Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14070 del 11/06/2010

Cassazione civile sez. III, 11/06/2010, (ud. 25/05/2010, dep. 11/06/2010), n.14070

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18729/2008 proposto da:

M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, V. TANCREDI CARTELLA 52, presso lo studio dell’avvocato

ACCARRINO ANTONELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato LOMBARDI

Luigi Salvatore con studio in 71011 APRICENA (FG), VIA ALDO MORO

138/D giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.S.A. (OMISSIS), C.A.M.

(OMISSIS), F.M.L. (OMISSIS),

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA SANT’IPPOLITO 26 INT 6, presso

lo studio dell’avvocato NARGISO Nazario, che le rappresenta e difende

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

BANCA POPOLARE DI MILANO SCARL (OMISSIS), B.A.

R. (OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

B.A.R. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CHIANA 67, presso lo studio dell’avvocato

SILVANA BELVISO, rappresentato e difeso dall’avvocato BELVISO UMBERTO

giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA TANCREDI CARTELLA 52, presso lo studio dell’avvocato

ACCARRINO ANTONELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato LOMBARDI

LUIGI SALVATORE con studio in 71011 APRICENA (FG), VIA ALDO MORO

138/D giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

C.S.A. (OMISSIS), F.M.

L. (OMISSIS), BANCA POPOLARE DI MILANO SCARL

(OMISSIS), C.A.M. (OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

BANCA POPOLARE DI MILANO S.C.A.R.L. (OMISSIS) in persona del

Dott. S.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA

59, presso lo studio dell’avvocato BATTAGLIA EMILIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARICONDA VINCENZO

giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

M.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA TANCREDI CARTELLA 52, presso lo studio dell’avvocato

ACCARRINO A. ANTONELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato LOMBARDI

LUIGI SALVATORE con studio in 71011 APRICENA (FG), VIA ALDO MORO

138/D giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

C.S.A. (OMISSIS), F.M.

L. (OMISSIS), C.A.M.

(OMISSIS), B.A.R. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 231/2008 della CORTE D’APPELLO di BARI,

Sezione Terza Civile, emessa il 16/1/2008, depositata il 11/03/2008,

R.G.N. 2077/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/05/2010 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;

udito l’Avvocato VINCENZO MARICONDA; udito l’Avvocato NAZARIO

NARGISO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso principale e l’assorbimento dei due ricorsi incidentali.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Nel 1999 M.M. agì giudizialmente innanzi al Tribunale di Lucera per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali (in corso di causa indicati in oltre L. centoquarantasette miliardi) che affermò di aver personalmente subito per il fallimento della società di fatto “f.lli Masselli Marmi” di cui era socio, e del proprio.

Sostenne che il fallimento era stato determinato dalla diversione, da parte della Banca Popolare di Apricena (poi incorporata dalla Banca Popolare di Milano), di un finanziamento di L. 4.500.000.000 erogato dal Mediocredito Regionale della Puglia alla predetta società per “sopperire al fabbisogno finanziario relativo all’espletamento di un programma di investimenti” (così il contratto di finanziamento del 23.12.1985). La somma, accreditata in unica soluzione sul conto corrente aperto dalla società presso la predetta Banca Popolare, era stata in realtà immediatamente incamerata dalla banca stessa a copertura di precedenti esposizioni debitorie della società finanziata, che non aveva per questo potuto avvalersi della somma per gli investimenti produttivi in vista dei quali era stata erogata. Da qui la decozione della società di fatto, dichiarata fallita nel (OMISSIS).

Espose che, per tale distrazione, con sentenza n. 85/99 il tribunale di Lucera aveva condannato B.R., presidente del consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Piperno (nei confronti del C. s’era dichiarato non doversi procedere per morte dell’imputato) per il delitto di bancarotta preferenziale, commesso in concorso con M.F., fratello dell’attore che si occupava dell’amministrazione della società di fatto.

Convenne dunque in giudizio il B., le eredi del C. ( F.M., C.A.M. e C.S. A.) e la Banca Popolare quale responsabile civile, domandandone la condanna solidale al risarcimento.

Tutti i convenuti resistettero.

Alla causa così incardinata fu riunita quella iscritta al n. 183/2001 del ruolo generale dello stesso tribunale, promossa nel 2001 dal medesimo M.M. nei confronti delle eredi del C., con la quale era stata svolta azione revocatoria ex artt. 192 e 193 c.p., in relazione ad atti traslativi della proprietà di alcuni immobili dal C. alle figlie.

Con sentenza n. 109 del 28 settembre 2005 il tribunale adito rigettò tutte le domande.

2.- L’appello principale del M., al quale avevano resistito tutte le parti convenute, è stato respinto dalla corte d’appello di Bari con sentenza n. 231 del 2008, che ha dichiarato assorbiti gli appelli incidentali condizionati della Banca Popolare di Milano, incorporante della Banca Popolare di Apricena, e di B. R., del quale è stato inoltre rigettato il motivo di appello col quale s’era doluto della mancata condanna del M. per responsabilità processuale aggravata.

Ha ritenuto la corte territoriale che il tribunale avesse correttamente concluso, sulla scorta della consulenza contabile espletata in primo grado, che la condizione di totale dissesto in cui si trovava l’azienda al momento in cui aveva ricevuto il finanziamento del Mediocredito Regionale rendeva non praticabile un programma di ammodernamento e ristrutturazione aziendale, per cui la distrazione delle somme non aveva rivestito alcun rilievo causale sul fallimento. Da qui il rigetto della domanda attorea di risarcimento per la mancanza di nesso di causalità fra la condotta di distrazione e i presunti danni invocati dal M., come pure di quella revocatoria, per l’inesistenza dei crediti tutelabili.

3.- Avverso detta sentenza ricorre per cassazione M.M., articolando quattordici motivi di ricorso.

Hanno resistito con distinti controricorsi la Banca Popolare di Milano, il B. e le eredi di C.V..

La Banca ed il B. hanno proposto ricorsi incidentali condizionati, a ciascuno dei quali il M. ha resistito con controricorso.

Il B. e le eredi del C. hanno depositato anche memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

2.- La corte d’appello ha rilevato, tra l’altro:

a) che la sentenza di primo grado – non contestata sul punto dall’attore M., in questa sede ricorrente principale – ne ha riconosciuto la legittimazione attiva “in ordine alla risarcibilità del danno morale quale conseguenza del discredito commerciale che gli è derivato dal fallimento della sua società, e del danno patrimoniale indiretto per la perduta possibilità di esercizio dei diritti di socio e per la mancata percezione degli utili conseguenti alla realizzazione del programma di investimento e alla ripresa della efficienza economica dell’azienda, venuta meno per l’assenza degli stessi”;

b) che “risulta dunque chiaro che, se l’illecito da cui trae causa la domanda di risarcimento è la distrazione delle somme erogate dal Mediocredito regionale, i danni dedotti dal M. non sono rappresentati dall’evento immediato del delitto, ma dalla conseguenza ulteriore che deriva dal fallimento della società” (così la sentenza impugnata, a pagina 12) e suo proprio;

c) che correttamente il tribunale aveva ritenuto che difettasse nesso causale tra la distrazione addebitata ai convenuti (la cui condanna era stata, peraltro, successivamente annullata dalla corte d’appello, che aveva anche assolto il B.) e il dissesto irreversibile dell’impresa, essendo difettata la prova, che incombeva al M., che le somme erogate a titolo di finanziamento e che si assumevano distratte potevano essere proficuamente adoperate in un’azione di rilancio dell’impresa attraverso investimenti produttivi;

d) che, secondo l’impostazione del M., il finanziamento aveva destinazione vincolata allo “espletamento di un programma di investimenti per il riequilibrio dell’assetto aziendale” (così la lettera B delle premesse del contratto di mutuo), ma che tuttavia dell’esistenza di tale programma egli non aveva dato prova alcuna, essendo al contrario emersa “tanto l’inesistenza di una concreta progettualità di investimenti, quanto l’intrinseca inidoneità dei mezzi predisposti dal contratto di mutuo per realizzare il progetto genericamente dichiarato” (pagina 13 della sentenza);

e) che, in particolare, la richiesta di mutuo, volta ad ottenere l’erogazione di L. 4,5 miliardi per concorso alle spese relative allo stabilimento di Apricena per “macchinari, impianti ed attrezzature”, recava la cancellazione della parola “programmati” in testa alla descrizione degli investimenti e non conteneva alcuna risposta alle domande, pur contemplate nel modulo, relative a “1. inizio ed ultimazione del programma; 2. produzione; 3. dipendenti; conti economici di previsione”; e la stessa gestione della pratica da parte del Mediocredito – laddove il funzionario dell’istituto, nell’esprimere parere favorevole alla concessione del mutuo, aveva riferito che la richiesta era volta al “rafforzamento dei capitali permanenti nell’ambito dei mezzi di terzi e al contenimento dei costi con possibilità di pianificazione dei rientri” – rivelavano che l’effettivo e non dichiarato scopo del finanziamento era stato, nella piena consapevolezza di tutti i soggetti intervenuti a richiederlo, approvarlo ed erogarlo, quello del consolidamento delle passività bancarie, piuttosto che di sostegno di un programma di investimenti, comunque mai dimostrato dal M. ed impossibile da attuare in relazione all’inidoneità strutturale dell’impresa, connotata da un rapporto tra vendite e debiti a breve tale che ad ogni L. 100 di fatturato risultavano corrisponderne 235 per debiti, dall’assenza di capitale proprio dei soci, da una schiacciante situazione debitoria, dalla soggezione ad interessi passivi aventi un’altissima incidenza;

f) che, ancora, l’assoluta incertezza dei conti aziendali, determinata dalle manchevolezze dell’amministrazione della società, rendeva imperscrutabile un destino dell’impresa diverso dal fallimento, che appariva dunque inevitabile.

3.- Il M. articola, come s’è detto, quattordici motivi di ricorso (sei sub 1, tre sub 2, uno sub 3, uno sub 4, due sub 5, uno sub 6).

4.- I primi sei – illustrati alle pagine da 23 a 100 del ricorso con i numeri da 1.1. a 1.6. – attengono all’individuazione dello scopo del contratto di finanziamento a medio termine, che la corte d’appello ha detto volto al ripianamento dei debiti a breve termine, piuttosto che ad investimenti produttivi.

Sono denunciati i seguenti vizi: col primo motivo e col secondo motivo, violazione e falsa applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale per non essersi la corte d’appello fermata all’inequivoco significato della lettera del contratto in violazione del principio c.d. del “gradualismo”, anche in relazione al fatto che per il contratto in questione il D.Lgs. n. 385 del 1993, prevede la forma scritta ad substantiam; col terzo e col quarto, rispettivamente, omessa ed insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dallo scopo del finanziamento; col quinto, omessa motivazione in ordine alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio; col sesto, contraddittoria motivazione ancora sullo scopo del finanziamento.

4.1.- I motivi sono inammissibili.

Quand’anche la sentenza avesse in ipotesi male qualificato lo scopo del finanziamento (ma le norme di ermeneutica contrattuale attengono all’individuazione del contenuto precettivo nei rapporti tra le parti e non nei confronti dei terzi), non ne risulterebbe comunque travolta la decisione. La quale ha respinto la domanda in ragione della mancanza di prova da parte del M., che assumeva la distrazione come fatto illecito dal quale era derivata l’impossibilità di investimenti produttivi e dunque il fallimento della società di fatto e suo proprio, che quell’impiego produttivo avrebbe evitato il fallimento. La corte territoriale ha, anzi, addirittura ritenuto che un impiego in investimenti produttivi non sarebbe stato neppure possibile in relazione al gravissimo dissesto finanziario della società, quale analiticamente evidenziato dai consulenti tecnici d’ufficio, anche in relazione a puntuali dati aritmetici.

Insomma, il fatto che sia stato in sentenza escluso che il finanziamento fosse in realtà volto, al di là del dato letterale, a sostenere un inesistente piano di investimenti, non è determinante ai fini della decisione, che si fonda sull’insussistenza di nesso causale tra mancato impiego del denaro in investimenti produttivi (perchè impossibili in relazione al gravissimo dissesto finanziario della società) e fallimento (che si sarebbe comunque verificato).

5.- I motivi dal settimo al nono – illustrati alle pagine da 100 a 129 del ricorso con i numeri da 2.1 a 2.3. – attengono all’aspetto dell’onere probatorio, che il ricorrente assume erroneamente posto a carico del M. in relazione al carattere di mutuo di scopo del finanziamento del 1985.

Vi si deduce: col settimo motivo (2.1.), violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per avere la corte ritenuto, vertendosi in ipotesi di mutuo di scopo, che costituisse onere del M. provare che la società finanziata avrebbe proficuamente impiegato il denaro in investimenti produttivi; con l’ottavo (2.2.), omessa motivazione sulla congruità dello scopo del finanziamento e sulla possibilità del mutuatario di conseguirlo in relazione alla sua situazione economico-patrimoniale al momento dell’erogazione; col nono (2.3.), omessa motivazione da mancata valutazione di decisive risultanze processuali sulla natura degli investimenti oggetto del finanziamento e sulla capacità incrementativa dell’efficienza aziendale della società di fatto finanziata.

5.1.- Il settimo motivo è inammissibile per le stesse ragioni sopra evidenziate.

Esso muove dall’insussistente presupposto che la corte d’appello abbia considerato il contratto un mutuo di scopo, o che dovesse considerarlo tale perchè lo scopo di investimento era chiaramente esposto in contratto; e che, dunque, chi “agisce per il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione dello scopo contrattuale di finanziamento” (così il quesito di diritto formulato a pagina 110 del ricorso) non sia tenuto a provare altro che la diversione dell’impiego (nella specie: ripianamento di debiti a breve termine) per ottenere il risarcimento da chi la diversione abbia operato.

Ma la corte di merito ha chiarito che il fatto generatore del danno prospettato come conseguente a lesione di diritti di cui l’attore era titolare (il termine “legittimazione” è impropriamente usato in questo senso) era stato il fallimento e che esso si sarebbe comunque verificato perchè un investimento produttivo volto ad evitarlo non era, in concreto, nè programmato nè possibile. Tanto vale a rendere evidente che, al di là della ravvisata anomalia costituita dall’essere stato il finanziamento dichiaratamente volto a sostenere investimenti ma in realtà destinato a ripianare i debiti a breve termine nella generale consapevolezza di tutti (incluso l’attore), sarebbe stato necessario provare che il fallimento era causalmente collegato alla diversione. Essendo questa prova mancata ed essendo per converso emerso il contrario, la diversione è in se stessa priva di autonoma rilevanza, benchè anch’essa in concreto esclusa laddove la corte d’appello ha affermato che la diversione concettualmente presuppone l’alternativa di un impiego diverso da quello attuato (pagina 15, secondo capoverso della sentenza).

5.2.- L’ottavo motivo, strettamente collegato al precedente, è inammissibile perchè anch’esso vertente sull’apprezzamento della congruità del finanziamento rispetto alla scopo di operare proficui investimenti produttivi; congruità che si assume già valutata a monte dall’ente finanziatore nel procedimento pubblicistico anteriore alla stipulazione del contratto e non suscettibile di essere revocata in dubbio fino all’annullamento dell’atto presupposto.

La valutazione dell’ente finanziatore (ma la sentenza chiarisce come gli atti relativi a quel procedimento rivelassero che, in realtà, il Mediocredito era consapevole di una destinazione del finanziamento diversa da quella dichiarata) è irrilevante in relazione ai diritti fatti valere in giudizio dal M..

5.3.- Il nono motivo è manifestamente infondato.

L’assunto che la motivazione sarebbe omessa per non avere, in sostanza, la corte considerato che nella domanda di finanziamento del 2.12.1985 era indicato che esso sarebbe stato destinato a “macchinari, impianti ed attrezzature” da parte di una società che si occupava di “estrazione e lavorazione della pietra” e che disponeva di un fondo a vocazione estrattiva di notevoli dimensioni, è in contrasto con l’avvenuto esame del contenuto della domanda anche in parte qua (alle ultime tre righe di pagina 12 e alle prime due di pagina 16 della sentenza impugnata) e con la considerazione da parte della corte d’appello delle ben più sintomatiche circostanze cui s’è fatto sopra riferimento (sub 2., lettera “e” della presente motivazione).

6.- Il decimo motivo – illustrato alle pagine da 129 a 145 del ricorso e contrassegnato dal n. 3 – censura la motivazione della sentenza nella parte in cui ha fatto derivare l’assoluta incertezza sui conti aziendali da supposte manchevolezze dell’amministrazione della società, facendole ridondare a danno dell’attore, cui non era imputabile nè la mancanza del libro giornale e degli inventari, nè la conseguente inattendibilità delle scritture contabili.

6.1.- Il motivo è manifestamente infondato.

Che manchevolezze e mancanze fossero o no imputabili ad alcuno, fatto sta che competeva all’attore l’onere probatorio in ordine ad una situazione dell’assetto finanziario della società compatibile con l’identificazione della causa del fallimento nella diversione del finanziamento, e che tale prova non è stata data da chi ha agito per il risarcimento.

7.- L’undicesimo motivo – illustrato alle pagine da 145 a 149 del ricorso e contraddistinto col n. 4 – censura la sentenza per contraddittoria motivazione laddove, pur avendo riconosciuto l’oggettiva inattendibilità dei risultati contabili della consulenza tecnica d’ufficio (alle pagine 20 e 21 della sentenza impugnata), ne avrebbe tuttavia fatto derivare, apoditticamente ed illogicamente, il rigetto della domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non. 7.1.- Anche questo motivo è manifestamente infondato.

La corte d’appello non ha affatto considerato inattendibili le conclusioni dei consulenti tecnici d’ufficio. Le affermazioni relative alla carenza della situazione contabile ed alla assoluta incertezza dei conti aziendali (alla quindicesima e sedicesima riga di pag. 20 ed alla decima di pag. 21) fanno seguito all’analiticamente e puntualmente motivata conclusione, raggiunta proprio sulla base della espletata consulenza, che la società “era avviata inesorabilmente al fallimento indipendentemente dalle modalità di utilizzazione del mutuo” (undicesima e dodicesima riga di pag. 20). E sono fatte in relazione al mancato assolvimento, da parte dell’attore, all’onere probatorio che gli incombeva ed all’inutile ricerca da parte dei consulenti di elementi che consentissero di escludere, e non già di affermare, un destino dell’impresa diverso dal fallimento; come inequivocamente si evince dalle considerazioni che precedono e seguono le espressioni sulle quali il ricorrente, prescindendo dall’impianto motivazionale, fonda la propria censura.

8.- Il dodicesimo e tredicesimo motivo – illustrati alle pagine da 174 a 189 del ricorso sub 5.1. e 5.2., dopo una premessa sub 5. che occupa le pagine da 149 a 174 – investono il tema del nesso di causalità fra fatto storico allegato e danno lamentato.

8.1.- Con il dodicesimo sono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 1223 cod. civ. e artt. 40 e 41 cod. pen.. Sulla scorta della premessa che non è consentito negare il nesso eziologico rispetto ad una causa solo perchè è ignoto il grado di efficienza causale di un’altra, si sostiene che proprio questo è accaduto nel caso di specie, avendo la corte d’appello escluso che la diversione del finanziamento fosse causa dell’evento lamentato in quanto era ignoto se l’evento non si sarebbe ugualmente verificato in ragione dell’incertezza della situazione aziendale di partenza.

Il motivo è manifestamente infondato.

Implicito presupposto ne è che la diversione fosse una concausa; che cioè essa avesse aggravato, in misura ignota ma tuttavia certamente sussistente, lo stato di decozione che aveva poi determinato il fallimento. Ma la corte d’appello ha negato che sul fallimento avesse eziologicamente inciso la destinazione del finanziamento al risanamento dei debiti, anzichè all’investimento in beni produttivi.

Ha infatti ritenuto che unica causa del fallimento fosse stato l’insanabile stato di dissesto nel quale la società già profondamente versava, opinando che esso si sarebbe comunque verificato e che l’investimento in beni produttivi non lo avrebbe comunque evitato.

Non ha dunque fatto applicazione del principio dell’equivalenza delle concause in tema di accertamento della sussistenza di causalità materiale tra il fatto (rectius, uno dei fatti) ed il cosiddetto evento di danno, ma ha escluso che il fatto indicato dall’attore come causa (diversione del finanziamento) dell’evento (fallimento) avesse eziologicamente concorso al suo verificarsi.

9.- Col tredicesimo motivo si assume, denunciandosi omessa motivazione sul punto decisivo, che la corte d’appello non abbia valutato determinanti risultanze processuali che, se considerate, la avrebbero indotta a concludere che il fallimento sarebbe state evitato. Tali risultanze sono indicate nel documento del Mediocredito nel quale si affermava che “l’azienda, nonostante tutte le difficoltà in cui si dibatte da diverso tempo, dimostra vitalità e grinta notevoli” ed in quello della Banca Popolare, che aveva espresso un parere nel senso che “il finanziamento dovrebbe consentire all’azienda, nell’ottica di un piano di risanamento globale, di superare il momento critico che da alcuni esercizi sta attraversando”.

9.1.- Il motivo è manifestamente infondato.

Le dedotte circostanze non solo sono state valutate dalla corte territoriale mediante il riferimento alla condivise conclusioni della consulenza tecnica che le aveva considerate, ma non solo valse ad elidere la convinzione della corte di merito – quale inequivocamente traspare dalla lettura della sentenza e fondata sui già richiamati obiettivi dati di fatto – che il finanziamento fu erogato per sopperire a mere esigenze di ripianamento dei debiti a breve, nella consapevolezza diffusa che a non altro che a questo poteva servire.

Convinzione implicante un puro apprezzamento di merito e niente affatto apodittica in relazione alla condivisa conclusione dei consulenti tecnici d’ufficio che “la situazione aziendale non era assolutamente idonea a sostenere un piano di ammodernamento e ristrutturazione e, conseguentemente, a ricavarne i prospettati benefici in termini di ripresa produttiva”.

10.- Col quattordicesimo ed ultimo motivo – illustrato sotto il n. 6, alle pagine da 182 a 186 del ricorso – sono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 192 e 193 cod. pen., in relazione alla revocatoria penale esperita dal M. contro le convenute C. e F. e disattesa nel merito dalla corte d’appello per la “accertata inesistenza della pretesa creditoria posta a base di quella azione. Si afferma che, per consolidata giurisprudenza, anche il credito eventuale e litigioso può essere posto a base di un’azione revocatoria e che, dunque, solo l’inesistenza del credito accertata con sentenza passata in giudicato avrebbe potuto giustificare il rigetto della relativa domanda.

10.1.- La manifesta infondatezza del motivo è correlata – oltre che al rilievo che gli artt. 192 e 193 c.p. hanno riguardo agli atti dispositivi compiuti dal “colpevole” dopo il reato, e che un giudizio di colpevolezza a carico del C. non è mai intervenuto – alla considerazione che se è vero che l’inefficacia degli atti dispositivi del debitore possono (alle condizioni previste dalla legge) essere dichiarati inefficaci nei confronti del creditore anche per crediti eventuali e non ancora accertati, tanto non giustifica punto l’argumentum a contrario che la relativa domanda debba essere accolta indipendentemente dall’apprezzamento da parte del giudice dell’esistenza del credito. Sicchè la domanda di chi agisca in revocatoria è correttamente rigettata se il credito presupposto sia dichiarato inesistente dal medesimo giudice chiamato a riconoscerlo sulla base di una domanda risarcitoria contestualmente respinta.

11.- Il ricorso principale va conclusivamente respinto.

I ricorsi incidentali condizionati sono assorbiti.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbiti quelli incidentali condizionati e condanna M.M. alle spese del giudizio di cassazione, che per ciascuna parte controricorrente liquida in Euro 50.200,00, di cui Euro 50.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori dovuti per legge.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2010

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