Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14108 del 11/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 11/07/2016, (ud. 04/05/2016, dep. 11/07/2016), n.14108

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21583-2015 proposto da:

M.T., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, CORSO TRIESTE 16, (STUDIO DE LILLA-NAPOLITANO) presso lo

studio dell’avvocato EVARISTO PETROCCHI, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ASSISI, C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARBERINI 12,

presso lo studio dell’avvocato ENRICO TONELLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE CAFORIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 11198/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 29/05/2015, R.G. N. 7481/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2016 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito l’Avvocato EVARISTO PETROCCHI;

udito l’Avvocato GUSTAVO VISENTINI per delega GIUSEPPE CAFORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11198 del 2015, pronunciando sul ricorso proposto dal Comune di Assisi avente ad oggetto la sentenza n. 311/2013 della Corte di appello di Perugia, in accoglimento del quarto motivo del ricorso, rigettati i primi tre motivi e assorbito l’ultimo, cassava la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigettava la domanda proposta dall’avv. M. T., diretta al riconoscimento del diritto a vedere individuato l’Ufficio legale del Comune di Assisi quale posizione organizzativa ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 31 marzo 1999 del Compatto Regioni ed Autonomie Locali, ed a conseguire il corrispondente trattamento giuridico ed economico.

2. Con il quarto motivo di ricorso del Comune di Assisi, accolto dalla Corte, era stata denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8 e 9 del CCNL del 31 marzo 1999, sull’assunto che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, il CCNL nel prevedere l’istituzione delle posizioni organizzative non impone un obbligo incondizionato a carico dell’Ente e, solo una volta istituita tale posizione, è configurabile il diritto al relativo conferimento a coloro che ne abbiano diritto. Nell’accogliere tale censura, la sentenza di legittimità rappresentava che, alla stregua della sentenza impugnata, era dato prescindere dall’inammissibilità della censura relativa alla permanenza del potere discrezionale in capo all’ente pubblico territoriale in conseguenza della mancata proposizione di appello incidentale sul punto della sentenza che ne aveva escluso la configurabilità e che, in ragione di ciò, era consentito affrontare nel merito la questione oggetto della decisum, ossia della ritenuta non configurabilità di un potere discrezionale dell’ente nell’istituire le posizioni organizzative, sì che la posizione del singolo dipendente intanto può rilevare solo ed in quanto sia istituita la posizione organizzativa.

3. La Corte di cassazione osservava:

– che l’art. 8 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 31 marzo 1999, nel prevedere la istituzione delle posizioni organizzative, pur non imponendo, come il contratto collettivo del compatto sanitario, che tali posizioni siano costituite secondo le esigenze di servizio, non stabilisce un obbligo incondizionato per la P.A., atteso che tale attività rientra nelle funzioni organizzative dell’ente, il quale, in via generale, e a prescindere dalle previsioni contrattuali, deve tenere conto delle proprie esigenze e dei vincoli di bilancio che, altrimenti, non risulterebbero rispettati;

– che, del resto, le Sezioni Unite, nella sentenza n. 16540 del 18 giugno 2008, resa nella specifica controversia in sede di risoluzione di conflitto negativo di giurisdizione tra Giudice amministrativo e Giudice ordinario, avevano affermato che “per come è strutturata la relativa disciplina, rivolta al personale non dirigente già inquadrato nelle aree e in possesso di determinati profili professionali, il conferimento dell’incarico presuppone che le amministrazioni abbiano attuato i principi di razionalizzazione previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, e abbiano ridefinito le strutture organizzative e le dotazioni organiche”; che tanto comporta che la posizione del singolo dipendente intanto può rilevare solo ed in quanto sia istituita la posizione organizzativa.

4. Tale sentenza è oggetto di ricorso per revocazione proposto dalla M.. Resiste il Comune di Assisi con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente per revocazione si duole di errori percettivi e di una contraddizione intrinseca che questa Corte avrebbe commesso nell’interpretare la sentenza della Corte di appello, travisandone il senso nella parte in cui aveva rigettato le eccezioni d’inammissibilità sollevate dal Comune con riferimento sia alla pretesa diversità delle conclusioni tra il ricorso in riassunzione ed il ricorso originario, sia all’azione di condanna ad un facere della P.A.. Ad avviso della Corte di appello, le eccezioni, espressamente respinte dal Giudice di primo grado, avrebbero dovuto essere riproposte con appello incidentale e non con semplice memoria ex art. 346 c.p.c.; comunque queste erano infondate. Tale statuizione aveva formato oggetto del terzo motivo di ricorso per tassazione del Comune, che aveva prospettato violazione degli artt. 343 e 346 c.p.c., assumendo che erroneamente la Corte del merito aveva ritenuto inammissibili, perchè non riproposte con impugnazione incidentale, le eccezioni relative all’inammissibilità del ricorso in riassunzione, stante la modifica della domanda principale, e all’inammissibilità dell’azione proposta, stante la richiesta condanna ad un facere della P.A. Poi, con il quarto motivo il Comune di Assisi, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8 e 9 del CCNL del 31 marzo 1999, aveva prospettato che il CCNL nel prevedere l’istituzione delle posizioni organizzative non aveva imposto un obbligo incondizionato, rientrando pur sempre nella discrezionalità dell’Ente l’istituzione di dette posizioni organizzative.

2. La Corte di cassazione ha respinto il terzo motivo ed ha accolto il quarto, ritenendo che il rilievo di inammissibilità delle eccezioni non ritualmente riproposte in appello costituisse una ratio decidendi preclusiva della disamina delle eccezioni medesime, vertenti sulla pretesa inammissibilità della domanda, ma non precludesse l’esame del quarto motivo di ricorso per cassazione, il quale aveva investito il merito della domanda, riguardante la configurabilità o meno di un diritto al conferimento di posizione organizzativa in difetto di previa istituzione della relativa posizione.

3. Nel pervenire alla riferita conclusione di accoglimento del motivo di ricorso del Comune, la Corte di cassazione ha riferito che era opportuno premettere che, per quanto riguardava la questione della sussistenza o meno di un potere discrezionale dell’ente d’istituire la posizione organizzativa, la Corte del merito nel rigettare la prospettazione del Comune esplicitamente aveva inteso “prescindere dall’inammissibilità della censura…” e che tanto consentiva di affrontare nel merito il punto in esame. Al riguardo, l’odierna ricorrente sostiene che la Corte sarebbe incorsa in un “abbaglio percettivo” nella parte in cui aveva affermato che la Corte di appello, per quanto atteneva alla sussistenza o meno di un potere discrezionale dell’ente d’istituire la posizione organizzativa, aveva ritenuto di “prescindere” dalla inammissibilità della stessa censura, mentre il significato che la Corte territoriale intendeva dare alla locuzione “a prescindere” era ben diversa. La sentenza di appello aveva infatti così motivato: “….non perfettamente in termini appare il riferimento alla sentenza n. 8297/2012 (a prescindere dalla stessa inammissibilità della censura relativa alla permanenza del potere discrezionale In capo all’ente pubblico territoriale, supra rilevata, in conseguenza della mancata proposizione di appello incidentale sul punto della sentenza che ne aveva escluso la configurabilità), anche in ragione della diversa valenza dell’articolo della contrattazione collettiva richiamato, posto che….”. Il significato desumibile da tale motivazione portava a ritenere che la Corte di appello non avesse inteso omettere di valutare (nel significato di “prescindere” attribuito nella sentenza ora impugnata), ma avesse inteso enunciare una seconda ratio decidendi (di rigetto) accanto quella, già illustrata, di inammissibilità dell’eccezione vertente sull’esistenza del potere discrezionale della P.A. Sostiene dunque la ricorrente per revocazione che, ove la Corte di legittimità si fosse avveduta della preclusione derivante dalla corretta lettura della sentenza di appello, la stessa non avrebbe proceduto all’esame del merito del quarto motivo di impugnazione, perchè precluso dall’autonoma ratio decidendi (di inammissibilità) sulla medesima questione.

4. Il ricorso per revocazione è infondato.

5. L’errore di fatto prospettato a fondamento del ricorso afferisce all’ipotesi di cui all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, inteso come errore di percezione, o mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa.

5.1. Tuttavia, ai fini della configurabilità della fattispecie denunciata l’errore deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa;

3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo (cfr, ex plurimis, Cass. civ. sentt. nn. 13915 del 2005 e 2425 del 2006, v.

anche Cass. civ. SS.UU. sent. n. 9882 del 2001).

6. Nel caso in esame, la Corte di cassazione ha interpretato il contenuto delle domande, delle eccezioni e dei motivi di ricorso, in relazione al tenore della sentenza Impugnata, escludendo che, dalla sequenza processuale, fosse ravvisabile una preclusione da giudicato interno impeditiva dell’esame nel merito del quarto motivo di ricorso proposto dal Comune. Si evince infatti dalla stessa sentenza come le questioni riproposte irritualmente in appello vertessero su profili preliminari relativi alla ammissibilità della domanda nei termini della sua (ri)proposizione in sede di riassunzione a seguito della declaratoria sulla giurisdizione (in relazione al presunto, ma ritenuto pure infondato rilievo, del mutamento del petitum e alla introduzione di una domanda di condanna avente ad oggetto un facere della PA.) e che la rilevata – dalla Corte di cassazione con il rigetto del terzo motivo – inammissibilità/infondatezza di tali profili, concernenti l’ammissibilità della domanda, non interferissero sulle questioni oggetto del quarto motivo di ricorso, concernente la sua fondatezza (o meno) della domanda nel merito. Il significato attribuito alla locuzione “a prescindere…” si inserisce nel contesto di un’operazione interpretativa della questione centrale del giudizio. Non è ravvisabile la svista quando il giudice di legittimità interpreta la sentenza impugnata e qualifica i suoi passaggi argomentativi.

7. Non è idoneo ad integrare errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4), l’ipotizzato travisamento, da parte della Corte di cassazione, di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti l’Interpretazione dei contenuti espositivi dei rispettivi atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale – quand’anche risulti errata – di revocazione (cfr.

Cass. n. 13181 del 2013). L’errore di fatto, quale motivo di revocazione della sentenza, non sussiste allorchè la parte abbia denunciato l’erronea presupposizione dell’inesistenza di un giudicato, poichè questo, essendo destinato a fissare la “regola” del caso concreto, partecipa della natura dei comandi giuridici e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma attiene all’interpretazione delle norme giuridiche, mentre l’errore revocatorio deve consistere in una falsa percezione di quanto emerge dagli atti sottoposti a giudizio, concretatasi in una svista materiale su circostanze decisive, emergenti direttamente dagli atti con carattere di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, con esclusione di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle risultanze processuali (cfr. Cass. n. 321 del 2015).

8. Un secondo ordine di censure investe le statuizioni desumibili dalla pronuncia della Sezioni Unite emessa in sede di conflitto di giurisdizione (sent. n. 16540 del 2008). Sostiene l’attuale ricorrente che in tale sede le Sezioni Unite, nel qualificare l’oggetto della domanda, avrebbero affermato che questa escludeva un potere di natura organizzativo-discrezionale della P.A. 9. Anche tale motivo è palesemente destituito di fondamento.

9.1. Le S.U. hanno osservato in detta pronuncia:

– che era pacificamente accertato che l’avvocato ricorrente fosse inquadrato nell’organico dell’Amministrazione comunale mediante l’inserimento in un rapporto gerarchicamente strutturato, con la conseguenza che è la disciplina del rapporto di lavoro subordinato (la quale trova la sua fonte nei regolamenti interni dell’ente e nella contrattazione collettiva, ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 4, nel testo vigente all’epoca della stipulazione del CCNL del 31 marzo 1999) a stabilire i rispettivi diritti ed obblighi delle parti e a vincolare, in via definitiva, il professionista all’ente datore di lavoro;

– che alla stregua di tale presupposto, che l’assegnazione di una qualifica – come quella, nella specie, di capo ufficio del ruolo legale con funzioni di avvocato iscritto nel ruolo speciale rileva, “in generale, nella disciplina comune del rapporto di lavoro ai fini della Identificazione della prestazione convenzionalmente pattuita e della collocazione della posizione lavorativa così stabilita nel sistema di inquadramento contrattuale (cfr. Cass. 29 marzo 2007, n. 7731)”;

– che “nell’ambito di tale sistema – come la sentenza del Tribunale amministrativo dell’Umbria ha esattamente puntualizzato – il professionista è soggetto alle determinazioni discrezionali dell’ente con riguardo alla organizzazione dell’ufficio, e dunque –

con riferimento alla tutela giurisdizionale e alle modalità del suo esercizio – sono devolute alla giurisdizione del Giudice Amministrativo, in base ai criteri di riparto risultanti dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 68, (nel testo modificato dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 29, trasfuso nel D.Lgs. 30 marzo 001, n. 165, art. 63), le controversie concernenti gli atti amministrativi adottati dall’ente nell’esercizio del potere conferito dalla legge (cfr. L. n. 142 del 1990, cit., applicabile nella specie ratione temporis; per il successivo periodo, cfr. L. 3 agosto 1999, n. 265;

D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267), aventi ad oggetto la fissazione delle linee e dei principi fondamentali della suddetta organizzazione, nel cui quadro anche il rapporto di lavoro del professionista si costituisce e si svolge (cfr., ex pluribus, Cass., sez. un., 4 aprile 2007, n. 8363; 13 luglio 2006, n. 15904, ord.)”;

– che nella controversia in esame la ricorrente – rivolgendosi dapprima al T.A.R. dell’Umbria e poi al Tribunale di Perugia in funzione di giudice del lavoro – ha domandato il riconoscimento della posizione organizzativa prevista dall’art. 8 del contratto collettivo del 1999…” “….Si tratta, in definitiva, di una funzione ad tempus di alta responsabilità la cui definizione nell’ambito della classificazione del personale di ciascun compatto – è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva”;

– che “per come è strutturata la relativa disciplina, rivolta al personale non dirigente già inquadrato nelle aree e in possesso di determinati profili professionali, il conferimento dell’incarico presuppone che le amministrazioni abbiano attuato i principi di razionalizzazione previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, e abbiano ridefinito le strutture organizzative e le dotazioni organiche”;

10. E’ stato dunque affermato che il conferimento delle posizioni organizzative al personale non dirigente delle pubbliche amministrazioni inquadrato nelle aree, la cui definizione è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva, esula dall’ambito degli atti amministrativi autoritativi e si iscrive nella categoria degli atti negoziali, assunti dall’Amministrazione con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro, a norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2,; pertanto, nell’applicazione della disposizione contrattuale, l’attività dell’Amministrazione non si configura come esercizio di un potere di organizzazione, ma come adempimento di un obbligo di ricognizione e di individuazione degli aventi diritto, con conseguente devoluzione alla giurisdizione del giudice ordinario delle relative controversie, non ostandovi l’esistenza di atti amministrativi presupposti.

10.1. E’ stato però anche affermato che, il conferimento dell’incarico presuppone che le amministrazioni abbiano “attuato i principi di razionalizzazione previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, e abbiano ridefinito le strutture organizzative e le dotazioni organiche” e che, comunque, nel caso di atti amministrativi presupposti dei quali il giudice ordinario ravvisi l’illegittimità, ben può al riguardo operare la disapplicazione dell’atto ai sensi dell’art. 63, comma 1 del citato, decreto.

11. Infine, in via subordinata, la ricorrente lamenta l’illegittimità costituzionale dell’art. 391-bis c.p.c. e norme ivi richiamate per violazione dell’art. 3 Cost., art. 24 Cost., comma 2, artt. 111 e 113 Cost. e per violazione del diritto di difesa e del diritto ad un giusto processo, laddove non prevedono e non consentono alcun mezzo di difesa per la ricorrente in relazione al rigetto della propria domanda con la sentenza impugnata.

12. La questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata, dovendo ribadirsi il principio – già affermato da questa Corte (Cass. n. 1373 del 2000, conf. Cass. n 2626 del 2000 e n. 5968 del 2001) – secondo cui la limitazione della possibilità di revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione, quale risulta dal combinato disposto dell’art. 381-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, alla ipotesi di errore di fatto, con esclusione dell’errore di diritto, manifestamente non si pone in contrasto con il diritto di difesa, di cui all’art. 24 Cost., nè con il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.. Ed infatti, il sistema delle impugnazioni attualmente vigente appresta incondizionata possibilità di ricorso ordinario e straordinario alla Corte di legittimità, nel contempo assicurando, con l’esperimento di detto ricorso, la chiusura dei mezzi di gravame, esigenza immanente ad ogni sistema processuale, mentre l’introduzione di un sistema di revisione del momento decisionale del giudizio di legittimità, che andasse oltre la previsione di un controllo sulla commissione di errori materiali o percettivi contrasterebbe gravemente con i principi di autorevolezza e definitività della decisione della stessa Corte.

13. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

14. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione nella fattispecie, applicandosi ai procedimenti Iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent. n. 3774 del 18 febbraio 2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso per revocazione e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida In Euro 5.000,00 per compensi professionali e in Euro 100,00 per esborsi, oltre pese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2016

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