Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14106 del 07/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 07/06/2017, (ud. 24/05/2017, dep.07/06/2017),  n. 14106

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. CHINDEMI Domenico – rel. Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8123-2012 proposto da:

COMUNE DI MARCIANISE, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PAOLA

9, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO SANTONASTASO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.M.P., + ALTRI OMESSI

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 325/2011 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 20/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/05/2017 dal Consigliere Dott. DOMENICO CHINDEMI.

Fatto

CONSIDERATO

CHE:

La Commissione Tributaria Regionale della Campania respingeva l’appello proposto dal Comune di Marcianise avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Caserta che aveva acclarato l’esenzione ICI, nei confronti degli eredi di C.L., in quanto la medesima, con riferimento all’anno d’imposta 2003, aveva svolto l’attività di imprenditore agricolo a titolo principale, a nulla rilevando l’età avanzata della stessa.

Il Comune di Marcianise impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale deducendo due motivi.

I contribuenti si sono costituiti con controricorso.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Il Comune col primo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al mero riconoscimento, ai fini dei benefici ICI, della qualifica di coltivatore diretto con conduzione del fondo, sulla base della mera presentazione del certificato d’iscrizione alla camera di commercio in qualità di imprenditore agricolo, senza accertare se le aree fossero state realmente coltivate dal proprietario e senza verificare se il reddito agrario risultante dalla dichiarazione dei redditi fosse superiore al 50% del reddito complessivo Irpef; con il secondo vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 avendo la CTR erroneamente affermato la conduzione diretta dei terreni da parte della sig.ra C..

I motivi, logicamente connessi, vanno esaminati congiuntamente e sono infondati.

Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla CTR, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

Non vi è prova che la censura relativa alla mancata prova della percezione, nell’anno precedente a quello d’imposta, in base al regolamento comunale, peraltro neanche prodotto, un reddito agrario, in misura superiore al 50% dell’imponibile ai fini dell’esenzione ICI, risulti proposta nel primo grado di giudizio e che l’omessa motivazione al riguardo abbia formato oggetto di impugnazione.

E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto, nella specie del tutto predicabili – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile e/a tributario). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze procedimentali, in punto di fatto e di diritto (nonostante quelle stesse risultanze appaiano ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione circostanziale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

La CTR, ancorchè con motivazione per relationem con riferimento alla sentenza di primo grado i ha ritenuto sussistenti i presupposti dell’attività di imprenditore agricolo a titolo principale della sig.ra C. nell’anno 2003.

La motivazione di una sentenza di appello può essere redatta per relationem rispetto alla sentenza di primo grado se non occorre alcuna nuova motivazione per confutare i motivi di impugnazione anche se non vengano riprodotti i contenuti mutuati, non qualora non sussistano incertezze sulla verifica della compatibilità logico-giuridica dell’innesto motivazionale. (sulla motivazione per “relationem” cfr. Cass., SS.UU., 4.06.2008 n. 14814).

Quindi, il rinvio per relationem dalla CTR alla sentenza di primo grado è perfettamente legittimo e giustificato da una economia di scritture.

Tale motivazione è idonea a sorreggere anche le censure formulate alla sentenza di primo grado ed è stata ritenuta corretta dalla CTR che ha affermato che “il giudici di primo grado hanno ampiamente motivato la loro decisione con argomentazioni esenti da vizi logici e giuridici e sorretta da motivazione congrua e coerente,esaminando i punti decisivi della controversia, rispetto alla quale non viene proposta alcuna eccezione che ne scalfisca il relativo valore decisorio”.

Si tratta di apprezzamento di prove e di accertamento di fatti sorretti da congrua motivazione immune da errori e insindacabile in sede di legittimità.

La censura relativa alla mancata prova che il reddito agrario risultante dalla dichiarazione dei redditi fosse superiore al 50% del reddito complessivo Irpef difetta di autosufficienza, non avendo il comune ricorrente indicato in quale atto del giudizio di merito avesse formulato tale rilievo, non essendo possibile dedurre nel giudizio di legittimità questioni nuove.

Va, conseguentemente, rigettato il ricorso con condanna del Comune ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

Rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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