Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14113 del 07/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 07/06/2017, (ud. 24/05/2017, dep.07/06/2017),  n. 14113

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28156-2011 proposto da:

COMUNE DI MARMIROLO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.G. BELLI

27, presso lo studio dell’avvocato GIACOMO MEREU, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MASSIMILIANO BATTAGLIOLA;

– ricorrente –

contro

D.N. & FIGLIO SPA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA

CASSIODORO 9, presso lo studio dell’avvocato MARIO NUZZO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA MORA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 221/2011 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 25/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/05/2017 dal Consigliere Dott. ALESSIO SCARCELLA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 27.06.2011, depositata in data 25.07.2011, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, in accoglimento dell’appello proposto dalla contribuente D.N. & FIGLI S.p.A., annullava la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Mantova, compensando le spese processuali del grado di giudizio. La controversia ha ad oggetto gli avvisi di accertamento ICI per gli anni 2005 e 2006 emessi dal Comune di Marmirolo nei confronti della società contribuente; il Comune, in particolare, aveva disconosciuto la natura pertinenziale dell’area ricompresa nel mappale (OMISSIS) del catasto urbano, segnatamente disconoscendo il Comune che l’intera area di mq. 23.580 potesse essere considerata come asservita allo stabilimento industriale ivi esistente, ritenendo invece del tutto autonoma e tassabile in quanto fabbricabile una porzione individuata di mq. 12.060.

2. La CTP originariamente adita aveva rigettato il ricorso, osservando che l’area soggetta alla tassazione comunale è costituita da un terreno incolto, risultante dalle fotografie in atti, di cui non risultava ontologicamente provato il carattere pertinenziale (nei termini codicistici di “destinazione durevole a servizio od ornamento” dello stabilimento), incidentalmente osservando come non risultasse contestata la caratteristica di potenziale edificabilità dello stesso terreno; la Commissione tributaria provinciale aveva, altresì, rigettato la subordinata domanda di esonero dalle sanzioni, non esistendo incertezze interpretative sulla normativa applicata.

3. La CTR adita a seguito di appello proposto dalla società contribuente, disponeva con ordinanza istruttoria 18/4/2011 che l’Agenzia del territorio di Mantova redigesse una relazione contenente ogni circostanza relativa alla vicenda dell’accatastamento del terreno in esame nonchè dell’edificio costruitovi; si legge nella sentenza impugnata che la risposta dell’Agenzia, formulata con nota 11/5/2011, è esplicita nel descrivere l’intero terreno e l’edificio in questione come facenti parte dell’unico mappale (OMISSIS), con la conseguenza che, osserva la Commissione nella sentenza impugnata, non è dato al comune impositore discostarsi dalle risultanze catastali (che, almeno in linea teorica e fino a diversa classificazione, tengono conto nella valorizzazione dell’edificio del valore della sua area catastalmente pertinenziale, e senza che sia necessario, secondo la Commissione, andare ad accertare se il terreno stesso abbia in concreto le caratteristiche di cui all’art. 817 c.c.); nell’economia della sentenza; peraltro, si sottolinea come risultino insormontabili le risultanze catastali che aggregano l’intero terreno all’edificio ivi realizzato, in un contesto normativo e giurisprudenziale che, ove interessato, il titolare dell’imposta ICI potrebbe ottenere di modificare, “passando” attraverso l’Agenzia del territorio e una diversa classificazione catastale.

4. La società contribuente D.N. & FIGLI S.p.A. si è costituita nei termini di legge mediante controricorso.

5. Ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. la società contribuente, insistendo in via preliminare per la nullità del ricorso non essendo stata prodotta in atti la delibera della Giunta comunale che avrebbe autorizzato il Sindaco al giudizio; nel ribadire l’inammissibilità del ricorso, rileva come il P.G. presso questa Corte ha depositato nei procedimenti connessi n. 10493/2013 R.G. e n. 23107/2012 R.G. le proprie conclusioni scritte ritenendo fondato il ricorso proposto dalla contribuente medesima.

6. All’udienza in camera di consiglio del 24.05.2017, esauritasi la relazione da parte del consigliere designato, il ricorso è stato trattenuto in decisione, non essendo peraltro state rassegnate conclusioni scritte da parte della P.G. presso questa S.C.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

7. Contro la prefata sentenza della Commissione tributaria Regionale ha proposto ricorso l’ente impositore Comune di Marmirolo, impugnando la decisione con cui deduce un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

7.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, conv. in L. n. 248 del 2006.

In sintesi, la censura attinge l’impugnata sentenza in quanto, sostiene l’ente ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe errata per aver escluso l’assoggettamento all’Ici dell’area in questione unicamente sulla base della formale lettura della graffatura catastale, in mancanza di prova di una concreta sterilizzazione della capacità edificatoria, peraltro esclusa in fatto in quanto si tratta di terreno incolto, e senza che l’area medesima fosse stata denunciata come pertinenziale nell’originaria denuncia Ici; a sostegno di tale assunto, il Comune richiama il disposto della norma di cui si evoca la violazione evidenziando come, secondo la predetta disposizione di legge, le aree edificabili secondo gli strumenti urbanistici del Comune devono essere assoggettate ad ICI, salvo che non sia in concreto interdetta la capacità edificatoria, circostanza che non sussisterebbe nella fattispecie in esame; non rileverebbe a tal fine l’eventuale carattere pertinenziale dell’area, in quanto, come risulta dalla certificazione urbanistica 4/6/2004, non è interdetta la relativa capacità economica, mentre il carattere pertinenziale non risulta giustificato da esigenze funzionali, come in concreto accertato, posto che si tratta di terreno lasciato incolto; non può dunque essere escluso il relativo assoggettamento ad ICI in aggiunta all’assoggettamento del fabbricato; si legge infatti nel predetto certificato di destinazione urbanistica che “l’area è inserita come zona D, attuazione di piani esecutivi adottati o approvati, l’area è inserita nel tessuto urbanistico consolidato e sono ammessi interventi soggetti ha permesso di costruire”. In sintesi, si sostiene, il carattere pertinenziale dell’area, individuato ai sensi dell’art. 817 c.c., non escluderebbe l’assoggettamento della stessa al pagamento dell’Ici rappresentando nel caso in concreto la graffatura autoattribuita con il sistema DOCFA e peraltro parziale, dell’area al fabbricato, un’evidente elusione d’imposta; a tale fine viene richiamata una pronuncia di questa Corte, la n. 22129 del 2010, che proprio ai fini ICI ha affermato che l’area edificabile pertinenziale è esente solo se giustificata da esigenze economiche, estetiche o di altro tipo, che nel caso in discussione non sarebbero presenti; peraltro, si osserva, detta area non è stata dichiarata in modo separato dal fabbricato ai fini ICI, e ciò contrasterebbe con quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 19638 del 2009, per la quale proprio ai finiiCI, l’area pertinenziale è esclusa solo se dichiarata; infine l’area edificabile oggetto dell’accertamento rimarrebbe non solo potenzialmente, ma effettivamente edificabile, permanendone dunque la relativa assoggettabilità all’ICI, come affermato da questa Corte con la sentenza n. 25127 del 2009, secondo cui l’area edificabile pertinenziale è esclusa solo con modifica permanente dello stato dei luoghi.

8. La società contribuente, in sede di controricorso, eccepisce preliminarmente la nullità del ricorso proposto dall’ente impositore per non essere stata prodotta in atti la delibera della Giunta comunale che avrebbe autorizzato il sindaco del comune di Marmirolo a proporre impugnazione e costituirsi nel presente giudizio, come si legge nella procura alle liti rilasciata in calce al ricorso; difetterebbe pertanto la prova che il Sindaco sia stato effettivamente autorizzato a proporre ricorso per cassazione, con conseguente vizio di rappresentanza processuale della parte ricorrente che inficia insanabilmente il ricorso, il quale non rispetterebbe peraltro il principio di autosufficienza.

9. Deducendo poi sull’unico motivo di ricorso, la società contribuente chiede che lo stesso venga dichiarato inammissibile avendo la parte invocato una norma di diritto estranea al thema decidendum, non richiamata nella sentenza impugnata ed irrilevante agli effetti del giudizio; la questione che l’area circostante l’opificio industriale sia edificabile non è questione trattata nella sentenza impugnata, la quale si limiterebbe ad una considerazione elementare ed incontestabile: l’area in questione facendo parte, unitamente all’edificio del mappale (OMISSIS), così come accatastata – trattandosi di fatto non contestato -, ai fini della tassazione Ici non può che essere ricompresa nella tassazione del predetto mappale di cui è parte.

In altri termini la Commissione tributaria regionale avrebbe fatto corretta applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a e art. 5, commi 1 e 2, nonchè dell’art. 817 c.c., comma 1, con la conseguenza che l’ICI del mappale in questione, composto dall’opificio industriale e dal terreno circostante, deve essere calcolata moltiplicando la rendita catastale dell’edificio per i moltiplicatori previsti per legge; ne consegue, dunque, che a seguito dell’accatastamento in un unico mappale, è del tutto irrilevante accertare se nel caso di specie ricorrano i presupposti di cui all’art. 817 c.c. per valutare l’effettiva sussistenza di un vincolo pertinenziale del terreno circostante l’edificio rispetto all’edificio stesso, e ciò per l’evidente ragione che non può parlarsi di pertinenza, trattandosi di beni figuranti in un solo mappale, costituendo un unicum giuridico; tale indagine avrebbe dovuto essere svolta esclusivamente dall’Agenzia del territorio in sede di attribuzione o di modifica della rendita catastale, oppure dal giudice tributario nell’ipotesi di impugnazione dell’atto di attribuzione o di modifica della predetta rendita; la società controricorrente richiama peraltro, a sostegno della propria tesi, giurisprudenza di questa Corte, operando anche un riferimento dottrinario per ribadire l’obbligo per gli enti locali di attenersi alle risultanze dei registri dell’Agenzia del territorio.

Infine, si osserva, tutte le sentenze richiamate in sede di ricorso dal Comune impositore non sarebbero pertinenti al caso in esame, avendo ad oggetto tutte fattispecie ove il contestato vincolo di pertinenzialità di un fabbricato rispetto ad un terreno era riferito a beni autonomamente censiti in mappali diversi; del resto, e conclusivamente, osserva la società contribuente, il valore della superficie di 12.000 mq. circa, circostante il fabbricato, è concorso a determinare la rendita catastale attribuita al mappale (OMISSIS): pertanto, laddove si pervenisse a diverse conclusioni, si porrebbe una inaccettabile parziale duplicazione dell’imposta. Quanto sopra, in sostanza, milita nel senso che non vi è alcuna norma che legittimi i Comuni a disattendere le risultanze catastali ai fini dell’accertamento Ici.

10. Il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

11. Dev’essere preliminarmente respinta, in quanto infondata, l’eccezione del controricorrente relativa al difetto di legittimazione della rappresentanza processuale in capo al Sindaco. Pacifica è, infatti, la giurisprudenza di questa Corte che nel nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l’autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all’azione, salva diversa previsione dello statuto comunale, competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 6 (da ultimo, v.: Sez. L, Sentenza n. 20428 del 11/10/2016, Rv. 641457). Nè, nel caso in esame, la parte controricorrente deduce che lo Statuto comunale contenga una diversa previsione, donde l’eccezione è del tutto priva di pregio.

12. Nel resto, la sentenza della CTR non presta il fianco alle censure di violazione di legge svolte dall’Ente impositore.

E’ preliminarmente da rilevare che (v. Cass. n. 13334 del 2006) “il regime dell’ICI e delle relative esenzioni non può essere ricavato dalla disciplina normativa regolante l’imposizione diretta, e quindi essenzialmente dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.), bensì dalle disposizioni specificamente inerenti alla stessa imposta comunale sugli immobili”. E’ inoltre da rilevare che l’Imposta Comunale sugli Immobili – istituita (con decorrenza “dall’anno 1993”) dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 -, per le sue caratteristiche strutturali, in base alle tradizionali classificazioni dottrinarie, può essere definita come un’imposta territoriale (in considerazione della identica natura dell’ente pubblico impositore “ciascun comune”), diretta (perchè colpisce una immediata manifestazione di capacità contributiva) e reale siccome considera, come “base imponibile”, il valore in sè del bene immobile, a prescindere, in linea generale, da qualsivoglia condizione personale del titolare del diritto reale sullo stesso considerato dalle afferenti norme (salvo, ex articolo 7, che ai fini dell'”esenzione”).

“Presupposto” dell’imposta, come stabilito dall’art. 1, comma 2 Decreto Legislativo istitutivo, è il “possesso” (a) di “fabbricati”, (b) di “aree fabbricabili”, (e) di “terreni agricoli”, siti nel territorio dello Stato, “a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa”.

Per il n. 1 del successivo articolo 2, poi, per “fabbricato” si intende l'”unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano…”. Ogni “unità immobiliare” già iscritta o che, per le sue caratteristiche, deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, quindi, costituisce, per definizione della legge in esame, “fabbricato” assoggettato all’imposta, con la conseguenza che il “possesso” di una “unità immobiliare” da considerare come “fabbricato” (perchè iscritta o da iscrivere nel catasto detto) fa sorgere in capo al “soggetto passivo” (art. 3) l’obbligo di corrispondere l’ICI afferente.

“Per i fabbricati iscritti in catasto”, prosegue l’art. 5, il “valore” costituente la “base imponibile” è determinato “applicando all’ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1 gennaio dell’anno di imposizione, i moltiplicatori determinati con i criteri e le modalità previsti dall’art. 52, u.c., primo periodo del citato testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131”.

13. Dalle norme richiamate si evince la stretta ed imprescindibile relazione, da esse posta ai fini della individuazione della “base imponibile” – necessaria per la successiva determinazione (con l’applicazione dell’aderente “aliquota vigente”, art. 6, comma 3 D.Lgs.) del quantum dell’imposta dovuta -, tra iscrizione (o necessaria iscrivibilità) in catasto di una “unità immobiliare” (con il connesso necessario riferimento alla nozione catastale di “unità immobiliare”) e rendita catastale “vigente al primo gennaio dell’anno di imposizione” (art. 5, comma 2).

Dalla medesima correlazione, inoltre, discende che il “dato” – sia relativo all’iscrizione che alla classificazione ed alla misura della rendita attribuite dal competente organo pubblico (dal primo gennaio 2001, l’Ufficio locale dell’Agenzia del Territorio; in precedenza, l’Ufficio Tecnico Erariale dell’allora denominato Ministero delle Finanze) – del singolo “fabbricato”, quale risultante dal “catasto”, ai fini della assoggettamento all’imposta e della determinazione del quantum dovuto a titolo di ICI, costituisce un “fatto oggettivo”, non contestabile da nessuna delle parti (Comune e contribuente) del rapporto obbligatorio concernente questa imposta, neppure in via incidentale e limitata a tale rapporto, come impone di ritenere l’inciso dell’art. 5, comma 2, a mente del quale (come visto) “per i fabbricati iscritti in catasto, il valore” della “base imponibile” è costituito “da quello che risulta applicando all’ammontare delle rendite risultanti in catasto” (cioè iscritte in catasto), “vigenti al primo gennaio dell’anno di imposizione, i moltiplicatori” validi ai fini dell’imposta di registro, ivi richiamati.

14. La suddetta incontestabilità, siccome limitata allo specifico rapporto d’imposta, ovviamente non esclude nè limita il potere del contribuente di chiedere la modifica (eventualmente in via di autotutela) ovvero di impugnare (in sede giurisdizionale) l’atto di accatastamento e/o di attribuzione della rendita, con naturale ripercussione (effetto vincolante per le parti del rapporto ICI) del provvedimento definitivo. Analogamente, ove il Comune, ente interessato alla riscossione dell’imposta, intenda discostarsi dalla rendita catastale contestandola, dovrà – al pari del contribuente – provvedere ad una modifica del classamento, motivando le ragioni per le quali ad un terreno (come nella specie, raffigurato in un unico mappale), facente parte di un complesso unico comprendente anche il relativo fabbricato, debba essere attribuito un diverso valore sulla base dell’astratta edificabilità.

15. Nel caso esaminato, l’area in questione costituita da mq. 12.060 di cui la società contribuente invoca la natura pertinenziale risulta catastalmente asservita all’opificio soggetto ad ICI, ancora prima dell’acquisto da parte della stessa società contribuente – dato incontestato -, ed il disconoscimento del vincolo funzionale risulta essere stato frutto di un’iniziativa dell’Ente locale che ha ritenuto di doversi discostare dalle risultanze catastali ancorchè originarie.

Nè, si osserva, può essere seguita la tesi dell’Ente impositore che ritiene prevalente il carattere dell’edificabilità dell’area su quello della sua accessorietà. Ed invero, sul punto, questa Corte ha già avuto modo di affermare che in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, l’art. 2, comma 1, lett. a), fornendo, ai fini dell’imposta, la nozione di fabbricato ed escludendo l’autonoma tassabilità della relativa area pertinenziale, assoggettata al regime del bene principale, presuppone l’accezione di pertinenza di cui all’art. 817 c.c., rendendo irrilevante il regime di edificabilità che lo strumento urbanistico a quell’area attribuisca, di guisa che, quando nella medesima porzione immobiliare coesistano accessorietà ed edificabilità, l’effetto attrattivo che discende dal vincolo di asservimento rende ininfluente l’altra “destinazione”, siccome attinente a fini estranei al rapporto con la cosa principale considerata dalla norma tributaria (Sez. 5, Sentenza n. 6501 del 25/03/2005, Rv. 581501; Sez. 5, Sentenza n. 19638 del 11/09/2009, Rv. 609768; Sez. 5, Sentenza n. 14809 del 18/06/2010, Rv. 613582). Tale principio è stato, anche di recente, ribadito da questa stessa Corte, che ha infatti affermato che in tema di ICI, è esclusa l’autonoma tassabilità di area pertinenziale ad un fabbricato ove ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi di cui all’art. 817 c.c., restando irrilevante il regime di edificabilità attribuito dallo strumento urbanistico all’area pertinenziale nella ricorrenza di un effettivo asservimento della stessa all’immobile principale (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1390 del 26/01/2016, Rv. 638623).

16. La sentenza impugnata, conclusivamente, non merita censura, avendo correttamente ritenuto il rapporto di accessorietà fissato dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), proprio alla luce dell’unicità del complesso comprendente il fabbricato ed il terreno in questione, non potendosi pretendere da parte dell’Ente impositore di poter ascrivere autonomamente a quest’ultimo un diverso valore sulla base dell’astratta edificabilità. Deve, quindi, essere riaffermato il principio secondo cui in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), la base imponibile è individuata dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 2, mediante una stretta ed imprescindibile relazione tra iscrizione (o necessaria iscrivibilità) in catasto di una unità immobiliare e rendita vigente al primo gennaio dell’anno di imposizione, con la conseguenza che i dati catastali del singolo fabbricato, quali risultanti dal catasto, costituiscono un fatto oggettivo, ai fini dell’assoggettamento all’imposta e della determinazione del “quantum” dovuto, non contestabile, neppure in via incidentale, da nessuna delle parti (Comune e contribuente) del rapporto obbligatorio concernente l’imposta, fermo restando che tale incontestabilità, siccome limitata a tale rapporto, non esclude, nè limita, la facoltà del contribuente di chiedere la modifica (eventualmente in via di autotutela), ovvero di impugnare (in sede giurisdizionale) l’atto di accatastamento e/o di attribuzione delle rendita, con naturale ripercussione (ed effetto vincolante per le parti del rapporto ICI) del provvedimento definitivo (Sez. 5, Sentenza n. 22124 del 29/10/2010, Rv. 614738).

17. Per le motivazioni suesposte ed ogni altra eccezione disattesa restando assorbita da quanto prefato, il ricorso dell’Ente impositore dev’essere respinto, con conseguente conferma integrale dell’impugnata sentenza.

18. Alla soccombenza deve seguire la condanna dell’Ente impositore al pagamento delle spese di giudizio che vengono liquidate come da dispositivo in misura media, in base ai parametri disciplinati dal D.M. n. 55 del 2014, recante “Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi del della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13 comma 6”, complessivamente in Euro 2.200,00 per compensi in ragione del valore della causa (scaglione da Euro 5.201 a 26.000), oltre spese generali ed accessori di legge.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2.200,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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