Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14089 del 07/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/07/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 07/07/2020), n.14089

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17380-2018 proposto da:

D.F.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARNOZZI

1, presso lo studio dell’avvocato CORRADO LA ROSA, rappresentato e

difeso dall’avvocato DANIELE ANDREA PORRU;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTA PINCIANA 4, presso lo

studio dell’avvocato VINCENZO DE SENSI, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 916/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO

GABRIELE.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 9 settembre 2009, il Fallimento (OMISSIS) Srl evocava in giudizio D.F.L. chiedendo l’inefficacia dell’atto di vendita con il quale la società (OMISSIS) aveva ceduto al convenuto un terreno sito nel Comune di (OMISSIS), rilevando l’esistenza di un consistente debito del venditore nei confronti di Caterpillar Finance Srl e aggiungendo che l’atto traslativo riduceva in maniera considerevole la possibilità di soddisfacimento dei creditori sociali. Quanto al profilo soggettivo, deduceva una serie di elementi di fatto, tra cui i rapporti parentali esistenti tra le parti e il conflitto d’interesse relativo all’atto posto in essere, che evidenzierebbero la consapevolezza della lesività dell’atto di vendita. Si costituiva D.F.L. deducendo l’infondatezza della pretesa.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 9 aprile 2011, accoglieva le domande del Fallimento (OMISSIS) Srl ritenendo provato l’ingente credito di Caterpillar Finance Srl. Nonostante la conoscenza di tale posizione debitoria, l’amministratore unico, D.F.G., aveva alienato al figlio L. il terreno in oggetto. L’atto era funzionalmente preordinato a neutralizzare la garanzia patrimoniale;

avverso tale sentenza proponeva appello D.F.L., deducendo l’erronea valutazione degli elementi probatori, l’esistenza di semplici presunzioni incompatibili con il giudizio per revocatoria e la congruità del prezzo. Si costituiva il Fallimento (OMISSIS) insistendo per il rigetto dell’impugnazione;

la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 14 febbraio 2018, rilevava che l’atto di alienazione era intervenuto quando la società (OMISSIS) era già debitrice di somme ingenti verso i creditori, che il prezzo di vendita non era congruo, trattandosi di cava di granito ancora produttiva, che ricorreva l’elemento soggettivo, in considerazione dello strettissimo grado di parentela tra amministratore unico della società e acquirente; che la L. fall., art. 66, non richiede il presupposto dell’insolvenza, nè la consapevolezza dello stato di decozione del debitore, ma la semplice dimostrazione del pregiudizio per la massa dei creditori ad opera dell’atto dispositivo, inteso quale compimento di un atto che renda più incerta la soddisfazione del credito. Sulla base di tali elementi rigettava l’appello;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione D.F.L. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso il Fallimento (OMISSIS) Srl che illustra con memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la violazione degli artt. 2697,2727,2729 e 2901 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, il convenuto, odierno ricorrente, avrebbe sempre contestato che la cava, nell’anno 2004, fosse ancora produttiva, e ciò sulla base di una perizia giurata di parte. Il ragionamento presuntivo della Corte territoriale sarebbe errato, perchè fondato su una non corretta lettura della tavola n. 3 del Catasto delle cave. Infatti, il terreno in oggetto non coinciderebbe con la superficie descritta nella tavola e, pertanto, in assenza di altri elementi, la Corte d’Appello non avrebbe potuto ritenere provato per presunzioni tale dato. Inoltre, la tavola del Catasto regionale riportava dati riferiti al 1974 e ciò non consentirebbe di ritenere ancora operativa, nell’anno 2004, quella cava. La Corte territoriale avrebbe dovuto disporre un’ispezione dei luoghi ovvero la prova testimoniale, per superare le risultanze della perizia di parte. In sostanza, il giudice di appello avrebbe valutato con superficialità il contenuto del certificato di destinazione d’uso, attribuendo allo stesso un valore privilegiato;

il primo motivo è inammissibile perchè dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, con riferimento al contenuto della consulenza tecnica di parte dell’ingegner P. e della tabella n. 3 allegata all’elenco delle cave produttive e al Catasto regionale dei giacimenti di cava;

infatti, quando il ricorso si fonda su documenti, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6). “Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:

(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;

(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;

(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6-3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011). Di questi tre oneri, il ricorrente ha assolto solo il terzo;

il ricorso, infatti, non riassume nè trascrive il contenuto della ctp e delle tabelle; nè indica con quale atto ed in quale fase processuale (atto di citazione, memorie ex art. 183 c.p.c., ordine di esibizione, ecc.) siano state prodotte. Ciò impedisce di valutare la rilevanza e la decisività dei documenti che si assume non essere stati esaminati dalla Corte d’Appello;

a prescindere da ciò, tutte le censure sono fattuali e riguardano la valutazione degli atti istruttori, richiedendosi alla Corte di legittimità di operare una nuova ricostruzione della vicenda sulla base del contenuto dei documenti, atteso che le censure si sostanziano nella deduzione di una superficiale e parziale lettura degli stessi, delle tabelle, delle misurazioni, estensioni e caratteristiche dei terreni. Profili incompatibili con il giudizio di legittimità;

in sostanza, il motivo non illustra la violazione delle norme di diritto evocate in via diretta, ma pretende di desumerle da una ricostruzione e valutazione della quaestio facti, così rivestendo la sostanza di sollecitazione al controllo della relativa motivazione della sentenza impugnata, al di fuori dei limiti consentiti dal nuovo art. 366 c.p.c., n. 5;

la violazione dell’art. 2697 c.c. è dedotta al di fuori dei criteri indicati, in motivazione sul punto, da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016; quella degli artt. 115 e 116 c.p.c. è dedotta al di fuori dei criteri indicati da Cass. n. 11892 del 2016, ribaditi da consolidata giurisprudenza e dalla citata sentenza delle SS.UU. di questa Corte; la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. è prospettata al di fuori dei criteri indicati da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018;

la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, suppone allora un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito – assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato – risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza. Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi;

di contro la critica al ragionamento presuntivo svolto da giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicchè il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perchè quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729 c.c., comma 1 (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali);

con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 2901 c.c. e degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, con riferimento al presupposto dell’eventus danni la valutazione della Corte territoriale sarebbe errata, fondandosi sull’esistenza di ingenti debiti sociali che invece non emergerebbero da una lettura attenta del bilancio prodotto in giudizio. Secondo le regole di contabilità l’esistenza di un debito sociale non comporta una situazione di insolvenza, trattandosi di profilo fisiologico e, comunque, di una lieve contrazione del capitale sociale che potrebbe essere ripianata utilizzando le riserve facoltative o quelle straordinarie. Sotto altro profilo, la Corte territoriale non avrebbe esaminato compiutamente la sentenza del Tribunale di Roma, secondo cui la vendita del novembre 2004 non avrebbe causato un danno ai creditori, in difetto di prova da parte della curatela sul punto;

il motivo è inammissibile per le medesime ragioni oggetto di quello precedente. In primo luogo poichè il riferimento alla decisione del Tribunale di Roma del 2014 e al bilancio della società è operato in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non avendo parte ricorrente trascritto il contenuto di tali atti, quanto meno nei passaggi essenziali;

a prescindere da ciò, la censura si traduce in una doglianza relativa alla valutazione del materiale probatorio, prospettando una ricostruzione alternativa del significato dei documenti menzionati più appagante per il ricorrente e richiedendo alla Corte di legittimità di operare un’inammissibile nuova valutazione dell’intero compendio probatorio;

infine, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, è inconferente, dato che una motivazione è certamente esistente. E ciò è tanto vero che nell’illustrazione si finisce per evocare, sempre in modo irrituale, gli artt. 115 e 116 c.p.c.

con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. La decisione del Tribunale di Roma n. 6795 del 2014 avrebbe efficacia di giudicato esterno, opponibile alla curatela. In particolare, con quella decisione il Tribunale avrebbe esaminato un cumulo di domande azionate dalla curatela nei confronti di più soggetti, tra le quali la richiesta di risarcimento dei danni in relazione all’acquisto del terreno in oggetto. Rispetto a tale questione sussisterebbe un giudicato esterno. L’azione risarcitoria fatta valere nel separato giudizio riguardava la circostanza secondo cui vi sarebbe stata collusione tra D.F.L., la madre, S.D., e gli amministratori di altre società terze per ricavare un profitto ingiusto ai danni della società fallita;

il motivo è inammissibile perchè, riguardo alla presunta omessa valutazione della eccezione di giudicato, il ricorrente avrebbe dovuto dedurre la violazione dell’art. 112 c.p.c. sull’eccezione di cosa giudicata. In ogni caso, anche volendo valutare la sostanza della questione dedotta, in applicazione di Cass. SU n. 17931 del 2013, il motivo sarebbe privo di decisività ed inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 2 (alla stregua di Cass. n. 22341 del 2017 e più di recente Cass. 2020 n. 2395, n. 1584 e Cass. 2019 n. 32772, n. 31909, n. 30502, n. 28779, n. 27567 ed altre) attesa l’inesistenza del giudicato;

infatti, sulla base degli elementi forniti dallo stesso ricorrente, emerge con evidenza che il giudizio definito con la sentenza n. 6795 del 2014 aveva, tra l’altro, ad oggetto un’azione di responsabilità per la violazione, da parte degli amministratori, di un dovere gestorio e delle regole di buona amministrazione, al fine di ottenere un risarcimento del danno subito dalla società in conseguenza di malagestio. Al contrario, nel presente giudizio non è presente alcuna azione risarcitoria, poichè la pretesa è finalizzata alla tutela del creditore rispetto agli atti con i quali il debitore, a fronte di un fumus di sussistenza di un debito, avrebbe impedito o reso più difficoltosa la soddisfazione del credito, riducendo i beni oggetto della responsabilità patrimoniale;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, tenuto conto del tenore della decisione, mancando ogni discrezionalità al riguardo (Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) dichiara che sussistono i presupposti per il pagamento del doppio contributo se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 4000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2020

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