Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14078 del 07/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 07/07/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 07/07/2020), n.14078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22235/2018 proposto da:

D.N.D., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROMEO TIGRE;

– ricorrente –

contro

FONDAZIONE “CASA SOLLIEVO DELLA SOFFERENZA” – I.R.C.C.S. OSPEDALE

OPERA DI SAN PIO DA PIETRELCINA DI SAN GIOVANNI ROTONDO, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE LIEGI, 44, presso lo studio dell’avvocato PAOLA

MORESCHINI, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO LOZUPONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2516/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 11/01/2018 R.G.N. 180/2015.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Bari, con sentenza n. 2516/2018, pronunciando sull’appello proposto dalla Fondazione “Casa Sollievo della Sofferenza” I.R.C.C.S. Opera do San Pio da Pietrelcina di San Giovanni Rotondo, confermata la statuizione di illegittimità del licenziamento intimato al dirigente medico D.N.D. a motivo della violazione delle garanzie difensive di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, in riforma parziale della sentenza impugnata, confermata la statuizione di reintegra nel posto di lavoro, rigettava la domanda risarcitoria L. n. 300 del 1970, ex art. 18 (nel testo vigente anteriormente alla L. n. 92 del 2012).

Per quanto ancora rileva nella presente sede, la Corte di appello osservava che, nelle more del giudizio ed anzi ancor prima dell’avvio di esso, il D.N. già prestava la propria attività lavorativa per altra struttura sanitaria, quella di cui alla contestazione disciplinare.

In merito al rilievo di tardività dell’eccezione di aliunde perceptum, escludeva la natura di eccezione in senso stretto e dunque riconosceva la possibilità della sua rilevabilità d’ufficio in presenza di un’adeguata allegazione ad iniziativa della parte datrice a ciò interessata e in presenza di riscontri idonei.

Trattandosi del periodo corrente dalla data del licenziamento in tronco (aprile 2011) alla data della riammissione in servizio (giugno 2015), rilevava che l’entità del risarcimento ammontava complessivamente ad Euro 183.365,50 per l’intero periodo, sennonchè il lavoratore risultava avere percepito redditi da lavoro autonomo ripartiti anno per anno nei termini indicati in sentenza e pari complessivamente ad Euro 401.000,00, dunque in misura superiore al risarcimento spettante.

Precisava che avverso tale quantificazione il medico non aveva opposto alcuna contestazione specifica, limitandosi a dedurre che i rapporti di lavoro con l’Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” non era esclusivo.

Rilevava che prima del licenziamento disciplinare il medico poteva dedicare un ridotto numero di ore per settimana al lavoro professionale come autonomo, mentre durante gli oltre cinquanta mesi tra il licenziamento e la reintegrazione nel posto di lavoro egli potè dedicarvi per intero ogni giornata con effetto di una capacità molto accresciuta e costante di produrre reddito aliunde e tale dato, insieme all’entità degli introiti del lavoro a titolo professionale autonomo, pari alle somme specificate in motivazione, “considerevoli e crescenti” nel periodo dell’esame, rende irrilevante che l’attività lavorativa autonoma fosse in sè preesistente.

Concludeva che il medico aveva saputo sopperire al mancato pagamento della retribuzione mediante la produzione di redditi diversi di ammontare complessivamente maggiore, da cui il rigetto della domanda risarcitoria, ivi compresa la richiesta di copertura assicurativa per lo stesso periodo di mancata prestazione lavorativa.

2. Per la cassazione di tale sentenza D.N.D. ha proposto ricorso affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la Fondazione “Casa Sollievo della Sofferenza” – Opera di San Pio di Pietrelcina di San Giovanni Rotondo.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 416,436 e 345 c.p.c., per avere la sentenza erroneamente rigettato l’eccezione di tardività in merito alla detraibilità dell’aliunde perceptum.

Nella memoria di costituzione di appello si era dedotto che tale questione era stata sollevata solo in secondo grado, pur essendo i fatti cui la stessa faceva riferimento di epoca anteriore all’instaurazione del giudizio di primo grado. Si era anche osservato che era preclusa l’allegazione di fatti nuovi e la deduzione di prove nuove in relazione a elementi già noti prima dell’instaurazione del giudizio: difatti, nella memoria difensiva di primo grado controparte aveva rappresentato proprio la circostanza che il ricorrente aveva intenzionalmente dirottato pazienti già prenotati verso altre strutture ospedaliere, creando gravi disagi organizzativi e sottraendo risorse economiche, e nel ricorso in appello aveva ribadito che il ricorrente già prestava attività lavorativa per altra struttura sanitaria ancor prima dell’avvio del giudizio. Dunque, l’Ospedale era nelle condizioni di potere necessariamente formulare la propria eccezione nel primo scritto difensivo, ossia nella memoria difensiva del giudizio di primo grado, tanto più che il D.N. nel ricorso introduttivo aveva rappresentato di lavorare presso l’ospedale con opzione per l’esercizio dell’attività extramoenia.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, nella formulazione anteriore alla L. n. 92 del 2012 e degli artt. 1218, 1223 c.c., anche in relazione all’art. 36 Cost., per avere il giudice di appello detratto il percepito per l’attività libero-professionale senza ragguagliare le somme ai singoli anni e negando completamente il diritto del lavoratore alla regolarizzazione della posizione assistenziale previdenziale.

Si deduce che il ricorrente aveva optato per l’espletamento della propria attività anche al di fuori dell’ospedale per il quale prestava la propria opera e che dunque non poteva ritenersi giuridicamente incompatibile l’esercizio di attività autonoma, sostiene che i redditi di natura professionale non potevano essere detratti e comunque non potevano esserlo complessivamente, ma solo valutando anno per anno. Si duole inoltre che la Corte di appello abbia sottratto il reddito lordo prodotto dal ricorrente dal reddito netto che lo stesso avrebbe percepito nello stesso periodo dalla convenuta.

3. Il ricorso è infondato.

4. Nei giudizi di impugnativa di un licenziamento, il cosiddetto aliunde perceptum non costituisce oggetto di eccezione in senso stretto ed è, pertanto, rilevabile d’ufficio dal giudice se le relative circostanze di fatto risultano ritualmente acquisite al processo, anche se per iniziativa del lavoratore (ex plurimis, Cass. 18093 del 2013). Trattandosi di un’eccezione in senso lato, la stessa non è subordinata alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis, poichè il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe sviato ove pure le questioni rilevabili d’ufficio fossero soggette ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto(Cass. S.U. 10531 del 2013; conf. Cass. n. 27998 del 2018). Ne consegue che in presenza di una eccezione in senso lato il giudice può esercitare anche i propri poteri officiosi al fine di ammettere le prove indispensabili, cioè quelle idonee ad elidere ogni incertezza nella ricostruzione degli eventi (Cass. 25434 del 2019).

5. Orbene, il fatto rilevante ai fini della detraibilità dell’aliunde perceptum è costituito dalla circostanza dello svolgimento – nel periodo in questione – di attività lavorativa diversa da quella resa alle dipendenze dell’Ospedale convenuto e tale fatto costituiva un dato non controverso acquisito al giudizio.

5.1. Una volta acquisito agli atti come pacifico tra le parti il presupposto di fatto rappresentato dalla prestazione di lavoro autonomo produttiva di reddito protrattasi anche oltre la data del licenziamento e considerata la rilevabilità d’ufficio di tale circostanza, deve escludersi la prospettata tardività, che non può riguardare – come già detto – il momento della formulazione dell’eccezione di parte convenuta, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio.

6. Quanto alla determinazione della misura del risarcimento e dei redditi detraibili, la Corte di appello ha riferito che non era stata svolta alcuna specifica contestazione da parte dell’appellato ai dati forniti dall’Ospedale per la determinazione dell’eventuale differenziale. A fonte di ciò, del tutto inammissibili sono le censure svolte con il secondo motivo, che introducono questioni di cui non è precisato se e quando fossero state formulate in giudizio.

7. Infine, la presunta necessità di raffrontare anno per anno la misura del risarcimento spettante e il reddito per lo stesso anno percepito, è destituita di fondamento.

7.1. La liquidazione del danno è unitaria per l’intero periodo corrente dal licenziamento illegittimo alla reintegra. Non si verte in una pretesa retributiva, ma risarcitoria in cui rileva unicamente il differenziale tra quanto complessivamente spettante nel periodo di illegittima estromissione dal servizio (ancorchè il parametro sia costituito dalle retribuzioni perdute) e quanto invece percepito nello stesso periodo per la prestazione di lavoro diversa.

7.2. Nel caso in esame, la Corte di appello ha evidenziato che non vi era un differenziale a favore del ricorrente, avendo lo stesso percepito nel periodo in questione redditi da lavoro autonomo atti ad elidere completamente il danno da licenziamento illegittimo.

8. Giova poi precisare che non ha formato oggetto di alcun motivo di ricorso la questione del mancato riconoscimento, ad opera del giudice di merito, della misura minima del risarcimento, consistente in cinque mensilità di retribuzione di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 4, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis. Trattasi di questione giuridica che, sebbene riferibile al tema del risarcimento del danno, ha una propria specificità, restando logicamente e giuridicamente distinta da quella della detraibilità dell’aliunde perceptum, unica questione oggetto del ricorso per cassazione.

8.1. Il giudizio per cassazione è un giudizio a critica vincolata, in cui il motivo di ricorso ha una funzione identificativa della questione giuridica sottoposta; esso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità (cfr. tra le tante, Cass. n. 6519 del 2019n. 11603 del 2018), per cui esulerebbe dal sindacato di legittimità la ricerca di vizi diversi non denunciati dal ricorrente.

9. Del pari, la questione della mancata “regolarizzazione della posizione assistenziale e previdenziale”, cui il ricorrente accenna nella rubrica del secondo motivo e all’ultima pagina del ricorso, è formulata in connessione e in dipendenza dalla censura sul mancato riconoscimento di un danno differenziale. La questione quindi resta assorbita nel rigetto del secondo motivo.

10. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2020

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