Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14122 del 08/07/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 14122 Anno 2015
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: LORITO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso 15804-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
contro

1105
ALTAVILLA CLAUDIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 438/2009 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 08/07/2015

di LECCE, depositata il 06/03/2009 r.g.n. 1810/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/03/2015 dal Consigliere Dott. MATILDE
LORITO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega verbale

udito

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

RESSI ROBERTO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Lecce confermava la pronuncia del giudice
di primo grado con la quale era stata accolta la domanda
proposta da Altavilla Claudia nei confronti della s.p.a. Poste
Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del
termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti
dal 11/6/99 al 31/10/99 per “esigenze eccezionali conseguenti

corso e in ragione della graduale introduzione di nuovi
processi produttivi ed in attesa dell’attuazione del
progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse
umane”, e la condanna della società alla riammissione in
servizio della lavoratrice oltre al risarcimento del danno con
decorrenza dall’epoca di messa in mora.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto
ricorso affidato a due motivi trasfusi in quesiti di diritto
ed illustrati da memoria ex art.378 c.p.c.
L’intimata non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società censura (per violazione di legge
e vizio di motivazione) la sentenza impugnata nella parte in
cui ha ritenuto la nullità del termine apposto al contratto de
quo in quanto stipulato oltre la scadenza ultima fissata dagli
accordi collettivi attuativi dell’acc. az. 25-9-1997 ed
all’uopo sostiene la insussistenza di tale scadenza e la natura
meramente ricognitiva dei detti accordi.
Il motivo è infondato in base all’indirizzo ormai consolidato
in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema
vigente anteriormente al ceni del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del
2001).
Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato
precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva,
ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire
nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti
dalla legge n.230 del 1962, discende dall’intento del

alla fase di ristrutturazione degli assetti occupazionali in

legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti
sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia
per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti
(con l’unico limite della predeterminazione della percentuale
di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati
a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità
di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti

lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al
datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo
determinato” (vedi, fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21063 e, di
recente, Cass. 3-2-15 n.1909). “Ne risulta, quindi, una sorta
di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei
sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati
alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle
previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano
della disciplina generale in materia ed inserendosi nel
sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008
n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite
temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con
accordi integrativi del contratto collettivo) la sua
inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione
del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Caos.
14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente
affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di
assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo
sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del
c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo
attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione
straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente
ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione
2

ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di

degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla
data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la
legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30
aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio,
con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art.1 della

n. 28450; Cass. 4-8-2008 n.21062, cui

Cass. 28-11-2008

adde

Cass. cit

n.1909/15).
In applicazione di tale principio va quindi respinto il detto
primo motivo.
Con il secondo mezzo di impugnazione la società Poste Italiane
censura, sotto i profili della violazione di legge e del vizio
di motivazione, l’impugnata sentenza, nella parte in cui ha
omesso ogni statuizione in ordine all’eccezione di risoluzione
del rapporto per mutuo consenso tacito, nonostante la mancanza
di una qualsiasi manifestazione di interesse alla funzionalità
di fatto del rapporto, per un apprezzabile lasso di tempo
anteriore alla proposizione della domanda e la conseguente
presunzione di estinzione del rapporto stesso.
Il motivo è inammissibile.
La pronuncia resa dalla Corte territoriale, non reca, invero,
riferimento alla formulazione di alcuna eccezione di
risoluzione del contratto per mutuo consenso, da parte della
società resistente. Rinviene, pertanto, applicazione il
principio più volte affermato da questa Corte, e qui ribadito,
alla cui stregua “nel caso in cui una determinata questione
giuridica che implichi un accertamento di fatto, non risulti
trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente
che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al
fine di evitare una statuizione di inammissibilità della
censura, ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della
questione innanzi al giudice di merito indicando altresì in
quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, così da
permettere alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la
3

legge 18 aprile 1962 n. 230″ (v.ex plurimis,

veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito,
la questione stessa” (vedi Cass. 3-3-2009 n.5070, Cass. 28-72008 n.20518, Cass. 26-2-2007 n.4391).
Nello specifico, la società non ha adempiuto all’onere di
allegazione sulla medesima gravante, omettendo di specificare
le modalità secondo le quali l’eccezione sarebbe stata
formulata e la sede processuale in cui sarebbe stata

giudizio di inammissibilità fondato sui

dicta

giurisprudenziali ai quali si è fatto richiamo.
In tali sensi, quindi, va respinto il ricorso e, non essendo
stata, peraltro, avanzata alcuna altra censura, che riguardi
in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione
di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo
relativo al risarcimento del danno, neppure potrebbe incidere
in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens,
rappresentato dall’art. 32, commi 5 0 , 6 ° e 7 0 della legge 4
novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.
Al riguardo,

infatti, come questa Corte ha più volte

affermato, in via di principio, costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo
ius superveniens

che abbia introdotto, con efficacia

retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il
fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto
alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione
della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è
limitato dagli specifici motivi di ricorso

(cfr.

Cass. 8

maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070). Orbene tale
condizione non sussiste nella fattispecie.
In definitiva, il ricorso va respinto
In definitiva, alla luce degli esposti principi, il ricorso va
respinto.
Nessuna statuizione va emessa in ordine alle spese, non avendo
l’intimata svolto attività difensiva.
P. Q.M.
4

collocata, sicchè la relativa doglianza non si sottrae al

La Corte rigetta il ricorso.
Nulla per le spese.

Così deciso in Roma il 5 marzo 2015.

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