Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14096 del 24/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 24/05/2021), n.14096

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16559 /2014 R.G. proposto da:

T.G. e Q.F., rappresentati e difesi

dall’avv. Giuseppe Falcone, elettivamente domiciliati in Roma al

corso Vittorio Emanuele II n. 287, presso l’avv. Antonio Iorio;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in

Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 395/01/13 della Commissione tributaria

regionale della Calabria, sezione staccata di Catanzaro, emessa il

15 ottobre 2013 depositata il 13 dicembre 2013 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 gennaio

2021 dal consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

T.G. e Q.F. ricorrono con tre motivi avverso l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 395/01/13 della Commissione tributaria regionale della Calabria, sezione staccata di Catanzaro, emessa il 15 ottobre 2013, depositata 1111 novembre 2013 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa dell’avviso di accertamento del reddito di partecipazione dei soci di una società a responsabilità limitata a ristretta base sociale per l’anno di imposta 2005, ha rigettato l’appello dei contribuenti, rilevando la legittimità sia della notifica dell’avviso di accertamento direttamente ai soci, e non alla società, estinta prima della scadenza del termine ultimo per la notifica dell’avviso, sia della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai due soci di una società di capitali a ristretta base;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 4 novembre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

successivamente, i ricorrenti hanno depositato istanza di definizione della lite con allegata documentazione e l’Agenzia delle entrate ha chiesto dichiararsi l’estinzione parziale della procedura per cessazione della materia del contendere, avendo T.G. condonato la lite fiscale pendente ai sensi del D.L. n. 50 del 2017, art. 11 conv. L. n. 96 del 2017, con compensazione delle spese di lite, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 46, comma 3.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

preliminarmente deve rilevarsi che, sebbene a mente del D.L. n. 50 del 2017, art. 11, comma 11 “la definizione perfezionata dal coobbligato giova in favore degli altri”, nella fattispecie in esame si tratta di obbligazioni fiscali personali ancorchè derivate dalla comune origine societaria (distribuzione degli utili extracontabili ai soci di una s.r.l. a ristretta base);

dunque, deve dichiararsi l’estinzione parziale del processo per cessazione della materia del contendere nei confronti di T.G., avendo quest’ultimo condonato la lite fiscale pendente ai sensi del D.L. n. 50 del 2017, art. 11 conv. L. n. 96 del 2017, con compensazione delle spese di lite, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 46, comma 3, tra il contribuente che ha definito la controversia e l’Agenzia delle entrate;

inoltre, T.G. non è tenuto al pagamento del doppio contributo, in quanto, “nell’ipotesi di rinuncia al ricorso per cassazione da parte del contribuente per adesione alla definizione agevolata (nella specie, di cui al D.L. n. 148 del 2017, conv., con modif., dalla L. n 172 del 2017), non sussistono i presupposti per condannare lo stesso al pagamento del cd. “doppio contributo unificato”, di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ove il presupposto per la rinuncia e, quindi, la causa di inammissibilità del ricorso sia sopravvenuta rispetto alla proposizione del medesimo” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14782 del 07/06/2018);

passando all’esame dei motivi di ricorso, con riferimento alla posizione di Q.F., con il primo motivo, il ricorrente denuncia l’omessa pronuncia sul motivo di appello relativo alla mancanza di un previo valido accertamento di utili extracontabili nei confronti della società Sport Point s.r.l., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

il primo motivo è inammissibile;

al punto 1.1.1. di pag.3 del ricorso viene riportato un brano dell’atto di appello, in cui il contribuente sostanzialmente sembra dolersi della mancata prova, da parte dell’Ufficio, della notifica dell’avviso di accertamento di utili extracontabili alla società, non avendo l’amministrazione prodotto “la copia della ricevuta del documento attestante la notifica”;

da quanto sopra riportato, non emerge chiaramente la doglianza del contribuente, nè quale prova avrebbe omesso l’Ufficio, che, per altro, sostiene di aver effettuato la notifica dell’avviso di accertamento alla società, sia per l’anno di imposta 2004 ai sensi dell’art. 140 c.p.c., sia per l’anno di imposta 2005 a mani del legale rappresentante pro tempore, T.B.;

comunque, deve rilevarsi che la C.t.r. si è pronunciata sulla questione, ritenendo la legittimità della notifica dell’avviso di accertamento direttamente ai due soci, e non alla società, per altro estinta prima della scadenza del termine per la notifica dell’atto impositivo, poichè, secondo il giudice di appello, ciò non comportava alcuna compressione del diritto di difesa dei soci stessi;

il motivo di ricorso, quindi, non coglie la ratio decidendi a fondamento della sentenza impugnata ed è, pertanto, inammissibile;

con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la violazione delle regole sul giusto processo e sulle prove, (art. 2697 c.c., artt. 24 e 111 Cost.) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con conseguente nullità della sentenza, avendo la C.t.r. confermato un accertamento in testa ai soci di maggiori utili di partecipazione in una società di capitali, senza che fosse mai stato accertato il presupposto logico e giuridico, costituito da un previo valido accertamento notificato alla società Sport Point s.r.l. e senza che di questo presupposto controparte avesse mai offerto la prova;

il motivo è infondato e va rigettato;

la questione riguarda la legittimità dell’accertamento del reddito di partecipazione dei soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa, qualora non vi sia prova della valida notifica dell’accertamento emesso nei confronti della società;

come è stato detto, “in tema imposte sui redditi di capitale, per escludere l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, conseguiti e non dichiarati da una società a ristretta base partecipativa, non è sufficiente che il socio si limiti ad allegare genericamente la mancanza di prova di un valido e definitivo accertamento nei confronti della società, ma deve contestare lo stesso effettivo conseguimento, da parte della società, di tali utili, ove non sia in grado di dimostrare la mancata distribuzione degli stessi, stante l’autonomia dei giudizi nei confronti della società e del socio e il rapporto di pregiudizialità dell’accertamento nei confronti del primo rispetto a quello verso il secondo” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 33976 del 19/12/2019);

nel caso di specie, il contribuente, socio al 50% della Sport Point s.r.l. insieme con l’altro socio al 50%, T.G., contesta, in maniera del tutto generica che l’Ufficio non avrebbe prodotto “la copia della ricevuta del documento attestante la notifica” dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, che invece l’amministrazione sostiene di aver regolarmente effettuato;

pertanto, per escludere l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio conseguiti dalla società, il socio non poteva limitarsi a denunziare la mancanza di prova di una valida notifica dell’accertamento effettuato nei confronti della società, peraltro con una contestazione del tutto generica, ma avrebbe dovuto contestare la pretesa tributaria nel merito;

qualora poi il contribuente intendeva affermare che l’accertamento tributario nei confronti della società, che costituisce il presupposto fattuale dell’accertamento per il reddito da partecipazione del socio, può intendersi valido sol quando sia divenuto definitivo, questa contestazione non appare condivisibile, come già ripetutamente affermato da questa Corte (cfr., ad es., Cass. sez. V, n. 4185 del 2016);

invero, nel caso in cui l’accertamento nei confronti della società non possa considerarsi definitivo, perchè non vi è prova di una valida notifica alla società stessa, il socio, che sia stato raggiunto dall’accertamento tributario a titolo personale in conseguenza della ritenuta distribuzione dei proventi conseguiti e non dichiarati dalla società di capitali con ristretta base partecipativa, ove non sia in grado di dimostrare che la distribuzione degli utili in favore dei soci non è intervenuta, deve necessariamente contestare lo stesso effettivo conseguimento, da parte della società, degli utili extrabilancio che l’Amministrazione finanziaria afferma essere stati realizzati e poi distribuiti tra i soci (sul punto cfr. Cass. sez. V, sent. n. 25115 del 2014);

come già rilevato, nel caso di specie, il socio, pur sostenendo che l’Ufficio non ha provato l’avvenuta notifica dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, non ha in alcun modo contestato l’effettivo conseguimento degli utili extrabilancio da parte della società;

dunque, risulta condivisibile il rilievo del giudice di appello, che, sul presupposto che la società risultava estinta prima della scadenza del termine per la notifica dell’atto impositivo, ha ritenuto comunque legittima la notifica dell’accertamento del reddito di partecipazione direttamente al socio, in quanto non comportava alcuna compressione del suo diritto di difesa;

con il terzo motivo, avanzato in via subordinata, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 44 e ss. e art. 5, art. 23 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

secondo il ricorrente, la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extrabilancio non sarebbe applicabile alle società di capitali a ristretta base;

il motivo è infondato;

costituisce ius receptum il principio secondo cui, in presenza di società di capitali a ristretta base azionaria, in caso di accertamento di utili non contabilizzati opera la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti;

come è stato detto, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria; tale presunzione – fondata sul disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), – induce inversione dell’onere della prova a carico del contribuente” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18032 del 24/07/2013; vedi anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25468 del 18/12/2015; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 386 del 13/01/2016);

la presunzione si basa sulla ristrettezza dell’assetto societario, la quale implica, normalmente, un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, nonchè un elevato grado, da parte loro, di compartecipazione e di conoscenza degli affari sociali, indipendentemente dall’eventuale opzione per il regime di trasparenza, restando, comunque, salva la facoltà del socio di fornire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società o da essa reinvestiti (tra molte, Cass. nn. 6780 del 2003, 18640 del 2008, 5076 del 2011, 18032 del 2013, 24572 del 2014);

in conclusione, il ricorso deve essere complessivamente rigettato;

le spese seguono la soccombenza del ricorrente e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte dichiara estinto il processo limitatamente alla posizione di T.G., per il verificarsi della fattispecie di cui D.L. n. 50 del 2017, art. 11 e cessata la materia del contendere nei suoi confronti; dichiara che le spese nel relativo rapporto processuale estinto restano a carico della parte che le ha anticipate.

Rigetta il ricorso nell’interesse di Q.F. e lo condanna alle spese del giudizio legittimità che, riguardo al relativo rapporto processuale, liquida in Euro 4100,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente Q.F., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2021

 

 

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