Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14114 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. II, 24/05/2021, (ud. 07/01/2021, dep. 24/05/2021), n.14114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23569/2019 R.G. proposto da:

D.S., c.f. (OMISSIS), rappresentato e difeso in virtù di

procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Rosa Condello, ed

elettivamente domiciliato in Roma, alla via Carlo Mirabello, n. 14,

presso lo studio dell’avvocato Valeria Pacifico.

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge.

– controricorrente –

avverso il decreto n. 614/2019 del Tribunale di Reggio Calabria;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 7 gennaio 2021 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. D.S., cittadino del Senegal, formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che nel corso di un litigio familiare, nel quale era intervenuto in difesa della madre, il padre ed i fratellastri lo avevano brutalmente percosso con un bastone, con calci e pugni; che il timore della reazione del padre lo aveva indotto a non rivolgersi alla polizia; che dunque aveva abbandonato il paese d’origine onde sottrarsi ai rischi per la sua vita e per la sua incolumità.

2. La competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale rigettava l’istanza.

3. Con decreto n. 614/2019 il Tribunale di Reggio Calabria respingeva il ricorso proposto da D.S. avverso il provvedimento della commissione.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso D.S.; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), artt. 3, 14 e 17.

Deduce che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), il tribunale non ha vagliato in modo approfondito le sue dichiarazioni disponendo all’uopo la sua audizione.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3.

Deduce che ha diritto alla protezione umanitaria in considerazione della sua giovane età, della mancanza nel paese d’origine di riferimenti familiari, della attività lavorativa svolta in Italia, della condizione di insicurezza e della precaria situazione socioeconomica e sanitaria del Senegal.

7. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11.

Deduce che non si è proceduto alla videoregistrazione della sua audizione dinanzi alla commissione territoriale, sicchè il tribunale avrebbe dovuto senz’altro disporre la sua audizione.

8. I rilievi, che la delibazione dei motivi di ricorso postula, tendono, per ampia parte, a sovrapporsi e a riproporsi; il che suggerisce la disamina simultanea degli esperiti mezzi di impugnazione, mezzi che, in ogni caso, sono da rigettare.

9. Va dato atto previamente che è stata disposta la comparizione delle parti dinanzi al giudice designato per la trattazione ed all’uopo è stata fissata l’udienza del 9.4.2019 (cfr. decreto impugnato, pag. 2).

Su tale scorta, con precipuo riferimento al terzo motivo, che evidentemente riveste una preliminare valenza, è sufficiente reiterare l’insegnamento di questa Corte.

Ovvero l’insegnamento secondo cui nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al tribunale; ne deriva che il giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (cfr. Cass. 28.2.2019, n. 5973; Cass. (ord.) 31.1.2019, n. 2817).

10. Il tribunale ha opinato essenzialmente nel senso che la vicenda narrata dal ricorrente, pur reputata credibile, era tale da non giustificare il riconoscimento nè dello status di rifugiato nè della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

11. Evidentemente la valutazione del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione unicamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni del richiedente asilo (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

In questi termini, nel solco dunque della previsione di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nessuna forma di “anomalia motivazionale”, rilevante alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, nè, segnatamente, indici di valutazione superficiale e non approfondita delle dichiarazioni del ricorrente si scorgono nelle motivazioni che sorreggono, in parte qua, l’impugnato dictum.

Del resto il tribunale ha specificato preliminarmente che non era necessario procedere a nuova audizione del ricorrente in considerazione delle dichiarazioni rese dinanzi alla commissione territoriale e delle deduzioni di cui al ricorso.

In ogni caso l’assunto del tribunale, circa la valenza “privata” della vicenda narrata dal ricorrente, è ineccepibile ed appieno da condividere.

12. Vero è, certo, che anche i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave, ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (cfr. Cass. (ord.) 1.4.2019, n. 9043).

E tuttavia è in toto generica la prospettazione del ricorrente – veicolata dal primo motivo – secondo cui la soggezione psicologica nei confronti del padre gli ha impedito la denuncia degli accadimenti alla polizia (cfr. ricorso, pag. 5).

La testè rilevata genericità, al contempo, rende del tutto ingiustificata pur la doglianza secondo cui avrebbe dovuto il tribunale avvalersi al riguardo dei suoi poteri istruttori officiosi.

13. In tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), implica – analogamente – un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione nei limiti consentiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

14. In questi termini, del pari nel solco dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, si osserva quanto segue.

Da un lato, similmente nessuna “anomalia motivazionale” inficia le motivazioni alla stregua delle quali il tribunale ha disconosciuto la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c).

Il tribunale, in particolare e tra l’altro, ha posto in risalto che il report “Freedom House”, risalente al luglio del 2017, dà conto che il Senegal è una delle più stabili democrazie africane (cfr. decreto impugnato, pag. 3).

Dall’altro, il ricorrente si è limitato ad addurre, del tutto genericamente, sulla scorta di non meglio specificate “fonti internazionali aggiornate”, che il Senegal non è un paese sicuro (cfr. ricorso, pag. 5).

15. In ordine all’invocata protezione umanitaria il tribunale ha esplicitato che, per un verso, il ricorrente non aveva allegato la sussistenza di peculiari situazioni di vulnerabilità, cui, in ipotesi di rimpatrio, si sarebbe ritrovato esposto; che, per altro verso, era da escludere che nella regione senegalese di provenienza del ricorrente esistesse una situazione di emergenza umanitaria; che, per altro verso ancora, il ricorrente non aveva dato prova di aver raggiunto nel tessuto socioeconomico italiano un elevato livello di integrazione, siccome a tal riguardo non era sufficiente il lavoro espletato per qualche mese come bracciante agricolo (così decreto impugnato, pagg. 4 – 5).

16. Ebbene è vero senza dubbio che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

17. E però non può non darsi atto che le ragioni di censura che propriamente il secondo motivo di impugnazione veicola, recano, al più, censura del giudizio “di fatto” cui, pur in parte qua, il giudice del merito ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

18. Ebbene, in quest’ottica, parimenti nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” si delinea, anche in parte qua, nelle motivazioni dell’impugnato decreto.

D’altronde il ricorrente sollecita questa Corte a far luogo ad una diversa “lettura” delle risultanze di causa.

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

19. Nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va assunta. Invero il Ministero dell’Interno non ha sostanzialmente svolto difese.

20. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

 

 

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