Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14100 del 11/06/2010

Cassazione civile sez. trib., 11/06/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 11/06/2010), n.14100

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso R.G.N. 13971/2006, proposto da:

Comune di Bolzano, di seguito Comune, in persona del sindaco in

carica, signor S.L., rappresentato e difeso dagli avv.

Gudrun Agostini, Marco Cappello e Giampiero Placidi, presso il quale

è elettivamente domiciliato in Roma, Via Barberini 86;

– ricorrente –

contro

la Domus Residenz spa, di seguito “Società”, in persona del legale

rappresentante in carica, signor G.W., rappresentata e

difesa all’avv. Lucchese Tiziano, presso il quale è elettivamente

domiciliata in Verona, Via Stella 19;

– intimata e controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado (CT

2) di Bolzano 25 gennaio 2006, n. 1/1/06, depositata il 30 gennaio

2006 e notificata il 24 marzo 2006;

udita la relazione sulla causa svolta nell’udienza pubblica del 16

marzo 2010 dal Cons. Dott. MELONCELLI Achille;

udito l’avv. Lentini Luca, delegato dall’avv. PLACIDI Giampiero;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’accoglimento del quinto

motivo di ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti introducivi del giudizio di legittimità.

1.1. Il 3 maggio 2006 è notificato alla Società un ricorso del Comune per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che, dopo averli riuniti, ha accolto gli appelli della Società contro le sentenze della Commissione tributaria di primo grado (CT 1) di Bolzano n. 115-123/04, che avevano dichiarato inammissibili per tardività i ricorsi della Società contro nove avvisi di accertamento della Tarsu degli anni 1998-2000.

1.2. L’8 giugno 2006 è notificato al Comune il controricorso della Società.

2.1 fatti di causa.

I fatti di causa sono i seguenti:

a) il 28 novembre 2002 sono notificati alla Società gli avvisi di accertamento della Tarsu 1998 (nn. 2326/02, 2329/02 e 2332/02), della Tarsu 1999 (nn. 2330/02, 2327/02 e 2333/02) e della Tarsu 2000 (nn. 2331/02, 2328/02 e 2234/02);

b) gli avvisi di accertamento hanno per oggetto i locali della Società siti in (OMISSIS) (zona industriale), di complessivi mq 1.438, di cui mq 1.314 con destinazione magazzino/deposito merci e mq 124 con destinazione officina;

c) i ricorsi della Società sono dichiarati tardivi dalla CT 1;

d) l’appello della Società è, invece, accolto dalla CT 2 con la sentenza ora impugnata per cassazione.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CT 2, oggetto del ricorso per cassazione, è, limitatamente ai capi che sono impugnati in questa sede, così motivata:

a) è infondata l’eccezione del Comune, secondo la quale sarebbe inammissibile la pretesa riduzione del tributo per l’assunzione a proprio carico dello smaltimento, perchè essa non sarebbe stata proposta in primo grado; infatti, dal momento che la ricorrente già in prima istanza ha chiesto l’esenzione dal tributo, una domanda di riduzione non è altro che una domanda di esonero parziale dalla pretesa totale, cosicchè la si deve ritenere già contenuta nella domanda introduttiva; anche il fatto che la ricorrente abbia autonomamente smaltito i rifiuti è stato prospettato nel ricorso introduttivo; del resto in questo processo non si discute di una riduzione del tributo, ma precisamente dell’esonero di aree che non sarebbero sottoposte ad imposizione;

b) quanto al rilievo della ricorrente, secondo cui gli avvisi di accertamento non sarebbero motivati, si osserva che essi contengono dati che non sono formulati nelle disposizioni normative, ma, ciò nonostante, essi sono comprensibili, anche se sarebbe auspicabile che fossero fornite indicazioni più precise sul modo con il quale le sanzioni e gli interessi sono stati calcolati; in conclusione non se ne può dedurre la nullità degli avvisi;

c) nel merito, la Società esercita un’impresa edilizia, che produce rifiuti, che essa stessa smaltisce; la Società ne ha dato piena prova, non solo perchè è proprio della natura di un’impresa edilizia produrre macerie, alle quali appartengono non solo calcinacci, ma anche cascami metalli, lignei, plastici, marmorei e così via, ma anche attraverso le fotocopie dei propri registri di rifiuti e delle bolle di consegna della ditta di smaltimento rifiuti Santini; questi rifiuti non possono essere affidati al Comune, perchè il suo servizio di smaltimento non li accetta; chi intenda rimuovere tali rifiuti, deve sopportare i relativi costi di trasporto, pagando un prezzo non indifferente a un’impresa privata di smaltimento, che opera indipendentemente e separatamente dal Comune;

d’altra parte, il servizio di smaltimento dei rifiuti del Comune si occupa prevalentemente dei rifiuti delle abitazioni e dei rifiuti cartacei degli uffici e mai si è fatto carico della rimozione dei rifiuti edilizi o tossici o pericolosi;

d) ciò premesso, si deve dire con chiarezza, da un lato, che l’amministrazione comunale non è in alcun modo legittimata a pretendere tributi per servizi che non rende, e, dall’altro lato, che colui che produce rifiuti speciali non per questo non produce alcun rifiuto ordinario in senso lato; anche il produttore di rifiuti speciali è, perciò, sottoposto al vincolo di pagare dei tributi per lo smaltimento dei rifiuti al Comune, non per le superfici in relazione alle quali i rifiuti speciali sono prodotti e smaltiti, ma per le superfici in relazioni alle quali si producono rifiuti ordinari in senso ampio; il regime di tale fattispecie è fornita dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, e in particolare all’art. 62, commi 1 e 3;

e) ne deriva, con riguardo alla fattispecie controversa, che; 1) in conformità al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 1, i luoghi e i terreni della Società sono oggetto della Tarsu; 2) la Società non ha chiesto l’esenzione dalla Tarsu in base all’art. 62, comma 2, la quale, comunque, non le spetterebbe, perchè essa non nega di produrre rifiuti; anzi, essa riconosce in tutte le sue dichiarazioni di produrne molti e di difficile smaltimento; l’art. 62, comma 2 si riferisce, invero, ad una situazione completamente diversa, come, per esempio, alle case che restano a lungo disabitate;

3) la Società ha, tuttavia, diritto, in base al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3, che il Comune determini le superfici sulle quali i rifiuti speciali si trovano e dalle quali essi devono esser rimossi e che li esenti dal tributo; a tal fine non si richiede alcuna domanda, ma il Comune deve provvedere d’ufficio a determinare le superfici esenti; l’impresa di costruzioni deve sempre verificare questa circostanza, perchè è inerente alla natura dell’attività costruttiva realizzare, almeno in parte, delle demolizioni, e, quindi, produrre una corrispondente quantità di rifiuti speciali;

f) non si condivide l’opinione del Comune, secondo la quale il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3, si riferirebbe esclusivamente ai rifiuti tossici e ai rifiuti pericolosi e non ai rifiuti speciali: da un lato, i rifiuti speciali che non fossero tossici o pericolosi non verrebbero presi in considerazione in alcun modo e ciò sarebbe ben difficile da comprendere, ove si pensi che lo smaltimento dei rifiuti speciali dev’essere effettuata a spese dei produttori dei rifiuti; dall’altro lato, il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 7, comma 3, enumera le specie di rifiuti speciali e alla lett. b) inserisce le macerie da demolizione; l’errore dell’amministrazione comunale consiste nel fatto che essa non distingue tra le aree sulle quali si non si produce alcun rifiuto e quelle sulle quali si producono rifiuti e dalle quali essi sono rimossi; l’art. 62, commi 2 e 3 riguardano immobili con caratteristiche contrapposte: nel primo caso non vi si produce alcun rifiuto, mentre nel secondo caso vi si producono rifiuti numerosi e problematici, che il Comune non vuole o non può smaltire;

g) pertanto, l’amministrazione comunale avrebbe ben deciso, se avesse concordato con la Società una determinazione delle aree sottoponibili a Tarsu, che la CT 2 è impossibilitata ad effettuare, perchè una ripartizione percentuale sarebbe, senza la conoscenza dei dati spaziali, del tutto arbitraria;

h) in una situazione cosi ricostruita si deve riconoscere che il Comune di Bolzano non può esigere la Tarsu nella misura pretesa, cosicchè gli avvisi di accertamento non sono legittimi e devono essere annuitati.

4. Il ricorso per cassazione del Comune è sostenuto con cinque motivi d’impugnazione e si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione, anche in ordine alle spese processuali.

5. L’intimata Società resiste con controricorso e conclude per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso e per l’adozione di ogni statuizione conseguenziale, anche in ordine alle spese di giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

6. Il primo motivo d’impugnazione.

6.1.1. Il primo motivo d’impugnazione è preannunciato dalla seguente rubrica: “Incongrua e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 5”.

6.1.2. Secondo il Comune ricorrente la CT 2 errerebbe nel classificare come rifiuti speciali i rifiuti prodotti e depositati all’interno dei locali della Società, perchè essi non sono costituiti da materiali inerti da costruzione e da demolizione, ma solo da imballaggi e da materiali da imballaggio (nylon, legno, ferro), che sono prelevati dai diversi cantieri della Società.

Nonostante la desumibilità di questo fatto dagli atti di causa, la sentenza impugnata avrebbe affermato che la Società avrebbe fornito piena prova di produrre rifiuti costituiti sia da residui di muratura sia da residui di metallo, legno, plastica, marmo ecc, e che il servizio comunale di raccolta dei rifiuti mai si sentirebbe obbligato a ritirare macerie, residui di muratura o rifiuti tossici o nocivi.

La CT 2 sarebbe così incorsa in “evidente vizio di motivazione”.

In altri termini la convinzione dei Giudici Tributari che la Domus Residenza S.p.A. portasse nel magazzino edile, al fine di un loro temporaneo deposito, le macerie provenienti da attività edilizia è errata per due ordini di ragioni: a) perchè in aperto contrasto con le risultanze istruttorie…; b) perchè in ogni caso gli inerti da costruzione e demolizione – considerata la quantità e il peso – vengono asportati direttamente dai rispettivi cantieri edili di produzione da ditte specializzate. Spinta da siffatta errata rappresentazione di circostanza di fatto in realtà contraddetta dalle risultanze istruttorie, la Commissione Tributaria ha erroneamente classificato i rifiuti prodotti dalla Domus Residenz S.p.A. “in speciali” ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, comma 3, lett. b) e conseguentemente ha desunto una errata conclusione normativa, ossia quella di ritenere le superfici in questione esenti dalla tassa rifiuti solidi urbani…”.

6.1.3 Nel corpo della motivazione è calata questa dichiarazione:

“Come richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., a specificazione di questo primo motivo di ricorso si censurano in particolare “le argomentazioni addotte dai Giudici Tributari nel classificare i rifiuti prodotti all’interno dei locali siti in via (OMISSIS) in “rifiuti speciali”.

6.2. I motivo è inammissibile, oltre che per mancanza di autosufficienza, perchè con esso si denunzia un errore di fatto, che avrebbe potuto, al più, esser oggetto di ricorso per revocazione.

Infatti, quel che si contesta è che la CT 2 abbia assunto come rilevanti per la risoluzione della controversia fatti contrari a quelli emersi dalle risultanze istruttorie.

7. Il secondo motivo d’impugnazione.

7.1.1. Il secondo motivo d’impugnazione è posto sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 7, in combinato disposto con l’art. 8 del Regolamento del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani del Comune di Bolzano (come modificato da ultimo con Delibera del consiglio comunale n. 56 del 19.05.1998), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

7.1.2. Secondo il Comune ricorrente solo gli inerti derivanti dall’attività di demolizione e costruzione e di scavo rientrerebbero nella previsione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 7, comma 3, lett. b), e potrebbero, quindi, essere considerati rifiuti speciali con assoggettamento ad un regime speciale, mentre qualunque altro tipo di rifiuto ricollegabile solo indirettamente all’attività edilizia, come ad esempio i materiali di imballaggio di vario tipo prodotti e in parte depositati nel magazzino in questione, dovrebbe restare escluso dal regime speciale proprio in considerazione dell’esistenza di una peculiare disciplina regolamentare e dovrebbero essere classificati come rifiuti urbani in forza di espressa assimilazione ad opera del Regolamento del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani del Comune.

7.1.3. A conclusione del secondo motivo d’impugnazione si formula il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se la produzione e il deposito all’interno di superfici coperte di “rifiuti da imballaggio” da parte di impresa di costruzione in presenza del tenore di cui all’art. 8 del regolamento del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani del Comune di Bolzano di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, comma 2, (rifiuti urbani e assimilati) con conseguente privativa in capo al Comune di Bolzano ex art. 21, comma 1, del medesimo decreto legislativo e assoggettamento dei locali a tassazione D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 62, comma 1″.

7.2. La questione proposta è irrilevante, perchè è basata su un presupposto di fatto – la composizione dei rifiuti – che la CT 2 ha accertato in modo diverso e che presupporrebbe che fosse corretto in sede revocatoria. Il motivo è, pertanto, inammissibile.

8. Il terzo motivo d’impugnazione.

8.1.1. Il terzo motivo d’impugnazione è presentato sotto la seguente rubrica: “Incongrua e contraddittoria motivazione circa fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 5”.

8.1.2. Il Comune ricorrente sostiene, al riguardo, che, “sempre in conseguenza della classificazione dei rifiuti in questione in “rifiuti speciali”…, la Commissione di 2^ grado è pervenuta all’ulteriore inaccettabile conclusione circa l’esistenza di un asserito obbligo per la Domus Residenz S.p.A. di provvedere allo smaltimento di tali rifiuti a proprie spese, sulla base del quale pure motiva il diritto all’esenzione dalla tassa rifiuti solidi urbani. Effettivamente un obbligo di smaltimento a proprie spese sussiste per gli inerti derivanti da attività di costruzione demolizione, ma non altrettanto sussiste per i rifiuti assimilati, quali gli imballaggi prodotti all’interno dei locali in questione”.

Lo si desumerebbe dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 21, comma 1, che vieterebbe alla Società di conferire i rifiuti, ai fini del loro smaltimento, ad una ditta privata. Dall’esame delle bolle di accompagnamento risulterebbe che i rifiuti erano consegnati perchè venissero smaltiti e non perchè venissero recuperati, cosicchè la CT 2 avrebbe dovuto confermare l’imposizione, stante la privativa a favore del Comune per tutti i rifiuti destinati allo smaltimento. “In altre parole, la Domus Residenza S.p.A.. durante i giudizi di merito non ha mai fornito alcuna prova di aver avviato effettivamente e correttamente “il recupero” dei rifiuti in questione al fine di sottrarsi alla privativa comunale D.Lgs. n. 22 del 1997, ex art. 21, comma 7, e al fine di usufruire di una eventuale percentuale di riduzione”.

8.1.3. Come incipit della motivazione del terzo motivo di diritto si formula il seguente quesito motivazionale: “Come richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., a specificazione di questo motivo di ricorso, si censurano in particolare “le argomentazioni addotte dai Giudici Tributari nel ritenere sussistere obbligo all’autosmaltimento in capo all’impresa per i rifiuti prodotti all’interno dei locali in questione”.

8.2. Anche questo motivo è basato su un presupposto di fatto (mancata fornitura della prova, da parte della Società, di aver effettuato il recupero) diverso da quello accertato dal giudice d’appello, il quale ha, invece, riscontrato che la Società ha fornito piena prova dello smaltimento (3.c)). Il motivo è, perciò, inammissibile.

9. Il quarto motivo d’impugnazione.

9.1.1. Il quarto motivo d’impugnazione, proposto in via subordinati, è introdotto dalla seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, commi 1 e 3, e art. 70, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

9.1.2. Secondo il Comune ricorrente l’esenzione dall’obbligo di denuncia iniziale per il solo fatto di produrre anche rifiuti speciali sarebbe “del tutto contraddittoria, illegittima e contraria sia al tenore letterale che allo spirito della normativa di riferimento, e ciò, anche nella denegata ipotesi in cui si ritenesse che almeno in parte la Domus Residenz S.p.A. produca all’interno dei locali rifiuti speciali”.

9.1.3. A conclusione del quarto motivo d’impugnazione si formula il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993 sussiste un generale obbligo di denuncia iniziale di tutte le ipotesi di occupazione o detenzione di locali e superfici scoperte, a qualsiasi uso adibiti, e ciò indipendentemente dal tipo di rifiuto ivi prodotto rifiuti urbani, assimilati, speciali, tossici o nocivi salva la facoltà/onere per il contribuente (di) richiedere e comprovare in tale sede o successivamente l’esenzione di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3”.

9.2. Il motivo è inammissibile per irrilevanza, perchè non è dato comprendere quale sia il capo della sentenza d’appello, o quale sia la parte della sua motivazione, contro cui la censura viene proposta.

Ne deriva che, anche ammesso che il motivo fosse fondato, il ricorrente non trarrebbe alcun vantaggio dal suo accoglimento.

10. Il quinto motivo d’impugnazione.

10.1.1. Il quinto motivo d’impugnazione è preannunciato dalla seguente rubrica: “Violazione dell’art. 112 c.p.c. in combinato disposto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

10.1.2. Secondo il Comune ricorrente la sentenza impugnata sarebbe illegittima, per violazione dell’art. 112 c.p.c.: a) nella parte in cui afferma che la tassa, come determinata dal Comune negli avvisi di accertamento impugnati, sicuramente non è dovuta nel suo intero ammontare, ma, siccome la CT 2 non è in grado di determinare l’incidenza della superficie su cui ordinariamente si producono rifiuti urbani, gli avvisi sono illegittimi e devono essere totalmente annullati; nella parte in cui afferma che è infondata l’eccezione di inammissibilità, proposta dal Comune, in ordine alla domanda nuova di riduzione della tassa, perchè tale domanda, proposta in via subordinata, risulta essere comunque compresa nella domanda principale di annullamento degli avvisi. La CT 2 avrebbe dovuto, ex art. 112 epe, pronunciarsi in modo esplicito proprio sulla domanda di riduzione della tassa, proposta in via subordinata alla Società. La sua sentenza sarebbe, pertanto, viziata per omessa pronuncia.

10.1.3. A conclusione del quinto motivo d’impugnazione si formula il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se i Giudici Tributari hanno violato l’obbligo di cui all’art. 112 c.p.c. di pronunciarsi sulla domanda proposta, in via subordinata, di ridurre la tassa e di procedere all’accertamento della superficie concretamente tassabile”.

10.2. Il motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza.

Infatti, è principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello, secondo il quale, “se con il ricorso per cassazione si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., ipotizzando l’esistenza di un error in procedendo non rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, che, in quanto giudice anche del “fatto processuale”, ha il potere di esaminare direttamente gli atti processuali, non è vincolata a ricercare autonomamente gli atti rilevanti per la questione proposta, incombendo, invece, sul ricorrente l’onere di indicarli specificamente e autosufficientemente (Corte di cassazione 17 gennaio 2007, n. 978)”. Il principio di diritto alla stregua del quale si deve decidere sul motivo è, dunque, il seguente: “il ricorrente per cassazione che denunci la violazione dell’art. 112 c.p.c., ipotizzando l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado su un motivo d’impugnazione da lui proposto con l’atto d’appello, relativo ad una questione non rilevabile d’ufficio, deve formulare il motivo osservando, a pena d’inammissibilità, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione”.

11. Conclusioni.

11.1. Le precedenti considerazioni comportano il rigetto del ricorso.

11.2. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il Comune ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al giudizio di cassazione per Euro 1.000,00 (mille) per onorari, oltre ad Euro 200,00 (duecento) per spese e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2010

 

 

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