/2009 della terza sezione civile di questa Corte, il Primo Presidente rimetteva la controversia a queste S.U.: in detta ordinanza si dava atto che il Relatore, nella camera di consiglio del 25.5.2009 “ha fatto constatare al Collegio che il ricorso in epigrafe, pur avendo esattamente individuato tutti i soggetti contro cui avrebbe dovuto essere proposto e, quindi, pur essendo stato proposto contro tutti tali soggetti ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 1, non si presentava corredato dall’avviso di ricevimento relativo alla notificazione a mezzo posta riguardo ad alcune delle parti intimate non costituitesi e precisamente con riferimento a C.L. ed a B., Ra. e R.R.”; e si dava altresì atto che il Pubblico Ministero aveva chiesto, in sede di conclusioni, disporsi il rinnovo della notifica nei confronti di dette intimate; veniva quindi formulato il seguente quesito: “se allorquando il ricorrente in cassazione individui le parti contro le quali il ricorso deve essere proposto nel rispetto dell’art. 331 c.p.c. e, quindi, lo proponga, agli effetti di cui all’art. 366 c.p.c., n. 1 nei confronti di esse tutte ma poi ometta di notificare ad una o ad alcune di esse ovvero ancora notifichi ad una o ad alcune di esse a mezzo posta ed ometta, tuttavia, lino alla discussione in udienza pubblica di produrre l’avviso di ricevimento della o delle dette notificazioni, e, se del caso anche all’esito di richiesta di chiarimenti in udienza, nemmeno alleghi una situazione idonea a rimetterlo in termini per provvedere ad un rinnovo della notificazione, comporti: l’inapplicabilità dell’art. 331 c.p.c. e, quindi, del dovere della Corte di cassazione di ordinare la rinnovazione in funzione di realizzazione dell’integrità del contraddittorio ai sensi di detta norma, con la conseguenza che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile;

ovvero lasci intatta l’applicabilità dell’art. 331 c.p.c.”;

per rispondere positivamente al sopraesposto quesito, occorre analizzare compiutamente la rado dell’art. 331 c.p.c., anche alla luce della evoluzione giurisprudenziale in tema di notifiche delle impugnazioni;

si deve innanzitutto osservare che l’art. 331 c.p.c., disciplina le cause inscindibili e le cause tra loro dipendenti, prevedendo che nei giudizi aventi ad oggetti detti procedimenti la struttura soggettiva dell’impugnazione debba essere analoga a quella della fase anteriore;

la necessità di tale previsione deriva dall’esigenza di garantire l’unicità della decisione, atteso che nel nostro sistema vigono sia il principio della “personalità” dell’impugnazione, per cui le sentenza emesse in tale sede esplicano, di regola, i loro effetti soltanto nei confronti di coloro che abbiamo preso parte al giudizio, in qualità di proponenti o destinatari dell’atto impugnatorio, sia la concezione per cui la sentenza, sia pur formalmente unica, si scinde in realtà in una pluralità di capi passibili di impugnazioni separate, con il conseguente rischio di giudicati contraddittori o di pronunce inutiliter datae;

in un sistema basato su detti principi l’esigenza di garantire l’unicità della decisione si pone, quindi, sia per le cause inscindibili che per quelle dipendenti. Ed infatti per le prime, caratterizzate dalla presenza di una pluralità di parti in relazione ad un unico oggetto (non può in proposito negarsi che le cause inscindibili comprendano sia i giudizi in cui in primo grado sussiste il litisconsorzio necessario di diritto sostanziale sia quelli in cui lo stesso litisconsorzio sia conseguenza dell’attività processuale, sul punto da ultimo Cass. n. 1535/2010), una eventuale pronuncia adottata nei confronti solo di alcune di esse sarebbe inutiliter datae, le cause dipendenti sono, invece, caratterizzate, oltre che da una pluralità di parti, anche da una pluralità di oggetti che, essendo stati riuniti e trattati in un unico processo, devono esser decisi contestualmente, posto che la decisione dell’uno costituisce il presupposto logico-giuridico della decisione dell’altro, e ciò per impedire giudicati contraddittori;

questa Corte ha più volte affermato i principi (tra le altre, in particolare, Cass. n. 4900/2004; Cass. n. 1238/2005 e 6220/2005) secondo cui la notificazione a mezzo posta effettuata nei confronti di tutte le parti del precedente giudizio, ma non provata dall’attestazione dell’avvenuto ricevimento, in assenza della costituzione in giudizio degli intimati, rende la notifica del tutto inesistente; inoltre che, qualora la notificazione del ricorso per cassazione diretta ad integrare il contraddico rio ex art. 331 c.p.c. non sia perfezionata per la morte del destinatario, si deve assegnare un ulteriore termine perentorio per rinnovare la notificazione;

ancora, che in caso di mancato depositato dell’avviso di ricevimento relativo alla notificazione ad uno degli intimati, qualora questi non abbia resistito al ricorso nè sia comparso all’udienza per discutere la causa, la sussistenza del carattere inscindibile della causa comporta la necessità dell’adozione di un ordine di integrazione del contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c., in relazione all’art. 371 bis c.p.c., non potendo farsi luogo alla declaratoria di inammissibilità del ricorso nei riguardi del predetto intimato, che altrimenti sarebbe imposta da detta mancata produzione;

in seguito, però, sempre questa Corte a Sezioni Unite, con decisione n. 627/2008, in una fattispecie di notificazione a mezzo posta del ricorso per cassazione, anche se in una controversia tra due sole parti, nell’ipotesi in cui la parte ricorrente non abbia prodotto il relativo avviso di ricevimento e l’intimato non abbia svolto attività difensiva, ha enunciato il principio in base al quale la produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato, contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai sensi dell’art. 149 c.p.c., o della raccomandata con la quale l’ufficiale giudiziario da notizia al destinatario dell’avvenuto compimento delle formalità di cui all’art. 140 c.p.c., è richiesta dalla legge esclusivamente in funzione della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio;

ne consegue che l’avviso non allegato al ricorso e non depositato successivamente può essere prodotto fino all’udienza di discussione di cui all’art. 379 c.p.c., ovvero fino all’adunanza in Camera di consiglio ex art. 380 bis c.p.c.. In caso però, di mancata produzione dell’avviso di ricevimento, ed in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato, il ricorso per cassazione è inammissibile, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c. (tuttavia, il difensore del ricorrente presente in udienza o all’adunanza della corte in camera di consiglio può domandare di essere rimesso ai termini, ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c.); tale ultima pronuncia risulta “condivisa” da pronunce successive, tra cui quella rilevante, con riferimento proprio alla fattispecie in esame, in tema di omesso deposito dell’avviso di ricevimento della notificazione a mezzo posta in cause inscindibili – Cass. n. 26889/2008 (si è affermato che l’art. 331 c.p.c, in virtù del quale il giudice deve ordinare d’ufficio l’integrazione del contraddittorio quando l’impugnazione della sentenza pronunciata in cause inscindibili o dipendenti non sia avvenuta nei confronti di tutte le parti, non sia applica quando la parte impugnante abbia correttamente individuato tutti i contraddittori, ma poi riguardo ad uno di essi la notificazione sia stata omessa o sia inesistente ovvero non ne venga dimostrato il perfezionamento; pertanto, ove il ricorrente per cassazione ometta di depositare nei termini l’avviso di ricevimento della notificazione del ricorso effettuata a mezzo del servizio postale, non potendosi applicare in via analogica l’art. 331 c.p.c per difetto della eadem ratio, ed alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., l’impugnazione deve essere dichiarata inammissibile, ferma restando la facoltà della parte interessata di invocare la remissione in termini ex art. 184 c.p.c., previa la debita dimostrazione che l’omessa produzione del suddetto avviso di ricevimento non è dipesa da propria colpa); a tal punto quindi occorre stabilire, in relazione alla fattispecie in esame (e alla risposta da dare a suddetto quesito di cui all’ordinanza interlocutoria), quale principio debba ritenersi prevalere tra quelli in tema di durata ragionevole del processo e in tema di giusto processo: ritenere, infatti, in tema di cause inscindibili, che la omessa o inesistente notifica dell’impugnazione a mezzo posta non dia luogo all’integrazione del contraddittorio ma all’inammissibilità dello stesso gravame, comporterebbe un ovvio giudizio di priorità di detta ragionevole durata del processo rispetto alla esigenza di integrazione del contraddittorio (principi entrambi costituzionalmente rilevanti ex art. 11 Cost.);

come già esposto, l’esigenza che ha mosso il legislatore nel concepire l’art. 331 c.p.c. è quella di garantire l’unicità della decisione in relazione tanto alle cause inscindibili che per quelle dipendenti, al line di evitare, con riferimento alle prime, decisioni inutiliter datae, e con riguardo alle seconde, pronunce contraddittorie, se emesse soltanto nei confronti di alcune parti;

tale ratio emerge in modo evidente dal dato testuale della norma in esame secondo cui “se la causa non è stata impugnata nei confronti di tutte, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio”;

pertanto se è vero che detta norma tende ad evitare contraddittorietà di giudicati, può logicamente desumersi che il legislatore con essa abbia voluto riferirsi ad una molteplicità di ipotesi, ricollegando alla mancata impugnazione sia le situazioni in cui essa sia frutto di una scelta consapevole o meno della parte nella individuazione dei soggetti legittimati o di un errore nella relativa individuazione, sia le situazioni in cui, pur avendoli la parte correttamente individuati, non sia in grado di dimostrare che la notificazione dell’atto impugnatorio abbia avuto effettivamente buon fine;

deve aggiungersi che non può ritenersi che le esigenze connesse alla durata ragionevole del processo siano prevalenti rispetto alle esigenze del giusto processo, come più volte ribadito dalla stessa giurisprudenza di legittimità, con particolare riferimento alla recente pronuncia n. 2723/2010, che, in relazione all’esigenza di integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c, ha ritenuto la stessa non rilevante, in ossequio al principio della ragionevole durata del processo, là dove il ricorso per cassazione risulti prima facie infondato e l’integrazione vada effettuata nei confronti di parti totalmente vittoriose nel merito;

ne consegue che solo, in via di eccezione e sussistendo detti presupposti, il principio della ragionevole durata del processo prevale sul principio del giusto processo (atteso che la concessione di un termine per l’integrazione del contraddittorio si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini del giudizio senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti);

nella fattispecie in esame, tale “precedente” n. 2723/2010 non può trovare applicazione, in quanto il ricorrente si duole soprattutto del mancato accoglimento della sua richiesta, quale surrogante la consorte ex art. 2900 c.c., di corrispondere alla surrogata C. L. (nei cui confronti si pone il problema dell’integrazione del contraddittorio) tutti i subiti danni (patrimoniali, biologici e morali), e sul punto la motivazione dell’impugnata sentenza non appare prima facie “convincente”; manca, nella presente sede di legittimità, prova, mediante avviso di ricevimento, dell’avvenuta notifica, a mezzo posta, del ricorso per cassazione nei confronti di C.L., R.B., Ra.Ra. e R.R., litisconsorti necessari della controversia in esame;

ancora, ed in generale sul piano normativo, deve evidenziarsi che la durata ragionevole del processo, così come prevista e tutelata dall’art. 111 Cost., a seguito dell’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 5, non può prescindere dalla sussistenza del giusto processo. Ed infatti lo stesso articolo della Costituzione è assai chiaro sul punto, laddove testualmente prevede che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti al giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”. La L. n. 89 del 2001 (cosiddetta Legge “Pinto”) prevede testualmente, all’art. 1, comma 2, che “chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della L. 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione”. L’art. 6 comma 1, della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, a sua volta, testualmente prevede: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta”;

Ne discende che, del tutto ragionevolmente, la normativa vigente (e più recente) non lascia adito a dubbi sul fatto che la valutazione della sussistenza dei requisiti di ragionevole durata del processo presupponga che il processo sia un processo giusto; pertanto, il principio della durata ragionevole del processo non esclude affatto, sussistendo le ipotesi e i presupposti suddetti, l’esigenza di disporre l’integrazione del contraddittorio in ossequio al giusto processo (a parte la considerazione che detta integrazione di per sè non può comunque configurare causa di durata irragionevole del processo stesso).

PQM

La Corte, provvedendo a Sezioni Unite, dispone che il ricorrente integri il contraddittorio nei confronti di C.L., R.B., Ra.Ra. e R.R. (non risultando allo stato prova dell’avvenuta notifica del ricorso nei loro confronti), con notifica del ricorso da effettuarsi entro novanta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza. Rinvia la causa a nuovo ruolo.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2010

 

 

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