Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14092 del 11/06/2010

Cassazione civile sez. II, 11/06/2010, (ud. 05/05/2010, dep. 11/06/2010), n.14092

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6438/2005 proposto da:

B.S. (OMISSIS), D.N.G.

(OMISSIS), D.N.R. (OMISSIS), D.N.

M. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

B BARBIELLINI AMIDEI 44, presso lo studio dell’avvocato CHIATTELLI

MARCELLO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

C.N.B. (OMISSIS), C.V.

(OMISSIS), C.M.V. (OMISSIS),

BO.LU. (OMISSIS) vedova C.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 107, presso lo

studio dell’avvocato DEL PRATO ENRICO ELIO, che li rappresenta e

difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1570/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/03/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2010 dal Consigliere Dott. BURSESE GAETANO ANTONIO;

udito l’Avvocato CHIATTELLI Carlo, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato CHIATELLI Marcello, difensore dei ricorrenti che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 27.03.96 i coniugi B.S. e D.N.V. convenivano avanti al Tribunale di Rieti, N.B., M.V., e C.V. nonchè Bo.Lu. ved. C., per ivi sentir dichiarare che un piccolo vano di mq 12, antistante la loro abitazione e sito in (OMISSIS), distinto in catasto urbano Comune di Ascrea al f. (OMISSIS), era divenuto di proprietà di essi attori a seguito di intervenuta usucapione, per averlo i medesimi ininterrottamente posseduto animo domini sin dal 1973. Si costituivano i convenuti che si opponevano all’avversa domanda deducendo che il locale in questione era stato concesso in godimento agli attori, a titolo di mera cortesia, dai sigg. Ce., precedenti proprietari dello stabile di cui lo stesso vano faceva parte; i quali ultimi, successivamente ed a seguito di una controversia intercorsa con essi C., avevano trasferito ai medesimi in via transattiva, la nuda proprietà dell’intero complesso, con l’usufrutto in favore della sig.ra Bo.Lu. ved. C.. In via riconvenzionale chiedevano i convenuti la condanna degli attori al risarcimento dei danni conseguenti al loro illegittimo rifiuto di consegna del locale, oltre che per lite temeraria.

L’adito tribunale di Rieti, con sentenza n. 655/00 rigettava sia la domanda attrice che la riconvenzionale dei convenuti. La decisione veniva appellata dalla B. e dagli eredi di D.N.V. – deceduto nelle more – i quali deducevano che il primo giudice aveva erroneamente ritenuto che essi avevano iniziato a utilizzare il locale a titolo di cortesia; che aveva considerato opponibile ad essi attori la sentenza del tribunale di Rieti emanata a definizione della lite insorta tra i Ce. ed i C., con effetti internativi del reclamato possesso; che infine lo stesso giudice non aveva adeguatamente valutato le dichiarazione dei testi che avrebbero provato l’esistenza del possesso ad usucapendum del vano in favore degli stessi attori. Si costituivano gli appellati che contestavano l’impugnazione siccome infondata, proponendo a loro volta appello incidentale avverso il capo della sentenza che aveva rigettato la loro domanda riconvenzionale. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 1570/04 depos. 31.03.2004, rigettava sia l’appello principale che quello incidentale, confermando la decisione impugnata. Ribadiva la Corte romana che gli appellanti non avevano provato il possesso uti domini del locale di cui reclamavano la proprietà per usucapione. Avverso la decisione suddetta gli odierni esponenti propongono ricorso per cassazione sulla base di 3 motivi;

resistono con controricorso i C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso gli esponenti denunciano la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 1141 c.c., per avere il giudice ritenuto irrilevante e comunque per avere escluso in favore degli attori appellanti, la presunzione di possesso idoneo all’usucapione, in carenza di prova contraria. Deducevano che erroneamente il giudice di merito aveva ritenuto sulla base degli elementi istruttori acquisiti, che il reclamato possesso del vano fosse iniziato a titolo di cortesia. In realtà spettava ai convenuti vincere la presunzione legale di cui all’indicato art. 41, comma 1, lett. e.” fornendo la prova secondo la formula legislativa, di avere gli attori ” cominciato ad esercitare il possesso semplicemente come detenzione”.

La doglianza non è fondata.

Questa Corte ha più volte ribadito che “….chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisiva e, quindi, non solo del “corpus”, ma anche dell’animus”;

quest’ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà, sicchè è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale.

Pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all’usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all’elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l’animus possidendi nell’indicato soggetto” (Cass. n. 15145 del 06/08/2004; Cass. n. 5484 del 14.03.20069).

Nella fattispecie il giudice di merito ha ritenuto che la materiale disponibilità del bene da parte degli attori non si era però manifestata….” in un comportamento univocamente corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale, comportamento che (doveva) tradursi in attività materiale oggettivamente incompatibile con l’altrui diritto domenicale e quindi non giustificabile – in mancanza di atti o dichiarazioni che manifestano appunto l’interversio possessionis – da un titolo diverso (locazione, comodato, precario ecc.).” La corte territoriale ha altresì corroborato tale convincimento, osservando che nel caso in esame, non era stata mai registrata inerzia da parte dei proprietari Ce., mentre non vi era mai stato “da parte dei materiali detentori del bene l’esercizio di atti apertamente incompatibili con l’altrui diritto di proprietà”.

Passando all’esame del 2 motivo, con esso gli esponenti denunciano la carente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Si sottolinea che la Corte territoriale mentre aveva ritenute probanti le dichiarazioni delle due testi escusse (la M. e la G.), in realtà non aveva dato il giusto rilevo al fatto che le medesime non avevano ricordato se, tra le chiavi loro consegnate, vi erano anche quelle del locale di cui trattasi, nè avevano saputo indicare la persona che aveva provveduto ad aprire il locale stesso. In realtà il giudice a quo, ove avesse correlato dette testimonianze con le altre emergenze probatorie, avrebbe ben potuto ritenere provato “il permanente ed ininterrotto possesso delle chiavi da parte dei coniugi D.N.”.

Anche tale doglianza non ha pregio perchè introduce chiaramente questioni di merito, come quelle relative alla valutazione delle prove acquisite, che non sono certamente censurabili in sede di legittimità, attesa la logicità della motivazione, priva di vizi logici e giuridici, il giudice invero ha preso in esame e correttamente valutato il materiale probatorio acquisito, sottolineando che quello che aveva rilievo ai fini del decidere era il fatto che “….l’accesso all’ex gazometro….(era)avvenuto a seguito di apposita richiesta rivolta ai proprietari Ce. e conseguente autorizzazione da parte di questi ultimi, il tutto senza che i D.N. – abitanti a pochi metri e materiali detentori del locale, da essi utilizzato continuamente come ripostiglio – abbiano mai eccepito ad alcuno, nel dar corso alle decisioni dei legittimi proprietari del bene, la loro pretesa qualità di possessori animo domini dell’immobile.” Con il 3 motivo si denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 2909 c.c., per errata interpretazione dei limiti soggettivi del giudicato e degli atti consequenziali. Nessun rilevo poteva avere – secondo i ricorrenti – il contenuto del verbale d’immissione in possesso nell’immobile di cui trattasi (nel quale non vi era alcun riferimento alla disponibilità di detto locale da parte di terzi uti domini), immissione conseguente all’esito della causa tra i Ce. ed i C., (favorevole a quest’ultimi che avevano rivendicato la proprietà del palazzo), causa a cui essi esponenti erano rimasti estranei. Anche tale doglianza è infondata. A questo proposito la corte territoriale ha puntualmente chiarito e precisato che (v. pag. 9 sentenza) “…la rilevanza di quanto sopra ai fini della presente decisione, non deriva peraltro ovviamente da una pretesa efficacia riflessa del giudicato verso terzi – come lamentano gli appellanti, rimasti appunto estranei a quel giudizio – bensì deriva esclusivamente dall’oggettiva valenza probatoria, come tale valida erga omnes, degli elementi di fatto desumibili dal suddetto verbale di immissione del possesso redatto dall’ufficiale giudiziario nel novembre del 1979”.

Conclusivamente il ricorso dev’essere dunque rigettato. Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 1.900,00, di cui Euro 1.700,00 per onorano, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2010

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