Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14081 del 11/06/2010

Cassazione civile sez. lav., 11/06/2010, (ud. 18/05/2010, dep. 11/06/2010), n.14081

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1836-2009 proposto da:

C.B., in proprio e quale procuratrice di C.

C., A. E I., nella qualità di eredi di R.

C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO

20, presso lo studio dell’avvocato TRALICCI GINA, che la rappresenta

e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PREDEN SERGIO, giusta mandato in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 287/2008 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 10/01/2008 R.G.N. 20177/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2010 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI MASSIMO che ha concluso per la dichiarazione di

inammissibilità.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 287/2008 del 10.1.2008, questa Corte accolse il ricorso proposto da C.B., in proprio e quale procuratrice di C.C., C.A. e C.I., tutte eredi di R.C.M., nei confronti dell’Inps, cassò la sentenza impugnata (n. 1106/2004 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 9.8.2004) e, decidendo nel merito, dichiarò il diritto delle ricorrenti alla pensione di reversibilità fatto valere in giudizio (ossia il diritto alla pensione di reversibilità richiesta da R.C.M. in relazione alla pensione diretta di vecchiaia per la quale il suo defunto marito, C.A., poteva vantare il richiesto requisito contributivo in dipendenza della totalizzazione dei contributi versati in Italia e in Argentina).

Avverso la suddetta sentenza, C.B., in proprio e quale procuratrice di C.C., C.A. e C.I., tutte eredi di R.C.M., hanno proposto ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. fondato su un unico motivo.

L’intimato Inps ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Deducendo la sussistenza di errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, la parte ricorrente si duole che questa Corte, decidendo nel merito, non abbia pronunciato anche sulla domanda di condanna al pagamento della somma richiesta a titolo di ratei maturati e interessi in dipendenza del titolo dedotto in giudizio, e ciò benchè tale domanda fosse stata svolta nel ricorso di primo grado e reiterata in quello di appello, sicchè l’omessa pronuncia doveva essere ricondotta ad un’erronea ricognizione, da parte del Collegio giudicante, del thema decidendum risultante ictu oculi dagli atti processuali.

2. Secondo il condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, nella nozione di atti interni al giudizio di cassazione, in relazione ai quali è configurabile l’errore revocatorio della Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, oltre a quelli susseguenti alla proposizione del ricorso (ad esempio, il deposito ex art. 369 c.p.c., comma 1, e il controricorso con eventuale ricorso incidentale), vanno ricompresi anche tutti quegli altri atti che devono essere depositati assieme al ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, nonchè il fascicolo di ufficio (art. 369 c.p.c., comma 3), ma solo nei casi in cui la Corte Suprema debba esaminarli direttamente con propria autonoma indagine di fatto, senza cioè la mediazione della sentenza impugnata, essendo dedotti errores in procedendo o profilandosi questioni processuali rilevabili ex officio (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 2597/2004; 2006/1995; Cass., SU, n. 3519/1992).

Nel caso che ne occupa non consta che, con il ricorso deciso dalla sentenza di cui è stata chiesta la revocazione, fosse stato dedotto un error in procedendo, sicchè il Collegio non era abilitato alla lettura diretta degli atti dei fascicoli d’ufficio dei grado di merito. Pertanto il preteso errore revocatorio potrebbe ritenersi sussistente soltanto ove determinato da un’erronea percezione di quanto risultante dagli atti strettamente inerenti al giudizio di cassazione (in sostanza la sentenza impugnata, il ricorso per cassazione e il controricorso).

3. Nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato il principio secondo cui il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata; il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione impone quindi che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 11653/2006; Cass., nn. 7825/2006; 12688/2007). Rilevato che il suddetto principio, siccome connaturato alle caratteristiche precipue del giudizio di cassazione, trova applicazione anche in ipotesi di ricorso per revocazione di una sentenza della stessa Corte di Cassazione, deve convenirsi che il ricorso all’esame non soddisfa alle suddette esigenze, non essendo stato ivi indicato in quale, tra gli atti interni che il Collegio giudicante era tenuto ad esaminare, fosse rinvenibile l’indicazione – in tesi oggetto di errata percezione – dell’avvenuta proposizione di una domanda di condanna specifica; ed invero, dalla lettura del ricorso per revocazione emerge soltanto che nel ricorso di legittimità era stato richiesto il rinvio alla Corte d’Appello per “ogni consequenziale pronuncia” (senza quindi alcun specifico riferimento ad un’eventuale domanda di condanna ad un quantum determinato) e che la condanna al pagamento di una somma determinata era stata svolta nell’atto d’appello e nel ricorso di primo grado (con gli allegati conteggi), ossia in atti processuali che il Collegio giudicante non era tenuto ad esaminare direttamente e in relazione ai quali non può quindi ravvisarsi il preteso errore revocatorio.

4. La rilevata inosservanza del principio di autosufficienza conduce quindi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Applicandosi ratione temporis il disposto dell’art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo vigente anteriormente alle modifiche di cui al di n. 269/03, convenuto in L. n. 326 del 2003, non è luogo a provvedere sulle spese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2010

 

 

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