Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14111 del 04/06/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 14111 Anno 2013
Presidente: FELICETTI FRANCESCO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 36981’12) proposto da:
TORRERO DOMENICO (C.F.: TRR DNC 46C22 L219Z), rappresentato e difeso, in virtù di
procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Rodolfo Ummarino e Marco Zidarich ed
elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Roberto Minutillo Turtur, in Roma, via
Maria Adelaide, n. 8;

– ricorrente –

contro
PINARDI PIETRO (C.F.: PNR PTR 61H30 L219P) e PINARDI LUCA (C.F.: PNR LCU
65T30 L219G), quali eredi della genitrice TORRERO CATERINA, e AIMO SILVIA (C.F.:
MAI SLV 69P50 L219W) e AIMO MAURIZIO (C.F.: MAI MZG 64C13 L219S), quali eredi
della genitrice TORRERO ROSA, tutti rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in
calce al controricorso, dagli Avv.ti Paolo Emilio Ferreri, Marco Scalvini e Gaetano Severini
ed elettivamente domiciliati presso lo studio del terzo, in Roma, via Sant’Alberto Magno, n.
9;

8 5/13

– controricorrenti –

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Data pubblicazione: 04/06/2013

Avverso la sentenza definitiva della Corte di appello di Torino n. 1572/2011, depositata il 2
novembre 2011;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 27 marzo 2013 dal
Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 9 marzo 1995, le sorelle Rosa e Caterina Torrero
convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Torino, il fratello Domenico deducendo che,
in data 29 agosto 1994, era deceduta “ah intestato” la loro madre Virginia Gribaldo e che,
in precedenza, il 15 marzo 1985, era già deceduto il loro padre Giovanni Torrero lasciando
un testamento olografo, prospettando che la madre era proprietaria in comunione con il
marito della quota pari alla metà di un immobile e che, quindi, ai coeredi spettava la quota
di un terzo ciascuno; sulla scorta di tanto chiedevano che venisse disposta la divisione
dell’asse ereditario e, in ipotesi di non divisibilità del bene, che si procedesse alla vendita
dello stesso. Si costituiva in giudizio il convenuto, il quale aderiva alla proposta domanda di
divisione, chiedendo, però, che le due sorelle versassero in collazione quanto ricevuto a
titolo gratuito dal “de cuius”. Il giudice istruttore designato, rilevato che non erano sorte
contestazioni sul diritto alla divisione né sull’entità delle quote e preso atto che la c.t.u.
aveva ritenuto l’indivisibilità del bene, disponeva lo scioglimento della comunione secondo
la quota di un terzo per ciascuno dei condividenti ed ordinava la vendita all’incanto
dell’immobile, che, peraltro, non aveva luogo per mancanza di offerte. Successivamente le
parti dichiaravano di aver provveduto alla divisione amichevole del denaro e dei beni
mobili, mentre la controversia persisteva sull’attribuzione del bene immobile.
Con sentenza del 28 novembre 2000 il Tribunale adito rigettava la richiesta di collazione di
somme ricevute in donazione e di somme già esistenti su un conto bancario ed attribuiva
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Aurelio Golia, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

l’immobile alle due sorelle attrici con addebito, a loro carico ed in favore del convenuto,
della somma di £ 201.334.000. Interposto appello da parte del Torrero Domenico, cui
resistevano le due menzionate sorelle, la Corte di appello di Torino, con sentenza n. 1448
del 2002, rigettava il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del
grado. Lo stesso appellante formulava ricorso per cassazione avverso la suddetta

2006, accoglieva i primi tre motivi del ricorso, dichiarando l’assorbimento degli altri, con la
conseguente cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione
della Corte di appello di Torino. In particolare, questa Corte, con la richiamata sentenza,
accoglieva la prima doglianza relativa alla denunciata violazione e falsa applicazione degli
artt. 737 e segg., 809, 2909 e 2935 c.c. e al dedotto vizio di motivazione, in ordine alla
ritenuta insussistenza dell’obbligo di collazione delle due anzidette sorelle con riguardo alle
attribuzioni gratuite dalle stesse ricevute dai genitori, in epoca antecedente all’8 novembre
1970, sul presupposto che non vi era stata sperequazione tra i figli, considerato che il
Torrero Domenico aveva goduto gratuitamente di un alloggio in Torino fino al decesso del
padre. Con la stessa sentenza n. 24866 del 2006, questa Corte riteneva pure fondata la
seconda doglianza inerente la violazione e falsa applicazione degli artt. 1713, 1714, 1728,
2697 e 2779 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che il vizio di motivazione, e, per
quanto di ragione, anche la terza doglianza, riguardante la violazione e falsa applicazione
degli artt. 2697 c.c. e 115-116 c.p.c., congiuntamente al vizio di motivazione.
Con atto di citazione tempestivamente notificato il Torrero Domenico riassumeva il giudizio
in sede di rinvio dinanzi alla III Sezione civile della Corte di appello di Torino, la quale, nella
costituzione delle due indicate sorelle, con sentenza non definitiva n. 1703 del 2008
(depositata il 26 novembre 2008), così provvedeva: a) confermava la sentenza emessa
“inter partes” dal Tribunale di Torino in data 28 novembre 2000 in punto reiezione della
domanda, proposta da Torrero Domenico, di collazione delle somme (di £ 10.000.000
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sentenza e, nella costituzione delle intimate, questa Corte, con sentenza n. 24866 del

ciascuna) ricevute da Torrero Caterina e Torrero Rosa; b) in parziale riforma della suddetta
sentenza, dichiarava tenuta e condannava Torrero Caterina a conferire alla massa
ereditaria la somma di £ 11.107.234, parti ad euro 5.736,40, con gli interessi legali dalla
data della domanda giudiziale; c) dichiarava tenuti e condannava Torrero Rosa e Torrero
Domenico a conferire alla massa ereditaria rispettivamente l’importo di £ 16.000.000, pari

(quanto al secondo), con gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale; d)
rimetteva alla sentenza definitiva la disciplina delle spese processuali, disponendo, con
separata ordinanza, una nuova valutazione peritale al fine di verificare la divisibilità in
natura dell’immobile caduto in successione e, comunque, allo scopo di procedere ad una
nuova valutazione del medesimo.
La suddetta sentenza n. 1703 del 2008 della Corte piemontese veniva, anch’essa,
impugnata per cassazione sia dal Torrero Domenico (con ricorso principale) che dalle due
sorelle Torrero Caterina e Torrero Rosa (con ricorso incidentale), ma entrambi i ricorsi
erano dichiarati inammissibili con sentenza di questa Corte n. 6481 del 2012 (depositata il
24 aprile 2012).
Con successiva sentenza n. 1572 del 2011 (depositata il 2 novembre 2011), la Corte di
appello di Torino, definitivamente pronunciando in sede di rinvio, così statuiva: confermava l’assegnazione a Torrero Caterina e Torrero Rosa dell’immobile, già in
comunione ereditaria tra i fratelli Torrero, dell’immobile sito in Torino, strada Santa
Margherita n. 160 (così come complessivamente individuato nella motivazione della
sentenza stessa e nel suo dispositivo); – ordinava al competente Conservatori dei RR.II. la
cancellazione della nota di iscrizione di ipoteca giudiziale iscritta alla Conservatoria dei
RR.II. di Torino in data 6 luglio 1999 ai nn. 23969/6425, a favore di Lucina Vallero ed a
carico di Torrero Domenico Luigi, e della nota di iscrizione di ipoteca legale a favore di
Torrero Domenico Luigi ed a carico delle assegnatarie, eseguita in data 22 giugno 2006
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ad euro 8.263,31 (quanto alla prima), e l’importo di £ 18.000.000., parti ad euro 9.296,22

con i nn. 3192/8124; – dichiarava tenute e condannava Rosa e Caterina Torrero a
corrispondere a Torrero Domenico Luigi, a titolo di conguaglio, la somma di euro
166.667,00, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo; respingeva le altre richieste; – dichiarava tenuto e condannava il Torrero Domenico a
versare la somma di euro 2.434,30, comprensiva di interessi maturati al 7 maggio 2010, a

spese di tutte le c.t.u. disposte nei diversi gradi di giudizio, come liquidate, per un terzo a
carico di Torrero Domenico e per i residui due terzi a carico di Rosa e Caterina Torrero,
trattandosi di spese a carico della massa; – condannava Torrero Domenico a rimborsare a
Caterina e Rosa Torrero, nella misura della metà, le spese processuali del giudizio svoltosi
avanti al Tribunale di Torino, di quello celebratosi avanti alla stessa Corte di appello di
Torino e quelle del giudizio di rinvio, compensando tra le parti la residua metà e, per intero,
quelle della fase di cassazione.
A sostegno dell’adottata decisione definitiva la Corte piemontese, ravvisata l’indivisibilità
del predetto immobile ed applicando i criteri stabiliti dall’art. 720 c.c., attribuiva in
assegnazione l’immobile medesimo alle due sorelle Torrero, in comunione tra loro, quali
maggiori quotiste, siccome titolari di complessivi due terzi del compendio, condannando le
stesse al pagamento del conguaglio, in favore del Torrero Domenico, nella misura di euro
166.667,00 (già valutata all’attualità), oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della
sentenza al saldo. Con la stessa sentenza la Corte torinese provvedeva, infine, a regolare i
complessivi rapporti residui di debito-credito tra le parti e disciplinava le globali spese
processuali riguardanti i vari gradi del giudizio.
Avverso la richiamata sentenza definitiva n. 1572 del 2011 (notificata il 2 dicembre 2011)
della Corte di appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione il Torrero Domenico,
basato su due motivi, in ordine al quale si sono costituiti in questa fase con un unico
controricorso, da un lato, i sigg. Pinardi Pietro e Pinardi Luca, quali eredi di Torrero
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Torrero Caterina, oltre interessi nella misura legale dal 7 maggio 2010 al saldo; – poneva le

Caterina (ed il primo anche quale erede testamentario della sorella Pinardi Paola), e,
dall’altro lato, i sigg. Aimo Silvia e Aimo Maurizio, quali eredi di Torrero Rosa.
I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378
c.p.c. .

1. Con il primo motivo il ricorrente Torrero Domenico ha dedotto – in relazione all’art. 360,
comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 718 e 720 c.c., nonché
dell’art. 112 c.p.c., avuto riguardo alla circostanza che la Corte di appello di Torino,
disattendo il principio stabilito dal citato art. 718 c.c., aveva privilegiato la divisione in
natura sull’unico presupposto che una divisione di tale tipo avrebbe comportato conguagli
ritenuti eccessivi, senza considerare che esso ricorrente non aveva richiesto l’attribuzione
di un conguaglio nella misura individuata dal giudice del merito. Pertanto, lo stesso
ricorrente ha chiesto a questa Corte di chiarire se la Corte territoriale era, altresì, incorsa
nella violazione del richiamato art. 112 c.p.c. poiché, nell’ambito di un procedimento
divisionale, aveva a lui assegnato un conguaglio maggiore di quello richiesto ovvero aveva
negato la divisione in natura ex art. 718 c.c. sul presupposto che, facendolo, avrebbe
dovuto attribuire allo stesso condividente assegnatario un conguaglio dal medesimo non
richiesto.
1.1. Rileva il collegio che il motivo è destituito di fondamento e deve, pertanto, essere
rigettato.
La Corte di appello di Torino ha, nella sentenza impugnata, adeguatamente motivato sulla
derogabilità del principio stabilito dall’art. 718 c.c., statuendo che la non comoda divisibilità
del bene era da ricondurre alla mancata condivisione del progetto di divisione predisposto
dal c.t.u., poiché in uno dei due lotti formati dall’ausiliario era stato incluso un bene
considerato come alloggio e che, tuttavia, non aveva tale destinazione. Pertanto, la Corte

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MOTIVI DELLA DECISIONE

territoriale ha legittimamente ritenuto che l’immobile non fosse comodamente divisibile in
natura in quanto non sussistevano le condizioni per procedere ad un frazionamento con la
formazione di porzioni da un lato corrispondenti, con buona approssimazione, al valore
delle quote di proprietà dei condividenti, e, dall’altro lato, fruibili dai diversi proprietari in
modo soddisfacente secondo la loro legittima destinazione. Di conseguenza, avendo

per la necessaria e conseguente inapplicabilità dell’art. 718 c.c., la Corte piemonetese ha
correttamente applicato il criterio sussidiario di cui all’art. 720 c.c., assegnando il bene alle
due sorelle Torrero quali maggiori quotiste, con condanna delle spese al pagamento del
dovuto conguaglio in favore del ricorrente, senza che, perciò, in tal caso sia ravvisabile un
vizio di extra o ultrapetizione.
Del resto, secondo la concorde giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 12498
del 2007 e Cass. n. 14577 del 2012), il concetto di comoda divisibilità di un immobile
presupposto dall’art. 720 c.c. postula, sotto l’aspetto strutturale, che il
frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete
suscettibili di autonomo e libero godimento, che possano formarsi senza dover
fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l’aspetto economicofunzionale, che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non
comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate
proporzionalmente al valore dell’intero, tenuto conto dell’usuale destinazione e della
pregressa utilizzazione del bene stesso. Si è, inoltre, puntualizzato che, nell’esercizio

del potere di attribuzione dell’immobile ritenuto non comodamente divisibile, il giudice non
trova alcun limite nelle disposizioni dettate dall’art. 720 c.c., da cui gli deriva, al contrario,
un potere prettamente discrezionale nella scelta del condividente cui assegnarlo, potere
che trova il suo temperamento esclusivamente nell’obbligo di indicare i motivi in base ai
quali ha ritenuto di dover dare la preferenza all’uno piuttosto che all’altro degli aspiranti
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motivatamente concluso per la non comoda divisibilità del cespite immobiliare e, dunque,

all’assegnazione (così esaminando i contrapposti interessi dei condividenti in proposito), e
si risolve in un tipico apprezzamento di fatto, sottratto come tale al sindacato di legittimità,
a condizione che sia adeguatamente e logicamente motivato.
Orbene, al riguardo, nel caso di specie, la Corte torinese, con motivazione adeguata ed
ispirata a congrui criteri logici, ha rilevato che la possibilità di formare due lotti in natura

spettante alle sorelle Torrero) non risultava in concreto realizzabile, perché presupponeva
necessariamente la valutazione come alloggio (in quanto fruito, in fatto, come tale) di una
unità immobiliare che, dal punto di vista edilizio, non poteva qualificarsi in tal modo (senza
che, peraltro, potesse averne anche un correlato valore, ancorché provvedendosi ad un
ridimensionamento parziale). In proposito, la Corte territoriale ha anche aggiunto l’ulteriore
conferente considerazione che, seppure si fosse inteso di nuovo utilizzare l’alloggio al
seminterrato come deposito magazzino, in modo autonomo rispetto alla fruizione dell’unità
abitativa ubicata al piano rialzato, si sarebbe venuta a determinare un’incidenza negativa
sulle modalità di fruizione dell’intero immobile, con la configurazione di un rischio di
deprezzamento della parte, evidentemente preponderante come valore, con destinazione
abitativa.
Alla stregua di questa incensurabile valutazione (perché, appunto, congruamente e
logicamente argomentata), perciò, la Corte di merito ha ritenuto che l’immobile caduto in
comunione dovesse essere considerato come non comodamente divisibile (secondo i
criteri enucleati nell’art. 720 c.c.), dal momento che non sarebbe stato possibile il
frazionamento con la formazione di porzioni, corrispondenti con buona approssimazione al
valore delle quote di comproprietà dei condividenti, e comunque fruibili dai diversi
proprietari in modo soddisfacente in relazione alla loro legittima ed utile destinazione.
In sostanza, quindi, la Corte piemontese ha correttamente concluso — con motivazione
coerente, assolutamente sufficiente e corrispondente ai principi giuridici applicabili in
8

dell’immobile in comproprietà (tali per cui l’uno corrispondesse alla quota di due terzi

materia — per la non comoda divisibilità dell’immobile dedotto in controversia e, dunque,
per la conseguente e necessitata inapplicabilità del disposto di cui all’art. 718 c.c., senza
che, pervenendo a tale statuizione, sia incorsa nell’adozione di una pronuncia viziata da
ultrapetizione od extrapetizione.
Oltretutto, in punto di diritto, conviene ribadire che, in tema di divisione giudiziale di

coerede il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti con le
modalità stabilite nei successivi artt. 726 e 727 c.c., trova deroga, ai sensi dell’art.
720 c.c., non solo nel caso di mera “non divisibilità” dei beni, ma anche in ogni
ipotesi in cui gli stessi non siano “comodamente” divisibili, situazione, questa, che
ricorre nei casi in cui, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto
l’aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare
oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o
limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero
porzioni che, sotto l’aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente
deprezzate in proporzione al valore dell’intero.
2. Con il secondo motivo il ricorrente Torrero Domenico ha denunciato, in virtù dell’art. 360
n. 5 c.p.c., il vizio di omessa o, in linea subordinata, insufficiente motivazione su un punto
decisivo della controversia, atteso che, nel giustificare il suo dissenso dal valore attribuito
dal c.t.u. al lotto dedotto in controversia, la Corte territoriale si era limitata ad indicare una
diversa (ma non univoca) metodologia di valutazione senza dare, tuttavia, conto alcuno,
anche in via meramente approssimativa, del risultato valutativo cui avrebbe condotto detta
differente metodologia.
2.1. Anche questa censura è priva di fondamento e deve essere disattesa.
Diversamente dalla prospettazione del ricorrente, la Corte di appello di Torino non è affatto
giunta a considerare la necessità di conguagli eccessivi nel caso di divisione del bene
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compendio immobiliare ereditario, l’art. 718 c.c., il quale riconosce a ciascun

secondo i lotti formati dal c.t.u., ma ha, invece, rilevato — con motivazione già ritenuta
congrua e logica (per quanto evidenziato con riferimento al primo motivo) — come il bene
immobile oggetto di divisione non fosse suscettibile di un idoneo frazionamento con la
formazione di porzioni, da un lato, corrispondenti, con buona approssimazione, al valore
delle quote di proprietà dei condividenti, e, dall’altro lato, fruibili dai diversi proprietari in

dalla Corte territoriale sono assolutamente bastevoli a supportare l’accertamento della non
comoda divisibilità dell’immobile in comunione, in parziale dissenso rispetto alle risultanze
della relazione del c.t.u., dalla quale la stessa Corte di appello si è idoneamente discostata
in ordine all’erronea valutazione “quale alloggio” del “deposito magazzino” al piano
seminterrato. A tal proposito la Corte di rinvio ha, invero, posto adeguatamente in risalto
che se il lotto formato dal c.t.u. con la considerazione preponderante dell’alloggio al piano
seminterrato come bene utilizzabile quale abitazione, fosse stato effettivamente valutato in
tal modo, si sarebbe consentita la conservazione dell’uso abusivo da parte del
condividente assegnatario e si sarebbe assegnato in concreto allo stesso una porzione in
natura soltanto apparentemente corrispondente al valore della sua quota, in quanto
suscettibile di essere “ridimensionata” (sia per intervento della P.A. che nell’eventualità di
trasferimento a terzi) oltre a legittimare una situazione di fatto instabile a causa della sua
illegittimità sul piano edilizio.
3. In definitiva, alla stregua delle esposte ragioni, il ricorso deve essere integralmente
respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei
controricorrenti in via fra loro solidale, delle spese del presente giudizio, liquidate in

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modo soddisfacente secondo la loro legittima destinazione. Tali argomentazioni adottate

complessivi euro 6.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e
sulle voci come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Il Sezione civile della Corte suprema

di Cassazione, il 27 marzo 2013.

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