Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14079 del 07/06/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 07/06/2017, (ud. 22/03/2017, dep.07/06/2017),  n. 14079

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27594/2012 R.G. proposto da:

P.P. e P.G., quest’ultimo anche in qualità di

ex liquidatore della società estinta Immobiliari P. s.r.l.,

rappresentati e difesi dagli avv. Graziano Dusi e Paolo Panariti,

con domicilio eletto in Roma, via Celimontana 38, presso lo studio

dell’avv. Paolo Panariti;

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, depositata il 16 aprile 2012.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 22 marzo 2017

dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Verona (Ctr) ha rigettato il ricorso della società contro avviso di accertamento, con il quale furono accertati, per l’anno 2005, maggiori ricavi derivanti dalla vendita di immobili operata dalla contribuente nel corso di quell’anno;

che la sentenza di primo grado è stata confermata dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, la cui sentenza è oggetto del presente ricorso per cassazione, proposto dagli ex soci, essendo nel frattempo intervenuta la estinzione della società;

che l’Agenzia delle entrate ha reagito con controricorso;

che il ricorso, la cui ammissibilità non è pregiudicata dal fatto che uno dei due soci abbia agito anche come ex liquidatore della società estinta, essendo la circostanza irrilevante in presenza dei soggetti legittimati (cfr. Cass., S.U., 6070/2013), è proposto sulla base di cinque motivi;

che il primo motivo deduce omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione dell’art. 7 dello statuto del contribuente e dell’art. 24 Cost., il tutto con riferimento al difetto di motivazione del preventivo invito rivolto alla contribuente alla produzione di documenti;

che il motivo presenta un pluralità di profili di inammissibilità, in primo luogo perchè deduce mezzi di impugnazione eterogenei in termini cumulativi, mentre l’ammissibilità della contemporanea deduzione dei motivi di cui ai numeri 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, implica che sia possibile separare, nell’ambito dell’unico motivo, la censura che attiene alla violazione di norme di diritto da quella relativa al vizio di motivazione; in secondo luogo per difetto di autosufficienza, perchè non precisa dove e come la deduzione fu proposta nel giudizio d’appello, omissione tanto più grave tenuto conto che la Ctr rileva in apertura della motivazione l’inammissibilità di alcune eccezioni pregiudiziali della società, in quanto sollevate per la prima volta nel giudizio d’appello;

che ulteriore ragione di inammissibilità, sempre sotto il profilo del difetto di autosufficienza, dipende dalla mancata trascrizione del contenuto dell'”invito” al quale si riferisce la censura, per cui la Corte non è in grado di verificarne il significato e la portata;

che il secondo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Violazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente e 24 Cost.;

che la parte della sentenza investita dalla censura è quella in cui la Ctr ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento nonostante esso non fosse stato preceduto dalla preventiva notificazione di un processo verbale di constatazione;

che anche tale motivo è inammissibile: in disparte l’indistricabile sovrapposizione di mezzi di impugnazioni eterogenei (v. supra), il motivo è fondato sulla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, di cui si assume l’applicabilità in termini generalizzati, laddove, come correttamente sostenuto dalla Ctr, il relativo procedimento riguarda solo i casi in cui vi sia stato un accesso nei locali dell’impresa e non anche il caso, riscontrato in fatto dalla sentenza impugnata, in cui l’Amministrazione abbia svolto “un’attività autonoma basata sulla documentazione fornita e su quella rinvenuta presso terzi” (cfr. Cass. Sez. unite n. 24823 del 2015);

che è analogamente inammissibile il terzo motivo, dedotto con una rubrica identica al motivo precedente;

che il motivo contiene infatti una pluralità di censure diverse ed eterogenee, in particolare sul giudizio positivo espresso dalla Ctr sulla motivazione dell’avviso di accertamento (che non viene trascritto, cfr. Cass. n. 3289/2914); sul fatto che la sentenza non ha considerato le eccezioni degli appellanti circa l’avvenuta postuma integrazione della motivazione dell’avviso di accertamento; sul merito dell’accertamento, sollecitandosi per questa via una inammissibile rivisitazione del procedimento decisorio;

che il quarto motivo, dedotto sempre con la stessa discutibile tecnica usata nei motivi precedenti, censura la violazione dell’art. 2967 c.c., trascurando che con riferimento al precetto di cui all’art. 2697 c.c., la violazione è configurabile solo quando il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, mentre la censura che investe la valutazione (attività regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 c.p.c.) può essere fatta valere ai sensi del numero 5 del medesimo art. 360 (cfr. Cass. n. 15107/2013);

che nella sentenza impugnata non ci sono affermazioni che in contrasto con il legale criterio di riparto dell’onere della prova restando da aggiungere che, nella specie, la Ctr ha ritenuto che l’Ufficio aveva proceduto un accertamento analitico induttivo, legittimo, con la conseguente inversione dell’onere della prova, anche se le scritture contabili sono formalmente regolari (Cass. n. 20060/2014);

che il quinto motivo, sempre con la medesima tecnica di rubrica, solleva la questione del mancato riconoscimento induttivo dei costi;

che il motivo è infondato: secondo la giurisprudenza di questa Suprema corte soltanto in caso di accertamento induttivo puro, del D.P.R. n. 600 del 1963, ex art. 39, comma 2, il Fisco deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfetaria dei costi di produzione, mentre in ipotesi di accertamento analitico o analitico presuntivo, è il contribuente che deve dimostrare, con onere probatorio a suo carico, l’esistenza dei presupposti per la deducibilità di costi afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa o debba procedere al riconoscimento forfetario di componenti negativi (Cass. n. 25317/2014; n. 20679/2014);

che sono infine inammissibili le considerazioni di merito poste alla fine del ricorso, in quanto non veicolati da apposito mezzo di impugnazione ex art. 360 c.p.c., in contrasto con la caratteristica essenziale e tipica del giudizio di legittimità, che, a differenza del giudizio d’appello, costituisce un giudizio a critica vincolata, cioè limitata alle specifiche ipotesi previste dall’art. 360 cit.;

che, in conclusione, il ricorso va interamente rigettato.

PQM

 

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2017

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