Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14110 del 04/06/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 14110 Anno 2013
Presidente: FELICETTI FRANCESCO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA

azione di
pagamento
compensi

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 156561’11) proposto da:
Avv. PAOLA Francesco, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al
ricorso, dagli Avv.ti Libero Mancuso e Karl Reiterer ed elettivamente domiciliato presso il
suo stesso studio legale, in Roma, v. del Babuino, n. 48; – ricorrente contro
PARTITO DELLA LEGA NORD (C.F.: 97083130159), in persona del Segretario federale
pro-tempore, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale margine del
controricorso, dagli Avv.ti Tiziano Barbetta e Aniello Izzo ed elettivamente domiciliato
presso lo studio del secondo, in Roma, via F. Denza, n. 15;
– controricorrente-

Avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 1054/2010, depositata il 23

Data pubblicazione: 04/06/2013

settembre 2010 (e non notificata);
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 7 febbraio 2013
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
uditi gli Aw.ti Dario Piccioni (per delega), nell’interesse del ricorrente, e Aniello

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Libertino Alberto Russo, che ha concluso, in via principale, per l’inammissibilità del ricorso
e, in subordine, per il suo rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato 1’8 aprile 2005 il Partito della Lega Nord, in persona del
Segretario federale pro-tempore, proponeva opposizione awerso il decreto ingiuntivo
emesso dal giudice designato del Tribunale di Bologna su ricorso dell’Aw. Francesco
Paola per l’importo di euro 2.032.432,98, a titolo di competenze professionali assunte
come vantate dall’istante. Con il formulato atto di opposizione il suddetto Partito deduceva
che analogo procedimento monitorio era stato instaurato presso altro Tribunale con
riferimento alle medesime causali, ovvero per la richiesta di onorari relativi alle prestazioni
rese a favore di alcune centinaia di aziende agricole in contenziosi amministrativi
gerarchici e giurisdizionali nell’ambito di rivendicazioni di categoria a cui il predetto
professionista era rimasto estraneo, poiché esso opponente non aveva mai conferito
all’ingiungente alcun incarico professionale, dal momento che, per converso, i mandati
erano stati rilasciati in suo favore dagli agricoltori interessati, con il conseguente difetto di
legittimazione passiva dell’ingiunto. Nella costituzione dell’opposto (che formulava varie
eccezioni processuali, ivi inclusa quella di supposto difetto di “ius postulandi” in capo al

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lzzo, per il controricorrente;

difensore dell’opponente), il Tribunale adito, con sentenza n. 1398 del 2008, previa
reiezione delle questioni pregiudiziali di rito avanzate dal professionista opposto,
accoglieva l’opposizione formulata dal Partito della Lega Nord (e, per l’effetto, revocava
l’impugnato decreto ingiuntivo), sul presupposto che non era risultato conferito alcun

quale il sig. Robusti Giovanni (evocato in giudizio quale terzo dall’opponente e rimasto,
peraltro, contumace).
Interposto appello da parte dell’Avv. Paola (riferito a tre motivi) e nella resistenza del
Partito appellato (oltre che nella persistente contumacia del Robusti), la Corte di appello di
Bologna, con sentenza n. 1054 del 2010 (depositata il 23 settembre 2010), rigettava il
gravame e condannava l’appellante alla rifusione anche delle spese del secondo grado. A
sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale felsinea riteneva, in primo luogo,
infondate le doglianze riguardanti la pretesa carenza di poteri di rappresentanza in capo al
procuratore generale nominato dal segretario federale della Lega Nord (trattandosi di
mandato di natura sostanziale generale “ad negotia”) ed alla conseguente assunta
illegittimità dell’attribuzione, al nominato procuratore generale, del potere di
rappresentanza processuale oltre che alla connessa facoltà di conferire la procura al
difensore (da ritenersi, invece, validamente assegnati anche con mero riferimento ad una
categoria omogenea di affari, come era accaduto nella fattispecie). Quanto al merito dei
motivi dedotti a fondamento dell’appello, la Corte emiliana rilevava l’assenza della prova
necessaria per l’accertamento del rilascio del mandato professionale in relazione al quale i
compensi azionati in via monitoria sarebbero, in ipotesi, spettati all’Avv. Paola, rilevandosi
l’inconferenza della copiosa produzione documentale inerente l’attivismo della forza

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mandato all’Avv. Paola dal menzionato Partito o da suoi rappresentanti a tanto legittimati,

politica orientato alla promozione di rivendicazioni collettive di categoria nonché
l’irrilevanza dell’articolata prova orale.
Avverso la suddetta sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione l’Avv.
Francesco Paola, basato su otto motivi, avverso i quali si è costituito in questa fase con

memoria illustrativa ai sensi dell’ad .378 c.p.c. .
MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente principale ha dedotto la violazione e falsa applicazione
degli artt. 83 e 112 c.p.c., in relazione all’ad. 360, n. 4 c.p.c., nonché il difetto di
motivazione della sentenza impugnata (ai sensi dell’ad. 360 n. 5 c.p.c.), avuto riguardo al
rigetto della doglianza riguardante la carenza di poteri di rappresentanza in capo al
procuratore generale nominato dal Segretario federale della Lega Nord, sul presupposto
che, nella specie, sì trattava di mandato di natura sostanziale generale “ad negotia”
attributivo di poteri sostitutivi di quelli del rappresentato dal quale, autonomamente,
derivavano le prerogative delegate, indipendentemente dall’adozione preventiva di delibere
autorizzative per come stabilito dallo statuto del suddetto Partito.
In particolare, con tale motivo, il ricorrente ha inteso denunciare che, diversamente dal
quanto ritenuto dalla Code territoriale, l’Avv. Matteo Brigandì (al quale era stata conferita la
contestata procura generale), proponendo l’opposizione in nome e per conto del Partito
della Lega Nord aveva agito in totale difetto di mandato (non essendogli stati attribuiti
propriamente poteri di rappresentanza sostanziale, siccome, peraltro, subordinati
all’autorizzazione dell’organo del Consiglio Federale, alla stregua delle previsioni
statutarie), con inefficacia od inesistenza del mandato dallo stesso conferito, a sua volta,

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controricorso il Partito della Lega Nord. I difensori del ricorrente hanno anche depositato

agli avvocati Barbetta e Fornasari, con la conseguente inesistenza o nullità assoluta
dell’atto di opposizione, come tale insanabile, che si rifletteva sulla costituzione del
Segretario federale del suddetto Partito in appello, rendendola irrilevante.
1.1. Rileva il collegio che il motivo è da ritenersi infondato e deve, pertanto, essere

Con motivazione logica ed adeguata la Corte territoriale, sulla base dell’esame e
dell’interpretazione complessiva del mandato generale alle liti conferito all’Avv. Matteo
Brigandì (con il quale allo stesso era stato legittimamente riconosciuto anche il potere di
nominare altri procuratori o sostituti processuali con gli stessi o più limitati poteri: cfr. Cass.,
S.U., n. 24179 del 2009) dal segretario nazionale del Partito della Lega Nord, on. Umberto
Bossi (quale legale rappresentante “pro tempore” di detta associazione non riconosciuta,
legittimato a tanto anche in relazione al disposto generale di cui all’art. 36 c.c.: cfr. Cass. n.
17921 del 2007), ha ritenuto che tale procura involgesse anche l’attribuzione di un
mandato di natura sostanziale generale “ad negotia”, tale da legittimare all’assegnazione al
mandatario dell’esercizio di poteri sostitutivi del mandante da cui derivavano automamente
le prerogative delegate, indipendentemente dal preventivo rilascio di delibere autorizzative
di organi del predetto Partito (aventi, peraltro, una mera rilevanza interna).
A tal proposito, la Corte bolognese, riconfermando sul punto il percorso logico seguito dal
primo giudice, ha congruamente rilevato che il rilascio del mandato generale alle liti
dedotto in controversia, al di là del mero tenore formale della rubricazione, implicasse un
potere dispositivo di natura sostanziale esulante dal ristretto ambito della procura alle liti, in
considerazione dell’ampia gamma delle facoltà dettagliatamente attribuite con il
conferimento — tra gli altri – anche del potere di rispondere all’interrogatorio formale, di

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rigettato.

rimettere querele e, comunque, “con promessa di rato e valido”, in tal modo assegnando al
mandatario una sorta di legittimazione sostitutiva essenziamente piena.
Del resto, nei ricostruire la suddetta procura generale in tali termini, la Corte di merito si è
conformata alla più incisiva giurisprudenza di questa Corte sulla questione (v. Cass. n.

avviso della quale il potere di rappresentanza processuale, con la connessa facoltà di
conferire la procura alle liti al difensore, non può mai essere attribuito
disgiuntamente dal potere di rappresentanza sostanziale, specificandosi, altresì, che
il conferimento di tale potere di rappresentanza sostanziale non esige, peraltro, la
previa individuazione dei rapporti controversi che ne formano l’oggetto, ma può
validamente essere attribuito con riferimento ad un coacervo di rapporti omogenei e
litigiosi.

Pur volendo prendere in considerazione la connessa censura del ricorrente in ordine alla
supposta necessità, secondo le clausole statutarie, della preventiva deliberazione del
Consiglio Federale in favore del segretario generale del predetto Partito, occorre
evidenziare che, in ogni caso, l’indicata delibera del suddetto organo del Partito (in data 23
giugno 2008), relativa alla sopravvenuta ratifica della procura generale alle liti in
contestazione, è stata ritualmente prodotta nel corso del giudizio di secondo grado, in tal
senso facendo venir meno ogni questione afferente la legittimazione a stare in giudizio del
Partito della Lega Nord,con la conseguente regolarizzazione della relativa costituzione in
giudizio, la quale — secondo gli indirizzi più recenti della giurisprudenza di legittimità (v.
Cass., S.U., n. 9217 del 2010; Cass. n. 17683 del 2010 e Cass. n. 20052 del 2010) riferiti
all’alveo di applicabilità dell’art. 182, comma 2, c.p.c. (“ratione temporis” vigente) — produce

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14766 del 2007; per opportuni riferimenti v., anche, Cass., S.U., n. 4666 del 1998), ad

la sanatoria del vizio (appunto verificabile in ogni stato e grado del giudizio, salvo il
giudicato), indipendentemente dalle cause del predetto difetto e con efficacia “ex tunc”,
senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali.
2. Con il secondo motivo l’Avv. Paola ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli

Lamezia Terme avverso i decreti ingiuntivi nn. 259/00 e 229/02) nonché degli artt. 1988 e
2909 c.c., 647 c.p.c. (con riferimento al decreto ingiuntivo n. 199/02 avente ad oggetto
sempre l’unico rapporto negoziale dedotto in controversia), il tutto in relazione all’art. 360,
nn. 3, 4 e 5, c.p.c. ed avuto riguardo alla supposta formazione del giudicato in relazione
agli indicati decreti monitori riferiti al medesimo rapporto sostanziale e dichiarati
definitivamente esecutivi ai sensi del citato art. 647 del codice di rito.
2.1. Anche questo motivo si prospetta infondato e non merita, perciò, accoglimento.
In termini essenziali, con tale doglianza, il ricorrente ha inteso lamentare che la Corte
felsinea aveva illegittimamente disatteso i profili attinenti alla allegata sussistenza di una
ipotesi di continenza, litispendenza o pregiudizialità con le altre cause di opposizione a
decreto ingiuntivo, omettendo di vautare i rapporti fra i vari giudizi pendenti, malgrado la
dedotta emergenza di un unico rapporto negoziale. L’Avv. Paola ha assunto, inoltre, la
mancata pronuncia sulle asserite estinzioni dei giudizi di opposizione ai decreti n. 259/00 e
n. 229/02 oltre che sugli effetti del giudicato prodotti in relazione al decreto ingiuntivo
opposto nella controversia in questione, alla stregua dello stesso rapporto di connessione
tra gli stessi intercorrente. In particolare, il ricorrente ha sostenuto che la Corte territoriale
avrebbe omesso di rilevare gli effetti di giudicato nel giudizio a cui si riferiva la sentenza
impugnata, conseguenti alla formazione della cosa giudicata in ordine al decreto ingiuntivo

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artt. 2909 c.c., 48, 298 e 307 c.p.c. (quanto ai giudizi di opposizione già pendenti in

n. 199/02, sul presupposto che quest’ultimo era stato dichiarato definitivamente esecutivo.
Ciò posto, rileva il collegio, in primo luogo, che, sul punto prospettato con il motivo in
esame, la Corte di appello si era limitata, nella sentenza qui impugnata (riferita al giudizio
di opposizione al decreto ingiuntivo n. 865/05 emesso dal Tribunale di Bologna), a dare

pregiudizialità per diversità della materia del contendere sottoposta al giudizio del
Tribunale di Lamezia Terme, senza, peraltro, riesaminare direttamente tali aspetti, siccome
gli stessi non avevano formato oggetto di una specifica censura in sede di gravame.
Tuttavia, avendo il ricorrente riproposto l’eccezione (da intendersi, oltretutto, non in senso
propriamente tecnico: cfr. Cass., S.U., n. 226 del 2001; Cass., S.U., n. 24664 del 2007 e,
da ultimo, Cass. n. 12159 del 2011, ord.) di asserito giudicato in ordine al fatto del
conferimento del mandato professionale nei suoi riguardi da parte del Partito della Lega
Nord in conseguenza della prospettata estinzione dei giudizi di opposizione ai citati decreti
ingiuntivi nn. 259/00 e 229/02, occorre farsi carico di essa (con la derivante legittimità
dell’accesso diretto agli atti processuali) nella presente sede di legittimità, poiché — per
giurisprudenza di questa Corte ormai consolidata — l’eventuale esistenza di un giudicato,
anche esterno, è deducibile (oltre che rilevabile d’ufficio) in ogni stato e grado, senza che,
al riguardo, sia riscontrabile una violazione dei principi del giusto processo (v. Cass., S.U.,
n. 13916 del 2006; Cass. n. 26041 del 2010 e la cit. ord. n. 12159 del 2011).
Orbene, al di là della circostanza che sarebbe stato onere del ricorrente riscontrare
adeguatamente la sussistenza dei presupposti per l’estensione degli effetti del supposto
eccepito giudicato esterno (riconducibile ai due indicati decreti monitori) sulla domanda
oggetto del giudizio definito con la sentenza impugnata in questa sede (avuto riguardo alla

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atto che il primo giudice aveva disatteso gli eccepiti profili di continenza, litispendenza e

necessaria dimostrazione dell’identità del “petitum” tra le cause in questione e, quindi, della
medesimezza della materia del contendere, già esclusa dal giudice di primo grado nella
controversia in esame), dall’analisi degli atti processuali prodotti non si evince che i due
decreti ingiuntivi nn. 259/00 e 229/02 siano divenuti definitivamente esecutivi.

allegate sentenze del Tribunale di Milano nn. 9164 del 2010 e 9166 del 2010 (dinanzi al
quale era avvenuta la riassunzione dei giudizi) – essere stati annullati a seguito delle due
ordinanze di cancellazione delle cause dal ruolo disposte dal Tribunale di Lamezia Terme,
a seguito dell’accordo derogatorio della competenza territoriale manifestato dalle parti
(sulla necessità della revoca e, quindi, della caducazione in tal caso dei decreti ingiuntivi
opposti, v. Cass. n. 6106 del 2006 e, per opportuni riferimenti, Cass. n. 14594 del 2012,
ord., con la quale è stato evidenziato che la dichiarazione di incompetenza del giudice
che ha emanato il decreto ingiuntivo comporta, oltre all’accoglimento in rito
dell’opposizione, anche la caducazione per nullità del decreto opposto, la quale
rappresenta una conseguenza necessaria della quale non possono disporre né il
giudice, dichiaratosi per l’appunto incompetente, né le parti del giudizio). Pertanto, in

virtù di tale evento processuale sopravvenuto dinanzi al Tribunale calabrese,
l’avvenuta riassunzione tempestiva

con

(attestata anche nelle riportate sentenze del

Tribunale di Milano) dinanzi al giudice ritenuto concordemente competente, deve
ritenersi che la prosecuzione dei giudizi non concerneva più le cause di
opposizione, ormai definite, ma soltanto le cause relative alle pretese azionate dal
creditore, ragion per cui il giudice “ad quem” era tenuto ad interpretare le domande
contenute negli atti di riassunzione esclusivamente come dirette ad investirlo della

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Infatti, i due decreti monitori appena richiamati risultano — per quanto emergente dalle due

disamina delle azioni di cognizione ordinaria sulle pretese del professionista
asseritosi creditore e sulle altre eventualmente introdotte (cfr. Cass. n. 16755 del

2009, ord., e, da ultimo, Cass. n. 16762 del 2012, ord.). Ed in tali sensi si è pronunciato il
Tribunale di Milano nelle due menzionate sentenze, con le quali aveva accertato e

avv. Paola nei confronti del Partito della Lega Nord erano infondate e, pertanto, da
rigettare (con conseguente condanna del professionista alle spese giudiziali, anche ai
sensi dell’art. 96 c.p.c.). In proposito, deve, altresì, rilevarsi l’infondatezza della tesi
sostenuta dal ricorrente in relazione alla supposta intempestività delle intervenute
riassunzioni, poiché risulta che esse, correttamente (per come ritenuto dallo stesso
Tribunale di Milano), furono esperite nel termine di tre mesi decorrenti dall’emissione dei
provvedimenti di cancellazione delle cause dal ruolo (costituendone il presupposto
imprescindibile), rispettando il disposto previsto dall’art. 38, comma 2, c.p.c. (cfr., per
riferimenti, Cass. n. 913 del 1995 e, in generale, sulla decorrenza della riassunzione della
causa di cognizione, Cass. n. 10796 del 2003 e Cass. n. 30432 del 2011, ord.), essendo
emerso, altresì, che il ricorso per cassazione formulato avverso detti provvedimenti fu
dichiarato inammissibile.
Né ha alcuna diretta influenza, nella controversia in questione, l’intervenuta emanazione
della sentenza n. 622 del 2008 del Tribunale di Lamezia Terme con la quale fu dichiarata
l’inammissibilità dell’opposizione tardiva avanzata dal Partito della Lega Nord avverso il
decreto ingiuntivo n. 199/2002 (che inerisce un diverso titolo), dal momento che, “ex actis”,
risulta, allo stato, che l’efficacia esecutiva di detta sentenza è stata sospesa dalla Corte di
appello di Catanzaro, con provvedimento depositato il 14 novembre 2008.

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dichiarato che le pretese creditorie azionate nei due giudizi dal convenuto in riassunzione

Pertanto, alla stregua delle complessive argomentazioni esposte e dei riscontri
documentali globalmente emersi, deve ritenersi che non risulta provata l’eccezione di
giudicato formulata nell’interesse del ricorrente (e, quindi, la propagazione dei suoi effetti
sul giudizio definito con la sentenza di appello in questa sede impugnata).

al rigetto delle prime due esaminate doglianze) per la supposta violazione dell’art. 295
c.p.c. in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., in ordine alla mancata sospensione del
giudizio malgrado la contemporanea pendenza degli altri giudizi, attinenti allo stesso
oggetto sostanziale, dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme.
3.1. Il motivo si prospetta inammissibile perché afferisce ad una questione di rito nuova che
non ha formato oggetto dei precedenti gradi di merito né risulta che sia stata
specificamente proposta con l’atto di appello, il cui esame è consentito anche in questa
sede alla stregua della natura processuale della formulata doglianza.
Infatti, dal gravame avanzato nell’interesse dell’Avv. Paola emerge che lo stesso ebbe a
fondare l’impugnazione su quattro motivi (di cui i primi tre formulati in via principale e
l’ultimo in linea subordinata). In particolare, il primo motivo involgeva la censura
prospettata come prima doglianza con il ricorso in discorso, ovvero la supposta erroneità
della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto sussistenti poteri di
rappresentanza sostanziale in capo all’Avv. Matteo Brigandì che aveva rilasciato procura
alle liti all’opponente Partito della Lega Nord, con consequenziale inammissibilità
dell’opposizione proposta; il secondo motivo ineriva l’asserita nullità della sentenza di
prime cure per omessa valutazione degli elementi di fatto già posti a fondamento del
ricorso per decreto ingiuntivo, congiuntamente alla prospettazione di una motivazione

Il

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata (condizionatamente

apparente, illogica e contraddittoria; il terzo riguardava la supposta nullità delta sentenza di
prima istanza per omessa fissazione dell’udienza ex art. 184 c.p.c. e per essere stata
pretermessa e impedita la fase istruttoria (doglianza, peraltro, riproposta in questa sede
con il settimo motivo del ricorso, che sarà sucessivamente affrontato); il quarto ed ultimo

primo grado per mancata rimessione sul ruolo della causa in presenza di fatti sopravvenuti
nelle more e determinanti una diversa disciplina giuridica della fattispecie (quanto alla
dedotta eccezione di difetto di legittimazione processuale dell’opponente Partito e, in
subordine, agli effetti legali di giudicato da farsi valere nello stesso giudizio). Nelle stesse
conclusioni dell’atto di appello l’attuale ricorrente si era limitato ad invocare l’annullamento
della sentenza appellata per i riportati motivi, con la dichiarazione che l’opposizione a
decreto ingiuntivo n. 865 del 2005 proposta dal Partito della Lega Nord, come
rappresentato dall’Avv. Matteo Brigandì, era inammissibile e/o improcedibile per difetto di
legittimazione processuale del medesimo e, in subordine, nel merito, previa eventuale
ammissione dei mezzi istruttori specificati nello stesso atto di appello, l’annullamento della
sentenza impugnata e l’accoglimento della domanda di cui al ricorso monitorio, formante
parte integrante del gravame, con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio.
Pertanto, alla stregua del “petitum” complessivamente devoluto in appello e per quanto
emergente dalla stessa sentenza di secondo grado, non risultava essere stata proposta
una specifica doglianza attinente all’invocata sospensione, ragion per cui essa non può
ritenersi ammissibile in questa sede. Deve, perciò, ribadirsi il principio in base al quale, nel
giudizio di cassazione, è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che
postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a

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motivo (proposto “in estremo subordine”) concerneva l’assunta nullità della sentenza di

meno che tali questioni non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione
nel giudizio di appello (condizioni queste ultime non verificatesi nella fattispecie).
4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 1393, 1706 e segg. e
2729 c.c. (in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c.), in ordine all’omessa considerazione,

riconoscimenti dallo stesso operati con riguardo al rapporto intercorso tra lo stesso Avv.
Paola ed il Partito della Lega Nord con riferimento all’oggetto dedotto in giudizio.
4.1. Ritiene il collegio che questa censura è priva di fondamento e deve, pertanto, essere
disattesa.
Nella sentenza impugnata, dopo aver posto riferimento al ruolo del Partito della Lega Nord
nell’assunzione di iniziative politiche a livello locale e nazionale per la tutela delle categoria
di imprenditori agricoli interessati al c.d. “crac Federconsorzi”, la Corte territoriale,
nell’esercizio dell’autonomo potere di valutazione probatoria conferitole dall’art. 116 c.p.c.,
ha sufficientemente giustificato la sua decisione escludendo che il sen. Robusti (il quale
aveva cessato la carica di parlamentare fin dal 1995) potesse aver conferito il mandato
all’Avv. Paola nell’interesse della Lega Nord, per la quale si era, invece, attivato sul piano
politico e sindacale o, comunque, per altre attività giudiziarie che esulavano dalle
prestazioni oggetto della richiesta monitoria. A tal proposito, la Corte distrettuale ha, in
modo pertinente, evidenziato che dalla ingente produzione documentale acquisita agli atti
del processo non era emersa alcuna prova diretta di tale conferimento di mandato da parte
del sen. Robusti, nel mentre sarebbe stato necessario, in merito, allegare e documentare
tale circostanza mediante la prova scritta relativo al rilascio del mandato professionale in
ordine al quale i compensi azionati in via monitoria sarebbero in ipotesi spettati (ragion per

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da parte della Corte bolognese, delle dichiarazioni del sen. Robusti e dei ritenuti univoci

cui le prove orali relative alle circostanze del ruolo svolto dal sen. Robusti nei sensi appena
precisati si sarebbero rivelate inammissibili, quanto meno per difetto di rilevanza rispetto al
concreto oggetto del giudizio e alla indispensabilità dell’acclaramento documentale del
conferimento del suddetto mandato).

rimasto accertato all’esito dell’esame del primo motivo — che la rappresentanza legale di
fronte ai terzi e in giudizio spettava al solo Segretario federale del Partito della Lega Nord,
che, in tale qualità, aveva conferito la procura generale oggetto della censura mossa con la
prima doglianza. Oltretutto, l’impostazione processuale adottata dal ricorrente appare — per
certi versi — contraddittoria, poiché, da un lato (come dedotto con il primo motivo) ha
eccepito la carenza di poteri rappresentativi e processuali in capo all’Avv. Brigandì e dei
legali dallo stesso nominati in virtù della procura generale rilasciatagli dal Segretario
federale del Partito (ratificata successivamente anche dal Consiglio federale) e, dall’altro
lato, in modo quanto meno incoerente, ha sostenuto che il conferimento dell’incarico da
parte della Lega Nord non potesse derivare da una procura rilasciata dal legale
rappresentante del Partito (o da una delibera dello stesso Consiglio federale), ma dal sen.
Robusti al quale intenderebbe riconoscere l’attribuzione di una rappresentanza del partito
che, per statuto, spettava al solo on. Bossi, quale segretario federale della Lega Nord.
Inoltre, sul piano strettamente giuridico, occorre rimarcare che — secondo l’indirizzo
costante della giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 1244 del 2000; Cass.
n. 24010 del 2004; Cass. n. 4489 del 2010 e, da ultimo, Cass. n. 4959 del 2012) – ai fini di
individuare il soggetto obbligato a corrispondere il compenso professionale al
difensore, occorre distinguere tra rapporto endoprocessuale nascente dal rilascio

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Del resto risulta pacifico — per quanto emergente dagli atti processuali e per ciò che è

o
della procura ad litem’e rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il
soggetto che ha conferito l’incarico, il quale può essere anche diverso da colui che
ha rilasciato la procura, con la conseguenza che, in tal caso, chi agisce per il
conseguimento del compenso ha l’onere di provare il conferimento dell’incarico da

(come accaduto nella fattispecie in virtù degli adeguati accertamenti di fatto operati
dalla Corte territoriale), presumere che il cliente sia colui che ha rilasciato la procura

(e, nel caso in esame, non è comunque emerso che fosse stato il Partito della Lega Nord a
conferire la procura al ricorrente per le controversie dedotte in via monitoria, per le cui
prestazioni era stato richiesto il pagamento dei compensi professionali).
5. Con il quinto motivo il ricorrente ha prospettato la violazione dell’art. 2384 c.c., in
relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., con riferimento alla reiezione della domanda di
affermazione della responsabilità del Partito della Lega Nord in ordine alle eventuali
obbligazioni assunte da persone diverse dal Segretario federale, dovendosi rilevare
l’applicabilità, anche nei confronti delle associazioni non riconosciute, delle disposizioni
relative alle società.
5.1. Anche questo motivo si profila inammissibile perché — alla stregua di quanto
evidenziato con riferimento al terzo motivo (e sulla scorta delle doglianze
complessivamente dedotte in appello e della portata contenutistica della sentenza di
secondo grado) — investe una, questione del tutto nuova, che non può, quindi, essere
esaminata per la prima volta nella presente sede di legittimità.
6. Con il sesto motivo il ricorrente ha denunciato (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.) la
violazione degli artt. 1189 e 1393 c.c., nonché — in ordine all’art. 360 n. 5 c.p.c. — il vizio di

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parte del terzo, dovendosi, in difetto dell’assolvimento di tale onere probatorio

omessa pronuncia e difetto di motivazione sulla tutela dell’affidamento e sull’apparenza
alla luce degli univoci e concordanti elementi di fatto richiamati nei due precedenti motivi
con riferimento all’attività espletata dal sen. Robusti per conto e nell’interesse del Partito
della Lega Nord.

essa, risulta direttamente introdotto un tema di indagine nuovo in questa sede processuale,
che non può, perciò, essere qui vagliato.
7. Con il settimo motivo il ricorrente ha dedotto, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., l’omessa
pronuncia ed erroneità della sentenza impugnata per mancata fissazione dell’udienza ex
art. 184 c.p.c. e per essere stata pretermessa ed impedita la fase istruttoria, avuto riguardo
alla ritenuta inammissibilità, da parte della Corte territoriale, per difetto di rilevanza degli
argomenti capitolati per le prove orali (siccome tese a fondare in via meramente induttiva il
presupposto, invece, unicamente dimostrabile mediante atto sottoscritto dal patrocinato ed
autenticato dallo stesso legale incaricato) ed essendo risultato che lo stesso ricorrente,
all’udienza ex art. 183 c.p.c., aveva esplicitamente chiesto al giudice di procedere
direttamente alla fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni ai fini
dell’accoglimento delle eccezioni preliminari senza deduzioni istruttorie.
7.1. Questa censura è priva di pregio e deve essere disattesa.
Oltre a richiamare quanto già evidenziato in risposta al quarto motivo, occorre porre in
risalto che la Corte territoriale, oltre a ravvisare l’irrilevanza delle prove orali dedotte
nell’interesse dell’Avv. Paola (sulla scorta delle considerazioni già precedentemente
richiamate in relazione al ricordato 4° motivo), ha attestato che il difensore del ricorrente,
nell’ambito del giudizio di primo grado, all’udienza ex art. 183 c.p.c., aveva instato per la

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6.1. Ritiene il collegio che anche questa censura è da dichiarare inammissibile perché, con

immediata fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni (anche ai fini del
presumibile ed auspicato accoglimento delle eccezioni pregiudiziali e preliminari sollevate)
senza formalizzare le deduzioni istruttorie, ragion per cui il giudice istruttore aveva
legittimamente provveduto in conformità (sulla base, perciò, della stessa richiesta del

della facoltà di articolare mezzi istruttori), senza che da tale condotta processuale adottata
dal Tribunale monocratico potesse discendere un effetto comportante la nullità degli atti
processuali conseguenti. Questa ricostruzione operata dalla Corte bolognese risponde alla
“ratio”e alla impostazione sistematica del giudizio di civile di primo grado disciplinato dalla
legge novellatrice del codice di rito n. 353 del 1990 (“ratione temporis” applicabile, ma la
soluzione non cambia anche con riferimento alla nuova disciplina dell’art. 183 c.p.c., come
introdotta dalla legge n. 80 del 2005 e succ. modif. ed integr., che ha, sostanzialmente,
accorpato le previsioni dei pregressi artt. 183 e 184 c.p.c.), secondo cui, qualora il giudice,
al termine della prima udienza di trattazione, in difetto della proposizione di istanze
istruttorie o di ulteriori richieste probatorie rispetto a quelle formulate fin dagli atti introduttivi
ed in mancanza della istanza di assegnazione del termine di cui all’art. 184, comma 1,
c.p.c. (ora art. 183, comma 7, c.p.c.), avesse rinviato la causa per la precisazione delle
conclusioni senza fissare, in proposito, un’apposita udienza per le deduzioni istruttorie, non
prevista obbligatoriamente dalle disposizioni processuali applicabili, restava
definitivamente sancita la decadenza delle parti dal potere di formulare ulteriori richieste
istruttorie. In altri termini (cfr., specificamente, Cass. n. 16751 del 2002),

nel processo

regolato dal rito introdotto con la legge n. 353 del 1990 (ma tale principio è
applicabile anche a seguito della novellazione, intervenuta nel 2005, degli artt. 183 e

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patrono dell’Avv. Paola, che, pertanto, aveva inteso implicitamente rinunciare all’esercizio

184 c.p.c.), qualora, a chiusura dell’udienza di trattazione, in difetto di istanze
istruttorie, il giudice avesse rinviato ad altra udienza per rassegnare le conclusioni
(nella specie, peraltro, sollecitata proprio dal difensore del professionista opposto),
egli non avrebbe potuto revocare tale ordinanza all’udienza di precisazione delle

prodotta la preclusione istruttoria, ed il potere di revoca e modifica delle ordinanze,
previsto dall’art. 177 c.p.c., non era esercitabile al fine di rendere inoperante una
decadenza già verificatasi, perché di essa neppure il giudice avrebbe potuto
disporre.
8. Con l’ottavo ed ultimo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per
violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (in ordine all’ad. 360, nn. 3,4 e 5, c.p.c.), con riferimento
all’illegittima condanna alle spese pronunciata a suo carico, senza tener conto né di tutte le
eccezioni formulate né del particolare andamento complessivo del giudizio.
8.1. Anche quest’ultima censura è destituita di fondamento e, perciò, deve essere respinta,
avendo il giudice di appello applicato legittimamente il principio della soccombenza
(peraltro, nella specie, totale) a carico dell’appellante. Del resto la Corte territoriale si è
conformata sul punto ai principi predicati dalla giurisprudenza di questa Corte, in base ai
quali si configurerebbe la violazione del precetto di cui all’ad. 91 c.p.c. (costituente anche
un’applicazione del principio di causalià) – che impone di condannare la parte soccombente
al pagamento totale delle spese giudiziali, salvi i casi di compensazione totale o parziale
delle stesse, come consentito dal successivo ad. 92 c.p.c. – ogni qualvolta il giudice
ponesse, anche parzialmente, le spese di lite a carico della parte risultata totalmente
vittoriosa. Oltretutto, in materia di spese processuali, l’identificazione della parte

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conclusioni, ammettendo le prove solo in quella sede formulate, in quanto si era già

soccombente è rimessa al potere decisionale del giudice del merito, insindacabile in sede
di legittimità, con l’unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono
essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
9. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere

spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta dei
nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140
(applicabile nel caso di specie in virtù dell’art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n.
17405 del 2012).
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in complessivi euro 25.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre
accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 7 febbraio 2013.

integralmente respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle

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