Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14121 del 08/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 08/07/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 08/07/2020), n.14121

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10383-2018 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE TRIFIRO’, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO

BARTOLOMEI 23, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CARUSO,

rappresentato e difeso dall’avvocato SONJA SIRACUSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 728/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA

MARIA LEONE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Poste Italiane spa aveva proposto ricorso avverso la sentenza n. 728/20 con la quale la corte di appello di Milano, a seguito del rinvio disposto dal Giudice di legittimità con sentenza n. 20909/2013, aveva parzialmente modificato la sentenza del Tribunale di Milano n. 2320/04, dichiarativa della nullità del termine apposto al contratto di lavoro esistito tra la Società e F.A., e della sussistenza del rapporto di lavoro tra le parti, lasciando ferma tale parte della statuizione ed invece riducendo la pretesa risarcitoria del lavoratore ad un importo pari a cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, al cui pagamento condannava la società.

Avverso tale statuizione Poste Italiane spa proponeva ricorso affidato a quattro motivi cui resisteva con controricorso il F..

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio. Poste Italiane spa depositava memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1)- Con il primo motivo è dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver, erroneamente, la Corte milanese, rilevato la illegittimità della causale apposta al contratto tra le parti nel richiamo di plurime ragioni.

2) Con il secondo motivo la società deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per aver, la Corte di appello, ritenuto non specificata la causale relativa alla riorganizzazione.

I motivi, da trattare congiuntamente, risultano inconferenti in quanto la Corte di appello, richiamando un proprio precedente, ha ritenuto non specificate le ragioni dell’assunzione valutando che la società si era limitata a riportare i dati numerici per il personale assunto in Lombardia, non indicando i dati oggettivi e quantitativi inerenti la riorganizzazione così da evidenziare le ragioni determinative dell’assunzione a termine ed il nesso causale tra quest’ultima e le oggettive condizioni aziendali. Il richiamo a plurimi aspetti è dunque irrilevante poichè la Corte territoriale ha basato il proprio giudizio con valutazione di merito, ritenendo carente la prova sulla riorganizzazione. Il giudizio è stato espresso con specifica indicazione delle carenze riscontrate. I motivi sono pertanto inammissibili.

3) Con il terzo motivo è denunciata la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 e 116 c.p.c. (ex art. 3 c.p.c., comma 1), per aver, la Corte territoriale, ritenuto non dimostrata la sussistenza delle esigenze richiamate nel contratto di assunzione. In particolare la società si duole della mancata valutazione di tutto il materiale probatorio in atti.

Come già in molte occasioni affermato da questa Corte “l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass. n. 16056/2016).

La valutazione richiesta non può neppure trovare sponda sul versante dell’esame della motivazione e della sua denunciata carenza e contraddittorietà, in quanto le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053/2014 hanno chiarito che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. L’assenza di precise indicazioni inerenti una delle ipotesi sopra enunciate rende quindi inammissibile la censura.

4) Con il quarto motivo è denunciata la violazione ed errata applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver, la corte milanese, ritenuto proporzionata, al caso di specie, la liquidazione dell’indennità in questione in misura pari a 5 mensilità.

Il motivo è inammissibile poichè il giudice d’appello ha correttamente determinato la indennità in questione richiamando i criteri di dimensione dell’impresa, gravità della violazione e durata del rapporto di lavoro ed ha, in concreto, espresso una valutazione di merito non riproponibile in questa sede di legittimità.

Deve peraltro soggiungersi che i criteri indicati dall’art. 32, comma 5, non richiedono una concomitante valutazione da parte del giudice, trattandosi di indicatori previsti dal legislatore per svolgere una valutazione indennitaria che ben può trovare piena soddisfazione solo in taluno di tali indicatori che riescano a realizzare la giusta personalizzazione del ristoro nella singola fattispecie in esame (con riferimento alla personalizzazione del danno si veda Corte Cost. sentenza n. 194/2018). Pertanto la valutazione della corte territoriale, ancorata alle dimensioni dell’impresa ed alla gravità delle violazioni, risulta coerente alle previsioni delle disposizioni inerenti la quantificazione e rispettosa dei criteri ivi contenuti (Cass. n. 25484/ 2019)

Il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo;

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Con distrazione al procuratore antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2020

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