Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14114 del 11/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 11/06/2010, (ud. 23/03/2010, dep. 11/06/2010), n.14114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16731-2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

C.P., elettivamente domiciliato in ROMA VIA A. FARNESE 7,

presso lo studio dell’avvocato COGLIATI DEZZA ALESSANDRO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati TREBESCHI CESARE,

TREBESCHI ANDREA, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 57/2 005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 04/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/03/2010 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il resistente l’Avvocato COGLIATI DEZZA, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società FIPRIM s.p.a. adiva il Tribunale di Milano esercitando azione di responsabilità nei confronti degli ex amministratori e dei sindaci, e, tra questi, di P.C..

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 7997 del 1999, condannava alcuni convenuti e rigettava la domanda nei confronti di altri, tra cui il C..

La Agenzia delle Entrate di Milano (OMISSIS), sezione staccata atti giudiziari, liquidava la imposta di registro proporzionalmente all’importo della statuizione di condanna, ex art. 8, lett. B della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, e notificava l’avviso di liquidazione a tutti coloro che erano stati parte nella causa, tra cui il C. ritenendoli solidalmente obbligati al pagamento della imposta ai sensi dell’art. 57, D.P.R. citato.

Questi impugnava l’avviso di liquidazione innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che accoglieva il ricorso.

Appellava l’Ufficio e la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 57/45/05 in data 28-2-05, depositata in data 4-4-05, respingeva il gravame, osservando che la statuizione di rigetto della domanda di condanna nei confronti del contribuente era autonoma ed indipendente da quella di condanna nei confronti di altri convenuti e pertanto non poteva essere sottoposta allo stesso regime fiscale.

Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione il Ministero della Economia e della Finanze e la Agenzia delle Entrate, con un motivo.

Resiste il contribuente con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente devono prendersi in esame le eccezioni di inammissibilità del ricorso del Ministero e della Agenzia delle Entrate sollevate dal contribuente nel controricorso.

Sostiene infatti che il Ministero è carente di legittimazione attiva, a seguito della successione operata con D.Lgs. n. 300 del 1999, tra tale articolazione statale e le Agenzie, con la conseguenza che, essendosi svolto il giudizio di secondo grado con la costituzione della sola Agenzia delle Entrate, con accettazione da parte del contribuente del contraddittorio in tali termini il Ministero si intende estromesso dal giudizio.

Assume inoltre che il ricorso della Agenzia sia nullo per carenza di procura, essendo solo eventuale la rappresentanza della medesima da parte della Avvocatura dello stato; pertanto, ad avviso del contribuente, occorre un atto che tale rappresentanza manifesti all’esterno sottoscritta dal legale rappresentante dell’ente.

La prima eccezione è fondata, per costante giurisprudenza di questa Corte. Tale conclusione si impone in quanto a seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle Entrate ad opera del D.Lgs. n. 300 del 1999, divenuta operativa dal 1 gennaio 2001, si è verificata una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, in forza della quale spetta esclusivamente ad essa la legittimazione processuale in ordine alle relative controversie (Cass. n. 9004 del 2007; Cass. n. 22889 del 2006; Cass. S.U. n. 3118 del 2006). Per contro il Ministero delle Finanze è privo di legittimazione ad processum nè questa può ravvisarsi, nel caso concreto, in forza delle precedenti fasi processuali, tenuto conto che il giudizio di appello, promosso dopo il 1 gennaio 2001, si è svolto con la esclusiva partecipazione della Agenzia delle Entrate.

Il ricorso del Ministero deve quindi essere dichiarato inammissibile e le spese compensate tra le parti, in relazione alla incertezza giurisprudenziale esistente sul punto all’epoca della proposizione del ricorso. Infondata appare invece l’eccezione sollevata dall’intimato di inammissibilità a causa di nullità del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate a mezzo dell’Avvocatura dello Stato per difetto di espresso e specifico mandato alle liti, avendo questa Corte già chiarito, con diverse pronunce, che l’Agenzia delle Entrate può avvalersi, per la rappresentanza in giudizio, citato D.Lgs. n. 300 del 1999, ex art. 72 del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, secondo la disciplina di cui al R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43 senza la necessità di speciali autorizzazioni, trovando applicazione la regola generale di cui all’art. 1 della Legge citata secondo cui gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato (Cass. n. 11227 del 2007; Cass. n. 24623 del 2006; Cass. n. 12351 del 2005; Cass. n. 12152 del 2005).

Essendo questa la regola generale, il rilascio di specifico mandato si palesa necessario unicamente quando la Agenzia intenda avvalersi di diverso difensore rispetto alla Avvocatura dello Stato.

Con l’unico motivo l’Ufficio deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 21. 37 e 57 e della tariffa parte prima allegata a detto D.P.R..

Ad avviso dell’Ufficio, l’argomento in base al quale la CTR ha respinto la impugnazione, consistente nel ritenere che la statuizione di assoluzione e quella di condanna sono diverse e tra loro autonome, per cui ciascuna deve essere tassata ai fini della imposta di registro in relazione alla diversa natura di ognuna, con applicazione esclusivamente della specifica tariffa che le compete, e quindi con esclusione del vincolo di solidarietà tra le diverse imposte liquidate, è erroneo.

Sostiene l’Ufficio che la esistenza di singole e diverse statuizioni contenute nell’atto da registrare, non è nella specie rilevante, in quanto l’atto oggetto di registrazione da valutare ai fini della determinazione della imposta è la sentenza.

A tale proposito, risulta a parere dell’Ufficio unicamente applicabile il disposto di cui all’art. 57, D.P.R. citato, che non fa alcuna distinzione tra le parti in causa, per cui tutte risultano solidalmente responsabili nei confronti del Fisco salvo il diritto di rivalsa interno tra gli obbligati.

Poichè quindi la sentenza del Tribunale di Milano contiene una statuizione di condanna al pagamento di una somma di denaro, tutte le parti nel processo, ivi compreso il C., sono solidalmente responsabili per il pagamento del tributo determinato in misura proporzionale ai sensi dell’art. 8 lett. b della tariffa, indipendentemente dalla soccombenza o meno in giudizio.

Il contribuente nel controricorso contesta la fondatezza dell’assunto dell’Ufficio.

Il motivo di ricorso non è fondato.

Questa Corte ha già dato una soluzione al problema della interpretazione da darsi alla espressione ” parti in causa” di cui al citato art. 57, cit. testo unico in materia di imposta di Registro, tenute in quanto tali al pagamento in via solidale della imposta oltre ai soggetti “nel cui interesse fu richiesta la registrazione” per la ipotesi di litisconsorzio facoltativo.

Si è quindi affermato che “in caso di imposta di registro, l’obbligazione solidale posta a carico delle parti in causa, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 31, art. 57, per il pagamento della imposta dovuta in relazione ad una sentenza emessa in presenza di una pluralità di parti in caso di litisconsorzio facoltativo, non grava indiscriminatamente su tutti i soggetti che hanno preso parte al procedimento unico. In caso di litisconsorzio facoltativo, infatti pur nella identità delle questioni, permane la autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici e delle singole “causae petendi” con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, restano distinte. E poichè la imposta, contrariamente all’assunto dell’Ufficio, non colpisce la sentenza in quanto tale, ma il rapporto in essa racchiuso, quale indice di capacità contributiva, il presupposto della solidarietà non può essere individuato nella mera situazione processuale del soggetto che, pur avendo partecipato al giudizio, sia rimasto totalmente estraneo al rapporto considerato dalla sentenza” (Cass. n. 16917 del 2007; n. 16891 del 2009). E’ stato anche osservato che, in caso di soggetto che abbia partecipato al giudizio, rimanendo estraneo al rapporto considerato nella sentenza, “l’interesse di cui tale soggetto è portatore potrebbe risultare non proporzionato alla imposizione che verrebbe a cadere su di lui, in contrasto con l’art. 53 Cost. il quale pur non escludendo la previsione di un vincolo solidale a carico di soggetti non direttamente partecipi dell’atto assunto a presupposto della obbligazione tributaria, esige che la solidarietà si ricolleghi a rapporti giuridico-economici idonei alla configurazione di unitarie situazioni tali da giustificare razionalmente il vincolo obbligatorio e la sua causa” (Cass. n. 11149 del 2006).

Rimane quindi assodato in detta materia il seguente principio di diritto: “non sono parti in causa solidalmente obbligate al pagamento della imposta di registro i soggetti che non siano parti del rapporto sostanziale oggetto del giudizio” (Cass. n. 14305 del 2009).

La fondatezza del principio di cui sopra è ulteriormente confermata dal disposto di cui all’art. 21 del T.U. sulla imposta di registro, che considera le statuizioni contenute nel medesimo atto (o sentenza) le quali non derivino necessariamente, per le loro intrinseca natura, le una dalle altre, soggette ad imposta come se fossero atti distinti.

L’Ufficio sostiene che ciò non influisce sul principio che coloro che hanno partecipato al giudizio sono tenuti in via solidale anche in riferimento alla imposte liquidate in relazione alle statuizioni che non li riguardano. L’assunto non può essere condiviso, è ciò non solo per i principi sopra esposti, ma anche per un motivo letterale: è ovvio che se le statuizioni da sottoporre ad imposta fossero contenute in atti diversi, non potrebbe invocarsi la applicazione della solidarietà di cui all’art. 57; orbene, se nel caso considerato dall’art. 21 ovvero di pluralità di disposizioni nel medesimo atto che non derivano le une dalle altre, “ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto” è evidente che non può applicarsi un principio diverso per il solo motivo che dette disposizioni sono contenute in un unico documento, fatto che il legislatore con la citata disposizione ritiene “ex lege” irrilevante.

Rimane da considerare se nel caso in esame, in cui un soggetto assume che più persone abbiano concorso nella esecuzione di un fatto illecito ai suoi danni, e le citi unitamente in giudizio per il risarcimento, nel caso che il procedimento si concluda per la condanna di alcuni ritenuti responsabili, e la reiezione della domanda nei confronti di altri, tali differenti statuizioni siano o meno legate dal vincolo di cui all’art. 21 citato, comma 2 secondo cui “se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalla altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che da luogo alla imposizione più onerosa” con la conseguenza che l’attuale intimato sarebbe soggetto al pagamento della imposta per cui è stato emesso l’avviso.

A tale proposito, è principio consolidato della Corte che affinchè si verifichi tale ipotesi “occorre che non si possa concepire la esistenza dell’una statuizione (o disposizione) se si prescinde dall’altra, determinandosi una connessione oggettiva per volontà della legge o per la intrinseca natura delle diverse disposizioni (o statuizioni) a nulla rilevando la esistenza, tra le stesse, di una mera connessione soggettiva” v. Cass. n. 10789 del 2004).

Su tali presupposti, è evidente che non vi è alcun legame di derivazione necessaria tra la statuizione di condanna e quella di reiezione della domanda, trattandosi di valutazioni distinte fondate, per quanto concerne la seconda, su una diversa ricostruzione dei fatti operata nel processo rispetto a quella prospettata dalla parte attrice.

Infatti, all’esito del giudizio, non vi è alcun rapporto sostanziale tra la parte attrice ed il convenuto vittorioso (diversamente da quanto avviene tra detta parte ed i convenuti soccombenti) ma un mero rapporto processuale il cui contenuto economico è limitato alla spese giudiziali ovvero alla ipotesi di responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., pertanto del tutto estraneo a quello in funzione del quale è liquidata la imposta pretesa dal fisco.

Ne consegue che, come rettamente opinato dalla Commissione Regionale, non vige nei confronti dell’intimato il vincolo di solidarietà di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 57.

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

In relazione ai tempi recenti di formazione della giurisprudenza richiamata, si ritiene equo compensare tra le parti le spese di questo grado di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero, e compensa le relative spese; rigetta il ricorso della Agenzia e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2010

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