Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14095 del 07/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 07/07/2020), n.14095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9535-2019 proposto da:

COMUNE DI SARZANA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, LARGO TRIONFALE 7, presso lo studio

dell’avvocato MARCELLO GRECO, rappresentato e difeso dall’avvocato

FABIO COZZANI;

– ricorrente –

contro

V.A., A.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 736/2018 del TRIBUNALE di LA SPEZIA,

depositata il 31/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO

GABRIELE.

Fatto

RILEVATO

che:

V.A. e A.S. deducevano, davanti al Giudice di pace di La Spezia, che, mentre transitavano con l’autovettura di proprietà della seconda e condotta dal primo, il veicolo impattava con la ruota anteriore destra in una buca del manto stradale ricoperta d’acqua. A causa dell’urto l’autovettura si arrestava e gli occupanti venivano sbalzati contro le portiere dell’auto, che riportava danni meccanici, mentre i trasportati subivano lesioni personali. Il Giudice di pace rigettava le domande;

con atto di citazione del 22 febbraio 2016, V.A. e A.S. proponevano appello avverso la sentenza del Giudice di pace di La Spezia del 13 agosto 2015, chiedendo, in riforma della decisione, l’accertamento della responsabilità del Comune di Sarzana nella causazione del sinistro in oggetto ai sensi dell’art. 2051 c.c. ovvero dell’art. 2043 c.c. Si costituiva l’amministrazione comunale evidenziando la correttezza delle valutazioni effettuate dal primo giudice;

con sentenza del 31 ottobre 2018, il Tribunale di La Spezia riteneva fondato il gravame rilevando che le risultanze processuali dimostravano che l’autovettura degli attori era incappata in una buca piena di acqua. Il giudice di appello non condivideva la valutazione del Giudice di pace in ordine alla prevedibilità dell’esistenza di una buca sulla base delle condizioni dell’intero tratto stradale, rilevando che in considerazione delle caratteristiche della buca e della sua ubicazione la stessa rappresentava un concreto pericolo per gli utenti della strada. Trovando applicazione l’art. 2051 c.c., e in mancanza di prova liberatoria, riteneva risarcibile il danno nei limiti determinati dal consulente d’ufficio;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il Comune di Sarzana affidandosi a quattro motivi. La parte intimata non svolge attività processuale in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2051 c.c. anche con riferimento ai precedenti specifici della Corte di legittimità in materia. Secondo il ricorrente gli appellanti non avrebbero fornito la prova del nesso di causalità, poichè le dichiarazioni rese dal teste L.P. non proverebbero l’esistenza della buca. Contrariamente a quanto argomentato dal primo giudice, il Tribunale ha sostenuto che, nonostante la strada fosse sconnessa, bagnata e piena di buche, gli appellanti non avrebbero potuto percepire la situazione di pericolo usando l’ordinaria diligenza. Al contrario, percorrendo una strada siffatta, con la sola luce dei fari, qualsiasi persona dotata di buon senso avrebbe usato maggiori cautele transitando a bassa velocità;

il secondo motivo lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, riguardo alla valutazione della prova. Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di appello non sarebbe stata fornita la prova del danno materiale e, neppure, di quello fisico;

con il terzo motivo si lamenta l’ultrapetizione, ai sensi degli artt. 112 e 10 c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Secondo il ricorrente, dalla prova testimoniale e dagli esiti della consulenza d’ufficio, non emergerebbe la prova del danno fisico subito oggettivamente dai danneggiati, ma solo una “riferita distrazione del rachide cervicale e contusioni all’emitorace sinistro”;

con il quarto motivo si deduce l’ultrapetizione, ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Il Tribunale avrebbe dovuto contenere il danno risarcibile nei limiti di competenza del Giudice di pace, poichè la domanda originaria era tesa alla condanna del convenuto al risarcimento dei danni nella misura di Euro 2500 e comunque “entro i limiti di competenza del giudice adito”. Al contrario, in favore dei due attori sarebbero state erogate somme superiori;

preliminarmente il ricorso è inammissibile mancando la asseverazione riferita a tale atto e alla notifica a mezzo PEC (in atti è presente solo la copia conforme del ricorso) e la parte intimata non si è costituita. Trova applicazione il principio secondo cui, ove il ricorso predisposto in originale digitale e sottoscritto con firma digitale, sia notificato in via telematica senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994 ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, la sanatoria opera solo ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005 ex art. 23, comma 2. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio (Cass. Sez. U n. 22438 del 24/09/2018-Rv. 650462 – 02);

a prescindere da ciò, il primo motivo è inammissibile perchè non si confronta con la argomentazione del Tribunale (pagina 2) secondo cui vi sarebbe un giudicato interno riguardo al fatto storico allegato dagli attori (l’autovettura “finiva con la ruota anteriore destra in una buca piena d’acqua, circolando sulla strada…”), inoltre, non sono contestate le caratteristiche rilevanti della buca (dimensioni 60 x 50 cm e profondità sino a 12 cm). Gli ulteriori rilievi sul contenuto della deposizione del teste L.P. sono generici e dedotti in violazione l’art. 366 c.p.c., n. 6, non avendo il ricorrente allegato o comunque trascritto i passaggi salienti della deposizione testimoniale;

sotto altro profilo, il giudizio di prevedibilità o meno della presenza di una buca colma di acqua, e su un tratto stradale non illuminato, costituisce valutazione di fatto, non sindacabile in sede di legittimità. Nello stesso modo il riferimento alla velocità sostenuta è del tutto ipotetico, se riferito alla tipologia di danni materiali al veicolo, peraltro ritenuti non dimostrati dal Tribunale;

il secondo motivo è infondato, non potendosi desumere dall’insufficienza della prova del danno al veicolo, anche l’inesistenza di un danno alle persone, fondato su differenti elementi probatori e sul giudicato relativo alla dinamica;

le censure sui danni alla persona, oggetto del terzo motivo, sono infondate poichè il giudizio di compatibilità tra la dinamica sopra descritta e le lesioni è affermato dal consulente d’ufficio (pagina 4 della sentenza). Il ctu ha precisato che, per la A., sono compatibili le menomazioni al rachide lombare e, per V., le alterazioni algo-disfunzionali di spalla sinistra. Per entrambi, oltre al “riferito trauma distratto motivo”, il consulente ha accertato una stabilizzazione delle menomazioni ed ha determinato l’invalidità permanente e temporanea;

il quarto motivo è infondato in quanto la pretesa originaria si riferiva all’importo relativo ai danni subiti dal veicolo (Euro 780), oltre al danno da invalidità permanente, per ciascun trasportato, con la clausola di contenimento;

sono state proposte, con cumulo soggettivo, due diverse domande, l’una da V.A. e l’altra da A.S.. Queste domande, giusta l’art. 33 c.p.c., in relazione all’art. 103 c.p.c., non si sommano fra loro ai fini della competenza per valore ed ognuna di esse è stata accolta nei limiti della competenza del primo giudice di cui all’art. 7 c.p.c., comma 1 (Cass. Sez. 3, n. 4031 del 2008, in motivazione);

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto attività processuale in questa sede. Infine, tenuto conto del tenore della decisione, mancando ogni discrezionalità al riguardo (Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245)’ dichiara che sussistono i presupposti per il pagamento del doppio contributo se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2020

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