Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1412 del 19/01/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/01/2017, (ud. 21/10/2016, dep.19/01/2017),  n. 1412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10623-2015 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIANA

54, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA CALCERANO, rappresentato

e difeso dall’avvocato NICOLA FELICE COLANGELO giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 534/2014 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

emesso e depositato il 23/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ELISA PICARONI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che la Corte d’appello di Potenza, con decreto depositato il 23 dicembre 2014, ha rigettato l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter proposta dall’avv. C.R. e confermato il rigetto della domanda di equa riparazione avente ad oggetto il danno patrimoniale derivato dalla durata irragionevole del giudizio introdotto con ricorso al Giudice del lavoro di Taranto in data 14 dicembre 2000, e concluso con sentenza della Corte d’appello di Lecce – sez. distaccata di Taranto del 9 ottobre 2013;

che il giudice dell’equa riparazione ha rilevato che il danno patrimoniale – indicato dal ricorrente nell’equivalente del credito azionato nel giudizio presupposto, rimasto insoddisfatto a seguito della progressiva spoliazione del patrimonio immobiliare del debitore – non era effetto immediato e diretto della ritardata definizione del giudizio presupposto;

che, infatti, l’ordinamento conosce strumenti processuali tipicamente finalizzati a scongiurare la perdita delle garanzie patrimoniali, quali il ricorso per sequestro conservativo e l’azione pauliana, come ammesso dallo stesso ricorrente;

che per la cassazione del decreto l’avv. C.R. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi;

che il Ministero della giustizia resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata;

che il ricorso è affidato a tre motivi, con i quali si denuncia:

1) violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e vizio di motivazione, per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, consistito nella verifica dell’applicabilità dei mezzi di tutela del credito nel caso di specie, posto che l’art. 2 esige la valutazione in concreto del giudizio presupposto;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. e art. 671 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo, assumendosi che nel ricorso per equa riparazione si era argomentato in ordine alla inapplicabilità in concreto degli strumenti di tutela della garanzia patrimoniale, in ragione della scarsa probabilità di accoglimento, ai limiti della temerarietà, delle relative domande; 3) violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 1227 c.c., comma 2, e si contesta che la decisione del giudice dell’equa riparazione sarebbe fondata sulla rilevata mancata diligenza del ricorrente-creditore;

che le doglianze, da esaminare congiuntamente per l’evidente connessione, sono infondate;

che la Corte d’appello, nel decreto impugnato, ha fatto applicazione della giurisprudenza costante di questa Corte suprema secondo cui, in forza del principio di causalità adeguata, il danno economico può ritenersi ricollegato al ritardo nella definizione del processo solo se sia l’effetto immediato e diretto di tale eccessiva durata sulla base di una normale sequenza causale, non essendo il pregiudizio patrimoniale indennizzabile come “danno evento”, riconducibile al fatto in sè dell’irragionevole protrazione del processo (ex plurimis, Cass., n. 23756/2007; n. 16837/2010; n. 1616/2011; n. 18239/2013);

che, nella specie, la domanda di equa riparazione muoveva dal presupposto che mancassero le condizioni per agire a tutela del credito azionato, sotto il profilo della conservazione della garanzia patrimoniale, e che pertanto la durata non ragionevole del giudizio presupposto aveva consentito la progressiva spoliazione del patrimonio della società debitrice;

che la Corte d’appello ha ritenuto che il ragionamento non fosse condivisibile in quanto basato sulla ipotizzata temerarietà delle azioni a tutela della garanzia patrimoniale, quindi su una valutazione meramente soggettiva e astratta che, oltre a non incidere sul piano dei principi oggetto di applicazione, era anche discutibile, tenuto conto del lungo lasso di tempo (sette anni e mezzo) trascorso dalla pronuncia di primo grado sfavorevole al ricorrente, senza che questi azionasse misure a tutela della garanzia patrimoniale;

che la decisione è frutto di esame in concreto della fattispecie, all’esito del quale il giudice dell’equa riparazione ha escluso il nesso di causalità tra durata del giudizio presupposto e danno patrimoniale azionato, in ciò risiedendo la ratio decidendi del decreto impugnato;

che è privo di rilevanza l’art. 1227 c.c., di cui è denunciata la violazione nel terzo motivo di ricorso, poichè il tema del concorso di colpa del creditore è estraneo alla fattispecie in oggetto in cui, come si è detto, il giudice dell’equa riparazione ha ritenuto insussistente il collegamento tra la durata irragionevole del giudizio presupposto e la perdita della garanzia patrimoniale;

che al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio, come in dispositivo;

che, risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore del Ministero della giustizia, liquidate in Euro 1.800, oltre spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte suprema di Cassazione, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2017

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