Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14115 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. II, 24/05/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 24/05/2021), n.14115

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19679/2019 R.G. proposto da:

M.J., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, al

viale Giuseppe Mazzini, n. 6, presso lo studio dell’avvocato Manuela

Agnitelli, che lo rappresenta e difende in virtù di procura

speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato è difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2200/2018 della Corte d’Appello di Catanzaro;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 7 gennaio 2021 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. M.J., cittadino del Bangladesh, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che nel suo paese d’origine era stato nominato vicesegretario della sezione studentesca del “(OMISSIS)” ed in tale qualità aveva preso parte a numerose manifestazioni politiche; che in data 2.5.2012, nel far ritorno a casa al termine di un comizio, alcuni esponenti del partito avversario lo avevano aggredito ed accoltellato; che le forze dell’ordine avevano rifiutato la denuncia che aveva inteso sporgere; che i timori per la sua vita e la sua incolumità lo avevano indotto a trasferirsi dapprima presso l’abitazione di uno zio materno e poi in Libia, ove, nel (OMISSIS), aveva riportato una ferita alla coscia sinistra; che dalla Libia si era infine imbarcato per l’Italia.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.

3. Con ordinanza del 24.2.2016 il Tribunale di Catanzaro respingeva il ricorso proposto da M.J. avverso il provvedimento della commissione.

4. M.J. proponeva appello.

Resisteva il Ministero dell’Interno.

5. Con sentenza n. 2200/2018 la Corte di Catanzaro rigettava il gravame.

Evidenziava la corte che la valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, espressa dal tribunale, era appieno da condividere; che in particolare le dichiarazioni risultavano incoerenti ed inverosimili.

Evidenziava quindi che non sussistevano i presupposti e per il riconoscimento dello status di rifugiato e per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Evidenziava altresì che le risultanze dei reports più recenti, tra cui il rapporto “E.A.S.O.” dell’agosto 2018, non davano conto con riferimento alla regione del Bangladesh di provenienza del ricorrente, di situazioni di indiscriminata violenza derivante da conflitti armati interni o internazionali.

Evidenziava quindi che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c).

Evidenziava infine che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava, per un verso, che il ricorrente, anche in ragione dell’inattendibilità delle sue dichiarazioni, non versava in condizioni personali tali da essere esposto al rischio, in ipotesi di rimpatrio, di significativa vulnerabilità; per altro verso, che era da escludere che nella regione del Bangladesh di provenienza del ricorrente esistesse una situazione di emergenza umanitaria; per altro verso ancora, che non aveva di per sè valenza sufficiente l’intrapreso percorso di integrazione nel tessuto socioeconomico italiano, quale riscontrato dalla documentazione prodotta, attestante il lavoro part time quale commesso presso un fruttivendolo.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.J.; ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza pubblica.

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 46, par. 3, della direttiva 2013/32/CE e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Deduce che la sua richiesta di audizione è stata respinta senza alcuna motivazione sia in primo grado che in grado di appello con conseguente significativa menomazione del suo diritto di difesa.

8. Il primo motivo di ricorso va respinto.

9. Va debitamente reiterato l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale, nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (cfr. Cass. (ord.) 21.11.2011, n. 24544; Cass. (ord.) 7.2.2018, n. 3003; Cass. (ord.) 29.5.2019, n. 14600; Cass. (ord.) 15.4.2020, n. 8931).

10. In ogni caso la Corte di Catanzaro ha compiutamente esplicitato, in premessa, le ragioni alla cui stregua ha reputato non necessario far luogo alla rinnovazione dell’audizione del richiedente asilo.

Più esattamente la corte d’appello ha chiarito che non si imponeva la rinnovazione dell’audizione, siccome, da un canto, il ricorrente aveva avuto la possibilità, dinanzi alla commissione, di riferire ogni utile circostanza, siccome, d’altro canto, la richiesta di nuova audizione non si correlava ai motivi di appello (cfr. sentenza impugnata, pag. 2).

E’ in toto ingiustificato perciò prospettare menomazioni del diritto di difesa.

11. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b) e c) e art. 4; il vizio di motivazione apparente, illogica e contraddittoria.

Deduce che ha errato la corte a reputare inattendibili le sue dichiarazioni.

Deduce che ha reso dichiarazioni circostanziate e precise, avvalorate dalla documentazione prodotta.

Deduce che del resto la corte avrebbe dovuto intendere le sue dichiarazioni in rapporto al contesto socio-politico di provenienza e ben avrebbe dovuto avvalersi dei suoi poteri istruttori officiosi.

12. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la nullità della sentenza impugnata.

Deduce che la corte non ha per nulla esplicitato le ragioni per le quali non ha inteso riconoscergli lo status di rifugiato.

13. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4, 5, 7 e art.n 14, lett. b) e c), artt. 2,3,5,8 e 9 C.E.D.U. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis.

Deduce che ha errato la corte a disconoscere la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. b) e c).

Deduce che, ai fini della valutazione della situazione socio-politica attualmente esistente in Bangladesh e del riscontro della capacità dello Stato d’origine di assicurargli adeguata protezione, ben avrebbe dovuto la corte avvalersi dei suoi poteri istruttori officiosi.

14. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; il vizio di motivazione apparente, illogica e contraddittoria.

Deduce che ha errato la corte a disconoscere la protezione umanitaria. Deduce che, qualora rimpatriato, si ritroverebbe in condizioni di elevata vulnerabilità.

Deduce invero che ha lasciato il Bangladesh in giovane età, che il Bangladesh versa in una difficilissima situazione socioeconomica, che ha intrapreso in Italia un proficuo percorso di integrazione e parla l’italiano.

15. I rilievi, che la delibazione del secondo, del terzo, del quarto e del quinto motivo di ricorso postula, tendono, per ampia parte, a sovrapporsi e a riproporsi; il che suggerisce la disamina simultanea degli esperiti mezzi di impugnazione, mezzi che, in ogni caso, sono da respingere.

16. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

17. Su tale scorta, nel solco dunque della previsione di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, si rappresenta quanto segue.

Da un canto, la corte distrettuale ha dato compiutamente conto della incongruenza e della inverosimiglianza delle dichiarazioni rese dal ricorrente.

Tra l’altro, la corte ha posto in risalto che l’appellante aveva mostrato “di ignorare aspetti non trascurabili del movimento politico di cui afferma di essere stato vice-segretario di zona” (così sentenza d’appello, pag. 6).

D’altro canto, il ricorrente senza dubbio sollecita questa Corte a far luogo ad una “diversa lettura” delle sue dichiarazioni.

18. Si tenga conto che nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare – ben vero al di là dell’ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

19. Su tale scorta per nulla si giustificano le censure addotte dal ricorrente.

Ovvero la doglianza concernente la pretesa omessa motivazione in ordine al disconoscimento dello status di rifugiato ed in ordine al disconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. b).

Ovvero la doglianza concernente il mancato esercizio dei poteri officiosi di cooperazione istruttoria.

20. In tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

21. In questi termini, analogamente nel solco dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, si osserva quanto segue.

Da un lato, nessuna “anomalia motivazionale” si scorge in ordine alle motivazioni alla stregua delle quali la corte territoriale ha disconosciuto la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c).

Dall’altro, il ricorrente, in fondo, non adduce, così come avrebbe dovuto, specificamente e puntualmente a supporto delle sue prospettazioni fonti di informazioni recenti sulla situazione socio – politica attualmente esistente in Bangladesh (cfr. Cass. 18.2.2020, n. 4037, secondo cui, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate).

22. Senza dubbio questa Corte spiega che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nei senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

23. E però non può non darsi atto che le ragioni di doglianza che specificamente il quinto motivo di impugnazione veicola, recano, al più, censura del giudizio “di fatto” cui, pur in parte qua, la corte calabrese ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

24. Ebbene, in quest’ottica, similmente nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, si reputa che nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” si configura, anche in parte qua, nelle motivazioni dell’impugnato dictum.

25. D’altronde, il ricorrente indiscutibilmente sollecita questa Corte al riesame delle risultanze di causa.

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

26. Una notazione finale imprescindibilmente si impone.

Il giudizio di appello ha avuto inizio nel 2016.

Il dictum d’appello ha integralmente confermato il primo dictum.

Conseguentemente si applica ratione temporis al caso di specie, con valenza in relazione al secondo, al terzo, al quarto ed al quinto motivo, motivi tutti riconducibili, essenzialmente, al paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860; cfr. anche Cass. 22.12.2016, n. 26774).

27. Il Ministero dell’Interno sostanzialmente non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso, pertanto, nessuna statuizione in ordine alle spese va assunta.

28. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

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