Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14093 del 07/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 07/06/2017, (ud. 28/02/2017, dep.07/06/2017),  n. 14093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17084/2012 R.G. proposto da:

A. COSTRUZIONI s.r.l., in persona dell’amministratore unico e

legale rappresentante pro tempore, A.L., rappresentata e

difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dagli avv.ti

Salvatore Caltabiano, Massimo Solari e Franco Cosenza, ed

elettivamente domiciliata presso lo studio legale del predetto

ultimo difensore, in Roma, via G. Antonelli n. 50;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, Sezione staccata di Caltanisetta, n. 351/21/2011,

depositata in data 30 maggio 2011.

Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 28 febbraio 2017

dal Cons. Dott. Lucio Luciotti;

udito l’avv. Barbara Piccini, per delega dell’avv. Salvatore

Caltabiano, per la ricorrente;

udito l’avv. Fabrizio Urbani Neri, per l’Avvocatura Generale dello

Stato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 351 del 30 maggio 2011 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, riformava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso l’avviso di accertamento di maggiori ricavi ai fini IVA ed IRAP relativamente all’anno di imposta 2004 risultanti dallo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli derivanti dall’applicazione degli studi di settore di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, convertito con modificazioni nella L. n. 427 del 1993.

1.1. La Commissione di appello rilevava la legittimità dell’atto impositivo in cui risultavano riportate e valutate dall’amministrazione finanziaria i motivi di doglianza mosse dalla società contribuente in sede di contraddittorio endoprocedimentale, e sosteneva che doveva ritenersi adeguata la riduzione dei maggiori ricavi accertati, che l’ufficio aveva operato sulla base del documentato indebitamento bancario della società, e che erano “inaccettabili perchè irrilevanti” tutti gli altri motivi addotti dalla contribuente a giustificazione del rilevato scostamento, come chiarito nell’atto impositivo.

2. Ricorre per cassazione la società contribuente sulla base di un motivo, illustrato con memoria, cui replica l’intimata con controricorso.

3. Il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione della sentenza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo proposto la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’erroneità e l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata.

1.1. Sotto il primo profilo, la ricorrente sostiene che l’errore in cui erano incorsi i giudici di appello consisteva nell’avere attribuito un “crisma di esattezza sotto il profilo giuridico” alle argomentazioni che l’amministrazione finanziaria aveva svolto nell’avviso di accertamento per disattendere i rilievi mossi dalla società contribuente all’attività accertativa, pure essi erronei, avendo l’Agenzia delle entrate “omesso di considerare gli elementi che caratterizzano, sotto il profilo oggettivo, l’attività svolta dalla Contribuente”, con la conseguenza che l’erroneità di tali premesse non aveva “potuto fare altro che viziare il risultato dell’argomentazione giudiziale”. Deduce che l’insufficiente motivazione dell’atto impositivo, per non avere l’amministrazione finanziaria spiegato i motivi per i quali aveva ritenuto inattendibili le deduzioni e le allegazioni difensive fatte in sede di contraddittorio endoprocedimentale, omettendo anche di argomentare sull’esistenza di incongruenze tra ricavi dichiarati e quelli accertati connotati di gravità, come richiesto espressamente dal D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, convertito con modificazioni nella L. n. 427 del 1993, aveva inficiato anche la motivazione della sentenza impugnata che a quelle insufficienti ed errate valutazioni dell’ufficio finanziario aveva fatto espresso rinvio.

1.2. Sotto il secondo profilo la ricorrente, richiamando il principio giurisprudenziale espresso ad questa Corte nella sentenza n. 1236 del 2006, sostiene che i giudici di appello, ritenendo che “gli elementi addotti dall’Amministrazione finanziaria a sostegno della pretesa impositiva fossero idonei a provare la tesi dell’Ufficio senza tuttavia procedere ad illustrare le ragioni di tale conclusiva valutazione”, avevano reso una motivazione chiaramente insufficiente, in quanto si erano limitati ad esternare il solo giudizio finale della complessa dichiarazione motivazionale, ovverosia il contenuto statico della stessa, omettendo di esternare il contenuto dinamico, cioè il processo cognitivo attraverso il quale era passato dalla situazione di ignoranza dei fatti a quella finale costituita dal giudizio.

2. I profili di censura dedotti nell’unico mezzo di impugnazione proposto, in quanto attinenti alla medesima questione, possono essere esaminati congiuntamente e vanno rigettati perchè infondati.

3. Va preliminarmente rilevata la novità e, quindi, l’inammissibilità della questione della gravità delle incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli accertati, che è requisito richiesto espressamente dal citato art. 62 sexies, non risultando che la stessa sia stata posta nei giudizi di merito, in ciò il ricorso difettando palesemente di autosufficienza, avendo la ricorrente trascurato non solo di specificare se tale questione l’avesse posta con l’originario ricorso, ma anche di indicare in quale parte degli atti dei precedenti giudizio ed in quali esatti termini aveva dedotto la carenza del requisito di gravità delle incongruenze rilevate dall’amministrazione finanziaria.

4. Ciò precisato, ritiene il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata non sia nè erronea nè insufficiente.

5. Sotto il primo profilo deve osservarsi che, sulla base di quanto risultante dallo stesso ricorso (pag. 9), in cui sono trascritti – questa volta, in ossequio al principio di autosufficienza – i passi rilevanti della motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, l’amministrazione finanziaria vi ha dato espressamente atto dei motivi che l’avevano indotta a disattendere i rilievi mossi dalla società contribuente all’attività accertativa, sostenendo (in relazione al “punto 1”) che lo studio di settore applicato nel caso specifico teneva conto del fatto che l’attività della contribuente fosse connotata, come da questa espressamente dedotto, da acquisizione di lavori in subappalto, che la “attuale previsione” di realizzazione di un consorzio con altre piccole imprese (dedotta al “punto 2”), non assumesse alcuna rilevanza con riferimento all’anno di imposta 2004, e, da ultimo, che la contribuente non aveva fornito “alcun dato contabile sensibile aggiuntivo” che potesse indurre ad un ricalcolo dello studio di settore. Tali considerazioni sono, per la loro specificità e compiutezza, idonei ed assolutamente sufficienti a giustificare le ragioni di non condivisione da parte dell’amministrazione finanziaria dei rilievi mossi dalla società contribuente, cosicchè, anche in considerazione del fatto che la ricorrente non ha dedotto di aver mosso all’attività accertativa rilievi diversi da quelli esaminati dall’ufficio finanziario nell’atto impositivo, alcun errore è rinvenibile nell’affermazione dei giudici di appello, secondo cui “le motivazioni addotte e le circostanze rappresentate dalla società” erano state “puntualmente riportate” nell’atto impositivo e valutate dall’amministrazione finanziaria, così come non è insufficiente la motivazione della sentenza impugnata che ritenga di attribuire rilevanza, ai fini di una riduzione dei maggiori ricavi accertati, alla sola circostanza dell’indebitamente bancario della contribuente, ed “irrilevanti”, invece, tutti gli altri motivi addotti da quest’ultima per le medesime ragioni spiegate dall’amministrazione finanziaria.

5.1. In buona sostanza, dal contenuto del provvedimento impugnato, in relazione al quale soltanto va verificata la sussistenza del denunciato errore intrinseco al ragionamento del giudice (cfr. Cass. n. 50 del 2014), si evince che la CTR ha tenuto in debita considerazione le circostanze di fatto e le argomentazioni difensive della parte ricorrente e quelle esplicitate dall’amministrazione finanziaria nell’atto impositivo impugnato e con motivazione essenziale ma corretta e sufficiente, ha ritenuto di condividere le seconde e una soltanto delle questioni introdotte nel giudizio dalla contribuente idonea a giustificare una riduzione proporzionale dell’entità dei ricavi accertati.

5.2. Trattasi di valutazione esente dai prospettati vizi logici di motivazione, che va confermata. Peraltro, il contrasto della tesi sostenuta dal ricorrente anche con il principio giurisprudenziale in base al quale, “in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che denunci, quale vizio di motivazione, l’insufficiente giustificazione logica dell’apprezzamento dei fatti della controversia o delle prove, non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o probabile corrispondenza alla realtà fattuale, poichè è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile” (Cass. n. 25927 del 2015), costituisce ulteriore ragione di rigetto del motivo in esame, posto che la ricorrente neanche spiega le ragioni di erroneità delle valutazioni operate dall’amministrazione finanziaria sui due rilievi da essa mossi.

6. Conclusivamente, quindi, il ricorso va rigettato per infondatezza del motivo di ricorso e la ricorrente, rimasta soccombente, va condannata al pagamento delle spese processuali liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. Giustizia n. 55 del 2014.

PQM

 

dichiara infondato il motivo di ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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