Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14104 del 07/07/2020

Cassazione civile sez. I, 07/07/2020, (ud. 22/06/2020, dep. 07/07/2020), n.14104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Cristina – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio P. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31273/2018 proposto da:

I.K., rappresentato e difeso dall’avvocato Vincenzina

Salvatore, elettivamente domiciliato, in Roma Via V.G. Galati 100/c,

presso lo studio dell’Avv. Enzo Giardinello, giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Napoli, depositato il 09/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/06/2020 dal Cons. Dott. MARIA GIOVANNA SAMBITO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 9 ottobre 2018, il Tribunale di Napoli ha rigettato le istanze di protezione internazionale avanzate da I.K., cittadino della (OMISSIS), il quale aveva dichiarato di esser fuggito per sottrarsi alla vendetta dei suoi familiari, i quali volevano ucciderlo per motivi legati all’eredità.

Il Tribunale ha ritenuto non credibile la vicenda narrata, ha considerato, inoltre, che i fatti non costituivano forme di persecuzione da agenti statali, ed ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ed umanitaria.

Ricorre il richiedente sulla base di tre motivi, successivamente illustrati da memoria. L’Amministrazione ha depositato atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, deducendo la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), art. 2, comma 1, lett. e) e art. 7, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d) ed art. 8 e la violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra, il ricorrente lamenta che i(Tribunale non ha riconosciuto lo status di rifugiato, per la non corretta applicazione delle norme che devono presidiare l’esame della domanda di protezione internazionale. Il Tribunale, lamenta il ricorrente, si è, infatti, limitato ad affermare che lo Stato di provenienza non è assente in materia di protezione dei cittadini nelle questioni civili, omettendo di considerare la complessiva situazione esistente nel Paese di origine, risultante dai rapporti delle associazioni internazionali già versati in atti. Dovere dal quale il giudice non era esentato per il giudizio di non credibilità, assunto sulla scorta di elementi che non lo giustificavano.

2. Col secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 4 e 14. Il riconoscimento della protezione sussidiaria, afferma il ricorrente, è stato ricusato erroneamente, essendo innegabile che la Nigeria non è un Paese sicuro, e che la situazione prospettata andava ad integrare i presupposti di cui alla lett. b) dell’invocato art. 14. Il ricorrente aggiunge che i siti internazionali documentano una situazione di gravissima insicurezza e violenza indiscriminata che coinvolge l’intero territorio.

3. Col terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 268 del 1998, art. 5, comma 6 e nullità della sentenza per assenza di motivazione sulla protezione umanitaria, di cui, invece, sussistono i presupposti. Lo straniero afferma, da una parte, che la dichiarazione di non credibilità è stata assunta in modo superficiale, ed aggiunge dall’altra, che il fatto stesso che egli abbia rischiato la propria vita per raggiungere l’Italia e che nel suo Paese non ha famiglia e lavoro, avrebbero dovuto far propendere per l’accoglimento di tale titolo di soggiorno.

4. I motivi, da valutarsi congiuntamente, per comodità espositive presentano profili d’inammissibilità e d’infondatezza.

5. A parte che il ricorrente confonde e sovrappone il momento della valutazione di credibilità soggettiva col dovere di cooperazione istruttoria, questa Corte deve rilevare che in relazione alla massima protezione ed ai casi disciplinati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), di “condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte” o “tortura o altra forma di pena o trattamento inumano e degradante ai danni del richiedente”, la valutazione di credibilità soggettiva costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento: le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono, infatti, alcun approfondimento istruttorio officioso (tra le tante Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018; n. 15794 del 2019), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente, ma non è questo il caso, dall’impossibilità di fornire riscontri.

6. Nella specie, la Corte territoriale ha escluso la sussistenza della credibilità soggettiva del richiedente su specifiche discrasie del suo racconto, riferite alla sua genericità, al mancato coinvolgimento delle forze di polizia, dopo la morte del padre (2009), al lasso temporale intercorso tra tale evento e la decisione di espatrio (2016) durante il quale lo straniero ha continuato a vivere nel villaggio senza riferite episodi di violenza da parte degli zii. A tanto, va aggiunto che il Tribunale ha escluso che il timore paventato dallo straniero potesse esser riconnesso al sistema della protezione internazionale, così applicando il principio, già affermato da questa Corte (Cass. n. 9043 del 2019), secondo cui le liti tra privati (nella specie per ragioni ereditarie) non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria, (art. 2, lett. g), atteso che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi ma con riferimento ad atti persecutori o danno grave da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b).

7. Il tribunale ha, poi, escluso che sussista alcuna ipotesi di conflitto armato interno, in base a fonti espressamente menzionate nella sentenza. Ed il relativo accertamento implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, il che non è stato dedotto, avendo, piuttosto, il ricorrente richiamato giurisprudenza di merito e fonti che danno, bensì, conto di una situazione di precarietà e di violazioni di diritti civili, ma che non può esser sussunta in quella situazione di violenza generalizzata in conflitto armato interno o internazionale, che, al lume dei principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07 e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018), può dar luogo alla tutela richiesta.

8. Il decreto è esente dalle critiche che gli sono rivolte in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria. Escluso che la decisione non sia motivata, come apoditticamente si afferma, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il permesso umanitario costituisce una misura residuale, per garantire le situazioni, da individuare caso per caso, nelle quali, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non possa tuttavia disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 4455 del 2018; n. 23604 del 2017; n. 15466 del 2014, n. 26566 del 2013). Tale vulnerabilità deve esser, poi, riconnessa non alla generale condizione del Paese di provenienza ma al rischio del medesimo richiedente di subire nel Paese d’origine una significativa ed effettiva compromissione dei diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018 cit.). E nella specie il ricorrente, omette di indicare sue specifiche ragioni di vulnerabilità, tali non potendo considerarsi quelle addotte, connesse alla stessa condizione di migrante.

9. Non va provveduto sulle spese, dato il mancato svolgimento di attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2020

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