Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14069 del 07/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 07/07/2020, (ud. 14/02/2020, dep. 07/07/2020), n.14069

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26597-2018 proposto da:

BANCA MONTE PASCHI DI SIENA SPA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. CARO 62,

presso lo studio dell’avvocato SIMONE CICCOTTI, rappresentata e

difeso dagli avvocati RICCARDO ZANOTTI, MICHELE ZANOTTI;

– ricorrente –

contro

MAR.ZINC. M.Z. SRL, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 12,

presso lo studio dell’avvocato GIULIO MICIONI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ROBERTO FAZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1289/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 07/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO

LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte,

rilevato che:

con sentenza del 7/6/2018 la Corte di appello di Firenze ha respinto, con aggravio delle spese del grado, l’appello proposto dalla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (di seguito MPS) avverso la sentenza del 10/5/2016 del Tribunale di Grosseto, che aveva accolto la domanda di ripetizione di indebito proposta dalla s.r.l. M.Z. relativa alle poste applicate in alcuni conti correnti ordinari e conti anticipi intercorsi fra le parti per usurarietà e anatocismo dei tassi pattuiti ed applicati, condannando la Banca al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 310.000,00, oltre accessori e spese; avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso la Banca, svolgendo quattro motivi, al quale ha resistito con controricorso la M.Z., chiedendone la dichiarazione di inammissibilità o rigetto;

in data 7/1/2020 il Consigliere relatore ha proposto ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. la trattazione in camera di consiglio non partecipata, previa delibazione della manifesta fondatezza del primo e del secondo motivo di ricorso;

la controricorrente illustrato con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, le proprie difese;

rilevato inoltre che:

con il primo motivo, in punto eccezione di prescrizione, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 115 c.p.c., artt. 2935,2033 e 2697 c.c., perchè la Corte di appello le aveva accollato l’onere di provare non solo la natura solutoria dei pagamenti ricevuti, ma anche la inesistenza di un rapporto di affidamento in atto;

con il secondo motivo, in punto eccezione di prescrizione, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 2935,2033 e 2697 c.c. perchè la Corte di appello le aveva accollato l’onere di indicare le singole rimesse di natura solutoria, mentre era sufficiente alla parte che eccepiva la prescrizione l’allegazione del decorso del tempo nell’inerzia del titolare del diritto e la manifestazione della volontà di volerne profittare;

la Corte di appello ha affermato che la Banca che eccepisce la prescrizione a fronte della domanda di ripetizione di indebito proposta dal correntista deve dimostrare l’assenza di affidamenti in conto corrente e individuare le specifiche rimesse solutorie, indicandone le ragioni;

entrambe le predette affermazioni contrastano con i principi ormai consolidati della giurisprudenza di questa Corte;

l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati; ciascun versamento infatti non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacchè il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens (Sez. U, n. 24418 del 02/12/2010, Rv. 615489 – 01);

è stato chiarito anche che l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (Sez. U, n. 15895 del 13/06/2019, Rv. 654580 – 01);

per altro verso, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che, la decorrenza della prescrizione è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio, dei versamenti effettuati dal cliente, e matura sempre dalla data del pagamento, qualora il conto risulti in passivo e non sia stata concessa al cliente un’apertura di credito, oppure i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento; ne discende che, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel versamento come mero ripristino della disponibilità accordata (Sez. 1, n. 2660 del 30/01/2019, Rv. 652622 – 01; Sez. 1, n. 27704 del 30/10/2018, Rv. 651326 – 01; Sez. 1, n. 18144 del 10/07/2018, Rv. 649902 – 01);

l’onere della prova dell’esistenza di un rapporto di apertura di credito (a forma libera prima dell’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, art. 3, che ha acquistato efficacia, in virtù di quanto stabilito dalla L. cit., art. 11, comma 4, 120 giorni dopo l’entrata in vigore della legge medesima, pubblicata sulla G.U. del 24/2/1992) compete quindi al cliente e non alla Banca, anche se è stato recentemente puntualizzato che il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purchè ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perchè la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto (Sez. 1, n. 31927 del 06/12/2019, Rv. 656479 – 01);

non persuadono le obiezioni sollevate dalla controricorrente con la memoria del 28/1/2020, che insiste particolarmente sulla corretta lettura della portata della sentenza delle Sezioni Unite n. 15895 del 2019, che aveva spostato il problema dall’ambito dell’allegazione a quello della prova, e tratta ampiamente delle risultanze istruttorie, e in particolare della consulenza tecnica d’ufficio, in base alle quali la Banca non avrebbe comunque soddisfatto il proprio onere probatorio;

la sentenza impugnata ha risolto erroneamente la controversia attribuendo alla Banca l’onere di dimostrare l’inesistenza di affidamenti (tema di evidente rilevanza per le ricadute sulla qualificazione della nature delle rimesse, ripristinatorie o solutorie, in corso di rapporto) e sollevando il cliente dall’onere della prova in tal senso;

tale errore giustifica la cassazione in parte qua della sentenza impugnata e competerà al giudice del rinvio l’accertamento di merito in ordine alla valutazione delle risultanze istruttorie nel diverso scenario ingenerato dalla corretta attribuzione dell’onere probatorio;

con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., e sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere ” non contestato” il fatto che i conti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS) fossero stati chiusi in data 7/5/2001;

la censura è inammissibile, perchè il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione assumendo la sussistenza di un comportamento processuale della controparte in tal senso rilevante, tale da espungere il fatto dall’ambito del controverso e da escludere il bisogno di prova ex art. 115 c.p.c., in virtù del principio di autosufficienza non può prescindere dalla trascrizione degli atti processuali che ne integrerebbero i presupposti, dal momento che l’onere di specifica contestazione, a opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova (Sez.3, 05/03/2019, n. 6303);

ciò tanto nel caso in cui il ricorrente lamenti l’erronea qualificazione da parte del giudice del merito di un fatto come non contestato, quanto nel caso, che ricorre nella presente fattispecie, in cui il ricorrente lamenti la mancata qualificazione del fatto come non contestato da parte del Giudice del merito, benchè fosse stato specificamente allegato e la controparte non lo avesse specificamente contestato;

la ricorrente non indica quali sarebbero i fatti precisi allegati, non contestati o contestati solo genericamente o addirittura ammessi dalla controparte, che potrebbero essere posti a base della decisione in quanto esonerati dalla prova, nè dà conto con precisione dell’atto processuale con cui avrebbe formulato l’allegazione specifica e dei correlativi atti processuali in cui coglie la non contestazione di controparte;

con il quarto motivo la ricorrente lamenta omesso esame di fatto decisivo controverso tra le parti con riferimento al contenuto della bozza di relazione di consulenza tecnica d’ufficio del 9/10/2014;

il motivo è palesemente inammissibile sia perchè non si tratta evidentemente di elemento decisivo, trattandosi di un atto interno e interlocutorio del sub-procedimento di consulenza tecnica d’ufficio sottoposto ex art. 195 c.p.c., alla dialettica del contraddittorio e superato da una relazione finale di contenuto diverso, rielaborata alla luce delle osservazioni formulate dalle parti, sia perchè non vi è stato affatto l’omesso esame prospettato, visto che la Corte territoriale, nell’ambito dell’esame del primo motivo di appello, ha appunto considerato l’esistenza del contrasto fra la “bozza” e la relazione finale del Consulente tecnico, ritenendo che tale circostanza non fosse idonea a inficiare come inattendibile la relazione finale;

ritenuto pertanto:

che debbano essere accolti il primo e il secondo motivo di ricorso, inammissibili gli altri due, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata e il rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili il terzo e il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 14 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2020

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