Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14105 del 07/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 07/06/2017, (ud. 24/05/2017, dep.07/06/2017),  n. 14105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. CHINDEMI Domenico – rel. Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3676/2012 proposto da:

D.S.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. MARCONI

112, presso lo studio dell’avvocato RINA TOSTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO PAOLO FANCI;

– ricorrente -f

contro

AGENZIA DEL TERRITORIO DI CHIETI, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

COMUNE DI TORINO DI SANGRO, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato EMILIO SCUTTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato SILVIO RUSTIGNOLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 554/2011 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

PESCARA, depositata il 17/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/05/2017 dal Consigliere Dott. DOMENICO CHINDEMI.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Che:

Con sentenza n. 554/10/11, depositata il 17.6.2011, la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, accoglieva l’appello proposto dal Comune di Torino di Sangro avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Chieti n. 55/01/2008, confermando l’avviso di liquidazione ICI relativo all’anno 2000 nei confronti di D.S.A. e M.C..

I contribuenti impugnano la sentenza della Commissione Tributaria Regionale deducendo 9 motivi e l’enunciazione di querela di falso

Il Comune di Torino di Sangro si è costituito con controricorso. Il ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. In ordine logico deve essere esaminata la richiesta di sospensione del giudizio di cassazione per dare accesso alla proceduta di querela di falso con riferimento al perfezionarsi della notifica dell’atto di appello, risultando soltanto due cedolini postali di spedizione, ritenendo falsa anche l’autorizzazione all’appello da parte della direzione regionale dell’Agenzia del Territorio, nonchè i dispositivi della sentenza in cui la segreteria della CTR indica in un caso il sostantivo “appellanti” e in altra “appellati” relativamente alle stesse parti.

La richiesta di presentazione di querela di falso è inammissibile.

La querela di falso è proponibile in via incidentale nel giudizio di cassazione, dando luogo alla sua sospensione, solo quando riguardi atti dello stesso procedimento di cassazione (il ricorso, il controricorso e l’atto-sentenza) o i documenti di cui è ammesso, nel suddetto procedimento, il deposito ai sensi dell’art. 372 c.p.c. e non anche in riferimento ad atti del procedimento che si è svolto dinanzi al giudice del merito e la cui falsità vuole essere addotta per contestare il vizio di violazione di norme sul procedimento in cui sia incorso il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, con la conseguenza che, ove si adduca la falsità degli atti del procedimento di merito (nel caso di specie della relata di notifica dell’appello dell’ufficio), la querela di falso va proposta in via principale ed è nella impugnazione per revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 2, il mezzo per rescindere la sentenza che, poi, possa essere riconosciuta aver pronunciato su prove dichiarate false (cfr Cass. 20 maggio 2011, n. 11244)

In relazione alla diversa dizione “appellanti” e “appellati” trattasi all’evidenza di errore materiale che nessuna influenza ha avuto ai fini della decisione.

La sentenza non contiene, inoltre, l’affermazione che l’atto di appello proposto dal Comune sarebbe giunto a destinazione, essendosi la CTR limitata ad affermare che dalla documentazione in atti risulta che il piego raccomandato è stato spedito nei termini e non vi è prova che lo stesso non sia stato ricevuto.

2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta l’illegittima acquisizione al giudizio di appello di prove fotografiche, indispensabili all’agenzia del territorio per avvalorare tardivamente i propri assunti.

Tale rilievo è infondato avendo la CTR affermato che la documentazione prodotta non presenta alcun elemento di novità rispetto alle prospettazione dell’ufficio in sede di controdeduzuioni al ricorso introduttivo ma è semplicemente esplicativa della documentazione depositata in primo grado, tratta peraltro dalla denuncia di accatastamento presentata dai contribuenti e quindi da essi direttamente conosciuta.

3. Con il secondo motivo viene eccepita l’omessa pronuncia sulla decadenza dell’avviso liquidazione.

Il motivo difetta di autosufficienza non avendo i ricorrenti allegato o riprodotto, con la relativa indicazione toponomastica, l’avvenuta censura di tale vizio con appello incidentale, essendo stati i contribuenti vittoriosi nel giudizio di primo grado.

4. Col terzo motivo si deduce la violazione dei principi in tema di notificazione dell’atto di appello. Ancorchè fondata la censura non può tuttavia portare alla conseguenza invocata dai ricorrenti. Il Comune ha allegato al proprio atto di appello la ricevuta di spedizione della raccomandata con ricevuta di ritorno, ma non quest’ultima, affermando che incombe al destinatario dimostrare di essersi trovato nella impossibilità di acquisire la conoscenza della raccomandata.

In tema di notificazioni a mezzo posta, quando debba accertarsi il perfezionamento della notificazione nei confronti del destinatario, il documento attestante la consegna, la sua data e l’identità della persona nelle cui mani è stata eseguita è l’avviso di ricevimento della raccomandata, la cui produzione in giudizio è onere che grava sulla parte notificante.

Nel caso di specie non è contestata la tempestività della proposizione dell’impugnazione e la ctr, con valutazione di merito, ha implicitamente ritenuto provata l’avvenuta notifica precisando che “i contribuenti hanno essi stessi dichiarato di conoscere il contenuto dell’atto, riportandone nelle controdeduzioni ampi stralci”.

5. Col quarto motivo si deduce la violazione di legge in tema di rappresentanza e assistenza in giudizio del Comune e dell’Agenzia del Territorio per carenza di autorizzazione alla proposizione dell’appello.

Il motivo difetta di autosufficienza. La CTR ha al riguardo affermato che “risulta versato in atti il verbale di Delib. Giunta Comunale 28 maggio 2009, n. 61, con il quale si autorizza il comune a proporre appello avverso la sentenza della commissione tributaria provinciale” e la mancata allegazione o riproduzione del contenuto della Delib. di giunta non consente a questa corte di valutare ulteriori rilievi.

In relazione alla mancata autorizzazione all’appello da parte dell’agenzia, come ribadito da questa Corte con l’ordinanza n. 22/2016 e con la sentenza n. 10746/2014 – in piena sintonia con l’indirizzo delle Sezioni Unite di cui alla sentenza n. 604/2005, successivamente confermato dalla sentenza n. 8196/2015 – nel processo tributario, la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, secondo la quale gli uffici periferici del dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze e gli uffici del territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale, rispettivamente, dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione generale delle entrate e dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio, non è più applicabile una volta divenuta operativa – in forza del D.M. 28 dicembre 2000, del Ministero dell’economia – la disciplina recata dal D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, che ha istituito le Agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero delle finanze, e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, spettando a ciascuna agenzia appellare le sentenze ad esse sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali.

6. Si deducono, con il quinto motivo, violazioni di legge in tema di ricorso avverso avviso di classamento, con il sesto motivo travisamento dei fatti inerenti l’avvenuta notificazione della rendita da parte dell’ufficio, con il settimo motivo illegittima applicazione delle norme che regolano i ricorsi avverso i provvedimenti di accertamento della rendita catastale degli immobili a destinazione ordinaria, con l’ottavo motivo travisamento dell’iter formativo della nuova rendita catastale attribuita alle unità immobiliari oggetto di ricorso, con il nono motivo violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., relativamente alla condanna alle spese, in mancanza di presentazione di note specifiche.

I motivi dal quinto all’ottavo vanno esaminati congiuntamente, in quanto logicamente connessi e sono inammissibili in quanto le censure svolte sub specie della violazione di legge e vizio di motivazione inducono in realtà a sollecitare alla Corte un nuovo sindacato di merito in senso difforme da quello svolto dal giudice tributario, come tale precluso a questo giudice di legittimità che ha correttamente applicato i principi in tema di classamento delle unità abitative ordinarie, pur tenendo in disparte i profili di inammissibilità del ricorso per la mancata trascrizione o allegazione dell’atto impositivo.

L’omessa riproduzione del documento richiamato non permette alla Corte di verificare che il tenore dell’avviso corrisponda a quanto riferito dalla contribuente e quindi di esercitare qualsiasi attività nomofilattica, la quale deve ovviamente fondarsi su elementi di fatto certi (Cass. sez. trib. n. 9536 del 2013; Cass. sez. trib. n. 8312 del 2013); ma la doglianza è altresì inammissibile perchè il giudizio circa la idoneità della motivazione di un atto fiscale, implica un accertamento di fatto che pertanto andava censurato per vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis (Cass. sez. trib. n. 1439 del 2006).

E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto, nella specie del tutto predicabili – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativaignificazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile e/o tributario). La CTR ha ritenuto corretta la categoria A/4 trattandosi di abitazione di tipo popolare priva di riscaldamento e con zona giorno e notte collegate da una scala esterna, ritenendo, tuttavia, di confermare la classe terza di redditività in quanto trattasi di seconda abitazione destinata al turismo estivo, in zona di pregio, munita di doppi servizi, balconi, terrazze e spazi esterni, rilevando, con valutazione di merito, trattarsi di immobile ubicato in zona di pregio ambientale, tutt’altro che vetusto e fatiscente, ben suddiviso ed accorpato, dotato di ampia corte e terrazzi.

6. Anche l’ultimo motivo è infondato avendo applicato la CTR, nella liquidazione delle spese, il principio di soccombenza, essendo sufficiente ai fini della liquidazione soltanto la relativa domanda, ben potendo il giudice tributario provvedere alla liquidazione delle spese giudiziali sulla base dell’attività svolta dalla parte, anche in mancanza di nota spese. Peraltro i giudici di appello hanno liquidato le spese processuali solamente per il giudizio di appello, omettendo ogni pronuncia in relazione alle spese del primo grado di giudizio su cui avrebbero dovuto provvedere, essendo stata riformata la sentenza di primo grado; tale mancanza tuttavia non è stato oggetto di censura da parte degli intimati.

Va, quindi, rigettato il ricorso.

PQM

 

Dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Condanna in solido i ricorrenti al rimborso delle spese processuali a favore delle parti costituite che liquida, a favore del Comune di Torino di Sangro e dell’Agenzia delle Entrate in Euro 2.500,00 per ciascuna parte oltre alle spese prenotate a debito a favore dell’Agenzia e spese forfettarie e accessori di legge a favore del Comune.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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