Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14094 del 07/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 07/07/2020), n.14094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6624-2019 proposto da:

P.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TORNIELLI 46, presso lo STUDIO LEGALE PROTA, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONIO MALAFRONTE;

– ricorrente –

Contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 40, presso

lo studio dell’avvocato ALBERTO DI CAPUA, rappresentata e difesa

dall’avvocato VINCENZO GRIMALDI;

– controricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2338/2018 del TRIBUNALE di TORRE ANNUNZIATA,

depositata il 29/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO

GABRIELE.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 3 marzo 2014, P.B. conveniva davanti al Giudice di pace di Gragnano, Generali Italia S.p.A. quale impresa designata per il Fondo di garanzia per le vittime della strada della Regione Campania, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti ad un sinistro stradale che si sarebbe verificato il 12 febbraio 2013 in Gragnano, deducendo che, quale pedone, sarebbe stato investito da un’autovettura di colore scuro la quale, nell’eseguire una manovra in retromarcia, l’avrebbe urtato, successivamente dileguandosi senza prestare soccorso. Si costituiva Generali Italia S.p.A. deducendo la nullità, l’inammissibilità, l’improcedibilità e l’infondatezza, e contestando anche la quantificazione dei danni. Deduceva che non era stato provato che il danneggiato si fosse attivato ai fini della identificazione del presunto veicolo investitore, segnalando che dalla banca dati dell’Ivass emergeva che l’attore era stato coinvolto in una pluralità di sinistri;

il Giudice di pace di Torre Annunziata, con sentenza del 15 aprile 2015, attribuiva la responsabilità del sinistro al conducente di un veicolo non identificato, accoglieva la domanda e condannava la convenuta al pagamento delle spese di lite, rilevando che con il deposito della denunzia querela sporta presso la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, in data 15 aprile 2013, l’attore avrebbe dimostrato di essersi adoperato per la identificazione del responsabile. Inoltre il fatto storico dell’incidente sarebbe acclarato con la prova testimoniale. Quanto ai danni, evidenziava che la menomazione subita aveva attinto organi e funzioni già indebolite da una pregressa frattura e conseguentemente diminuiva nella misura di un terzo l’entità del risarcimento;

con atto di appello del 19 novembre 2015 il danneggiato evocava, davanti al Tribunale di torre Annunziata, l’assicuratore chiedendo la riforma della decisione nella parte in cui aveva ridotto di un terzo tutte le poste risarcitorie e non aveva liquidato il danno morale temporaneo. Si costituiva Generali Italia, quale impresa designata, contestando l’impugnazione e proponendo appello incidentale, censurando la sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva attribuito rilevanza alla circostanza alla mancata diligente attivazione del danneggiato ai fini dell’identificazione dell’investitore, come previsto dal D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 283, lett. a). Contestava, altresì, l’esistenza di una prova della verificazione del sinistro e la esclusione di un concorso di colpa dell’attore;

il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza del 29 ottobre 2018 in accoglimento dell’appello incidentale, proposto da Generali Italia S.p.A. rigettava la domanda di P.B.;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione quest’ultimo affidandosi a cinque motivi. Resiste con controricorso Generali Italia S.p.A. Entrambe le parti depositano memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la violazione degli artt. 327,333 e 334 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La compagnia Generali Italia avrebbe proposto tardivamente l’impugnazione, rispetto alla scadenza del termine di sei mesi di cui all’art. 327 c.p.c. Tale profilo sarebbe stato evidenziato in udienza, in particolare in sede di precisazione delle conclusioni, alle udienze del 19 dicembre 2017 e 5 luglio 2018, oltre che in comparsa conclusionale. Nel caso di specie non ricorrerebbe un interesse a proporre appello incidentale tardivo, poichè questo investiva la sentenza del Tribunale su un capo estraneo all’appello principale. Rispetto a tale questione il giudice di secondo grado avrebbe omesso ogni pronunzia;

con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 283, lett. a), e dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La decisione sarebbe errata nella parte in cui tende a valorizzare, ai fini dell’accertamento del fatto controverso della responsabilità del sinistro in capo al conducente del veicolo rimasto sconosciuto, il dato del ritardo nella presentazione della denuncia da parte del danneggiato. Tale elemento non costituirebbe un profilo decisivo secondo l’orientamento di legittimità;

con il terzo motivo si lamenta la violazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte avrebbe erroneamente valorizzato l’omessa segnalazione, in sede di ricovero ospedaliero, della riconducibilità del fatto ad un conducente rimasto sconosciuto. Se è vero che il verbale di Pronto Soccorso redatto il giorno del sinistro, alle ore 12:45, non recava, sotto la voce relativa alla dinamica dell’evento, alcuna annotazione di incidente attribuibile a un conducente rimasto sconosciuto, nella integrazione delle 13:17 e nella cartella clinica, comparirebbe il riferimento alla circostanza di essere stato investito “da un’auto in fase di retromarcia”;

con il quarto motivo si deduce la violazione delle medesime norme oggetto del precedente motivo riguardo alla valenza probatoria delle dichiarazioni rese dall’unico teste escusso, in quanto presente al fatto;

con il quinto motivo si lamenta la violazione delle disposizioni oggetto dei due precedenti motivi perchè la sentenza impugnata avrebbe desunto ulteriori elementi favorevoli alla carenza probatoria dalla “circostanza che l’attore aveva subito un pregresso infortunio” per essere stato coinvolto in ben 19 precedenti sinistri automobilistici. Quest’ultima circostanza non sarebbe provata, poichè la scheda della banca dati utilizzata non sarebbe chiara ed esente da errori;

il primo motivo è infondato perchè, in base al combinato disposto di cui agli artt. 334,343 e 371 c.p.c., è ammessa l’impugnazione incidentale tardiva (da proporsi con l’atto di costituzione dell’appellato o con il controricorso nel giudizio di cassazione) anche quando sia scaduto il termine per l’impugnazione principale, indipendentemente dal fatto che si tratti di un capo autonomo della sentenza stessa e che, quindi, l’interesse ad impugnare fosse preesistente, dato che nessuna distinzione in proposito è contenuta nelle citate disposizioni (Sez. 5 -, Ordinanza n. 29593 del 16/11/2018 – Rv. 651287 – 01);

la ratio della norma che si ricava dal sistema delle impugnazioni è quella di consentire alla parte parzialmente soccombente, che avrebbe di per sè accettato la sentenza di primo grado, di contrastare, con l’impugnazione tardiva, l’iniziativa della controparte, volta a rimettere in discussione il rapporto controverso e, quindi, l’assetto di interessi derivanti dalla pronuncia impugnata (Cass. n. 1879 del 2018), senza subire pregiudizio nell’apprezzamento delle proprie difese dalla iniziativa di controparte, la quale abbia – magari – impugnato la sentenza nell’ultimo giorno disponibile;

l’istituto della impugnazione incidentale tardiva garantisce, in attesa della decisione da cui dipende la definitiva regolamentazione degli interessi dedotti dalle parti in causa, un ragionevole bilanciamento delle facoltà processuali delle stesse, nella ottica della cosiddetta parità delle armi, ed evita l’inutile moltiplicazione dei giudizi;

nel caso in esame, l’impugnazione si è svolta tra due sole parti, in una situazione di reciproca soccombenza pertanto deve ribadirsi la possibilità per la parte contro la quale era stata proposta la impugnazione principale, di proporre quella incidentale senza limiti oggettivi, potendo essa investire qualsiasi capo della sentenza, ancorchè autonomo rispetto a quello aggredito dalla impugnazione principale (cassazione, 12 luglio 2018, numero 18415);

l’appello principale proposto da P. era relativo al quantum e rivolto nei confronti del fondo di garanzia. Pertanto legittimava quest’ultimo alla proposizione di un appello incidentale tardivo relativo all’an della pretesa, atteso che l’eventuale accoglimento dell’appello principale sulla quantificazione del danno avrebbe potuto mutare l’assetto degli interessi derivanti dalla sentenza, con ulteriore aggravio economico a carico del fondo di garanzia;

il secondo motivo è inammissibile in quanto teso a censurare una ratio decidendi inesistente, cioè quella basata sul non essere stata dimostrata l’impossibilità di individuare il veicolo che avrebbe cagionato il sinistro. In realtà, il Tribunale non ha motivato in questo senso, avendo escluso la rilevanza del problema della individuazione, ma ha ritenuto che non fosse provato il sinistro nei termini indicati dal ricorrente;

il terzo, quarto e quinto motivo, esaminabili congiuntamente perchè strettamente connessi, sono inammissibili, perchè si traducono in una censura alla ricostruzione in fatto rispetto alla decisione di ritenere insufficiente la prova della verificazione del sinistro da parte di un veicolo non identificato. I motivi non configurano vizi di legittimità e non integrano una idonea censura motivazionale sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto storico decisivo, ma prospettano una ricostruzione alternativa più appagante;

i motivi, inoltre, non colgono nel segno e ineriscono alla tipica valutazione del giudice di merito, come pure la violazione dell’art. 2697 c.c. non è deducibile laddove abbia ad oggetto la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte poichè, nel caso di specie, l’apprezzamento dei fatti è censurato al di fuori del limitato ambito definito da Cass. SU del 7 aprile 2014 n. 8053;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, tenuto conto del tenore della decisione, mancando ogni discrezionalità al riguardo (Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) dichiara che sussistono i presupposti per il pagamento del doppio contributo se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricoorente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2020

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