Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14078 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. III, 27/06/2011, (ud. 11/04/2011, dep. 27/06/2011), n.14078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.R., titolare dell’omonima impresa edile, (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICOLO’ V 10, presso lo studio

dell’avvocato FOLLIERO ORRU’ MARINA, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ORLANDI NINO giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

POSART DI GIUSEPPE LUGNAN & ROBERTO ROSSANDA SNC (OMISSIS), in

liquidazione, nella persona del socio liquidatore signor L.

G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. B. MARTINI 13,

presso lo studio dell’avvocato DI PORTO ANDREA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FERLETIC FRANCO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

contro

S.N., B.G. (OMISSIS), S.

D.;

– intimati –

sul ricorso 29260-2006 proposto da:

B.G. (OMISSIS), S.N.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 12 SC. A-4, presso

lo studio dell’avvocato DI LORENZO FRANCO, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CARUSO NICOLA giusta delega a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti –

e contro

V.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 429/2006 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, 2^

Sezione Civile, emessa il 14/06/2006, depositata il 19/07/2006;

R.G.N. 171/2005.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/04/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato ORLANDI NINO;

udito l’Avvocato DI LORENZO FRANCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso inammissibile in subordine rigetto

del ricorso principale, assorbimento e in subordine accoglimento

incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con pronunzia del 19/7/2006 la Corte d’Appello di Trieste, in parziale accoglimento del gravame interposto dal sig. R. V. e in parziale riforma della sentenza Trib. Udine 23/7/2004, rigettava la domanda di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di incendio sviluppatosi nel loro immobile in corso di ultimazione sito in (OMISSIS) proposta dai sigg.ri B.G. e S.N. nei confronti della società Posart s.r.l., che aveva progettato e costruito la stufa in muratura; del sig. R. V., titolare dell’impresa che aveva costruito la canna fumaria;

del perito S.D., che aveva diretto i lavori nel fabbricato.

Disponeva quindi, come da separata ordinanza, per il prosieguo del riunito giudizio, avente ad oggetto la domanda di pagamento del corrispettivo delle opere eseguite nell’immobile, azionato in via monitoria dal V., nella qualità, nei confronti del B. e della S..

Avverso la suindicata sentenza della corte di merito il V. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi la società Posart s.r.l.

nonchè il B. e la S., i quali ultimi spiegano altresì ricorso incidentale condizionato sulla base di unico motivo.

Lo S. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo il ricorrente principale denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che, alla stregua delle risultanze di causa, erroneamente la corte di merito abbia ritenuto nel caso sussistente il nesso di causalità tra “il fatto dell’attore appellante ed il danno occorso nell’abitazione dei signori B. e S.”.

Lamenta che con un “salto logico” la corte di merito ha ritenuto il fatto a lui comunque addebitabile in ragione della “equivalenza delle cause ex art. 41 c.p.”, argomentando dal rilievo che “sebbene non sia provato che il camino sia stata la causa scatenante l’incendio, la sua esecuzione non a regola d’arte si porrebbe pur sempre come concausa dell’incendio”, laddove egli era stato invero “incaricato di eseguire la canna fumaria relativa ad una stufa in muratura che la ditta Posart aveva installato nell’abitazione de qua”, e durante la fase di installazione della canna fumaria, a causa dell’esiguità degli spazi attraverso i quali il camino doveva essere posizionato, si era reso necessario, onde poter consentire l’installazione, eliminare parte del rivestimento isolante che avvolge il camino medesimo”.

Precisava che “il salto logico è quello di ritenere sic et simpliciter “causa” quella che in realtà, giuridicamente, può tutt’al più essere definita come “occasione”.

Con il 2 motivo il ricorrente denunzia omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che l'”impugnata decisione appare … del tutto contraddittoria, con motivazione sul punto omessa o del tutto insufficiente, laddove liquida in Euro 17.101,15 le spese del giudizio in favore della Posart ed in Euro 4.500, quelle in favore di S.N.. Una sproporzione del tutto ingiustificata ed illogica, per ciò stesso meritevole di cassazione”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, relativamente al motivo con il quale si denunzia violazione di norme di diritto è formulato quesito del seguente testuale tenore: “Dica la Suprema Corte di Cassazione se la Corte d’Appello di Trieste, Dell’impugnata decisione, abbia fatto corretta applicazione dei canoni ermeneutici in tema di imputazione causale dell’evento dannoso al preteso autore, mutuati in ambito civilistico dagli artt. 40 e 41 c.p., anche in relazione alle peculiarità del caso. Dica, inoltre, la Suprema Corte se la condotta del sig. V. possa essere ritenuta quale causa o concausa dell’evento dannoso che ha colpito l’abitazione dei signori B. e S.”.

Emerge invero evidente che esso non risulta informato allo schema delineato da questa Corte (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non recando la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti; del modo in cui gli stessi sono stati dai giudici di merito rispettivamente decisi; della diverse regole di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione.

Il quesito si sostanzia infatti in richieste prive (quantomeno) di decisività, non appalesandosi idoneo a consentire, in base alla sua sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr.

Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare, l’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale in realtà alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo altrimenti vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Tanto più che nel caso il motivo risulta formulato in violazione del principio di autosufficienza, atteso che il ricorrente fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., agli atti introduttivi dei giudizi di primo e di secondo grado, alla sentenza del giudice di prime cure, alle risultanze della disposta C.T.U., alla “variante eseguita dal sig. V. … realizzata su indicazione del direttore dei lavori sig. S.”, al “focolaio già in essere ed accesosi per causa del tutto indipendente da fatti e/o omissioni del V.”, alla circostanza che “l’elemento ligneo a contatto con il fuoco sarebbe comunque addivenuto a accensione”), limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente ed esaustivamente – per quanto in questa sede d’interesse-riprodurli nel ricorso.

Va ulteriormente posto in rilievo, quanto alla doglianza concernente la prova del nesso di causalità tra il fatto/evento dannoso e i danni conseguenza lamentati dagli odierni ricorrenti, che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il relativo accertamento rientra tra i compiti del giudice di merito, ed è sottratto al sindacato di legittimità, essendo questa Corte legittimata -nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al mero controllo in ordine all’idoneità delle ragioni addotte dal giudice del merito a fondamento della propria decisione (v. Cass., 9/11/2005, n. 21684; Cass., 10/5/2005, n. 9754).

Orbene, nel caso, nel fare applicazione del principio della conditio sine qua non, temperato da quello della cd. causalità adeguata, la corte di merito ha ravvisato la sussistenza di nesso di causalità tra l’incendio prodottosi e l’installazione del camino non a regola d’arte, correttamente argomentando dalle risultanze della disposta C.T.U..

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, risponde a principio consolidato che a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazìone avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che, rispetto alla mera illustrazione del motivo, l’art. 366 bis c.p.c. impone un contenuto specìfico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione “specificamente destinata” (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il 2^ motivo non reca invero la “chiara indicazione” – nei termini più sopra indicati- delle relative “ragioni”, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658;

Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va ancora sottolineato, si configura invero solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano non osservati dall’odierno ricorrente.

Il motivo si presenta invero privo dei necessari caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni non intellegibili ed esaurienti ad illustrazione della dedotta violazione, non consentendo una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata della critica in argomento (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della gravata decisione, rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dal medesimo operata (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., il ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Le spese, liquidate come in dispositivo in favore, rispettivamente della Posart s.r.l., nonchè del B. e della S., seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia sulle spese in favore dello S., non avendo il medesimo svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore della società Posart s.r.l., e nello stesso ammontare in favore del B. e della S..

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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