Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14122 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 08/07/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14845-2018 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso l’AREA LEGALE TERRITORIALE dell’Istituto medesimo,

rappresentata e difesa dagli avvocati ANNA MARIA ROSARIA URSINO,

SERGIO CAVUOTO;

– ricorrente –

contro

L.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1164/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA

MARIA LEONE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Firenze con la sentenza n. 1164/2017 aveva rigettato l’appello proposto da Poste Italiane spa avverso la decisione con la quale il Tribunale di Livorno aveva accertato che L.E. era tenuto a restituire alla società Poste Italiane spa, a seguito di statuizione dispositiva di un differente regime risarcitorio conseguente alla declaratoria di nullità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro, solo la somma effettivamente percepita dal lavoratore e non già le somme al lordo di ritenute fiscali, in quanto mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente. Avverso detta decisione la società Poste Italiane spa proponeva ricorso affidato a tre motivi. Il L. rimaneva intimato.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione di norma processuale, (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in relazione agli artt. 112, 291 e 415, per la mancata statuizione della corte fiorentina sulla eccezione di tardività della opposizione a decreto ingiuntivo.

Rilevava che il giudice di appello nulla aveva statuito sulla predetta eccezione, peraltro già sollevata dinanzi al tribunale e dallo stesso rigettata.

La censura risulta inammissibile. La società ricorrente pur richiamando la eccezione posta, non ne riporta, nel motivo del ricorso, l’esatto contenuto, così incorrendo nel difetto di carenza di specificazione. Deve a riguardo ritenersi che nel giudizio di cassazione le eccezioni pregiudiziali devono essere necessariamente riportate nella loro originaria formulazione, così da consentirne la corretta valutazione (Cass. n. 22000/2016).

2) Con il secondo motivo (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.,) è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, art. 10 T.U.I.R., comma 1 d), per aver erroneamente, la corte territoriale, ritenuto che la restituzione della somma dovesse avvenire al netto delle ritenute fiscali, in violazione di quanto disposto dalla norma circa la possibilità di richiedere la restituzione solo da parte del soggetto che aveva in origine versato le somme all’Ufficio finanziario solo in ipotesi prestabilite, non presenti nel caso di specie.

Parte ricorrente rileva la errata interpretazione dell’art. 38 richiamato quanto al meccanismo della deduzione previsto dalla norma e non applicato e rileva altresì la mancata applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, comma 1, lett. d) bis, quanto alla possibilità per il dipendente di poter operare una deduzione dal proprio imponibile fiscale corrispondente all’imposta versata, in riduzione delle imposte che lo stesso è tenuto a versare.

3) Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 91 c.p.c., per la mancata statuizione sulle spese, ove, invece, l’accoglimento della eccezione di tardività o delle eccezioni di merito, avrebbe determinato la condanna del lavoratore alle spese processuali.

I motivi possono essere trattati congiuntamente.

Questa Corte ha chiarito anche recentemente che ” In caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto a ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pertanto pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente, atteso che il caso del venir meno con effetto “ex tunc” dell’obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto ricade nel raggio di applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo” (Cass. n. 19735/18). Il principio posto, a cui si intende dare seguito, rende infondati i motivi proposti.

Il ricorso deve essere rigettato. Nulla per le spese.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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