Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14068 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/06/2011, (ud. 31/05/2011, dep. 27/06/2011), n.14068

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Cassa Rurale Levico Terme, banca di credito cooperativo,

elettivamente domiciliata in Roma, Viale Angelico 103, presso lo

studio dell’avv. Letizia Massimo, che la rappresenta e difende giusta

delega in atti unitamente all’avv. Alberto Paoletto;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze ed Agenzia delle Entrate,

domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Trento,

n. 69/05 del 25/5-1/6/2005.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/5/2011 dal Relatore Cons. Dr. Francesco Tirelli;

Udito l’avvocato Letizia;

Sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo

del ricorso, assorbiti gli altri;

La Corte:

Fatto

OSSERVA

quanto segue:

Con atto notificato il 16/2/2006, la banca di credito cooperativo Cassa Rurale Levico Terme ha proposto ricorso contro la sentenza in epigrafe indicata, chiedendone la cassazione con ogni consequenziale statuizione.

Il Ministero dell’economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno resistito con controricorso e la controversia è stata decisa all’esito della pubblica udienza del 31/5/2011.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Dalla lettura della sentenza impugnata, del ricorso e del controricorso emerge in fatto che le Casse Rurali della Provincia di Trento si sono accordate con la Federazione Trentina Cooperative per la gestione in forma associata della pubblicità relativa ad eventi eccedenti l’ambito territoriale dei singoli Istituti.

A questo proposito è stato stabilito che la scelta delle manifestazioni da sponsorizzare sarebbe stata effettuata da un apposito onte paritetico denominato Comitato Comprensoriale, mentre tutte le restanti attività, quali la conclusione dei necessari contratti, il loro pagamento o la ripartizione delle spese fra le vario Casse sarebbero state svolte dalla Federazione, in esecuzione di tale accordo, quest’ultima ha pertanto provveduto a contattare i fornitori, a saldare le relative fatture, ad inserirne l’importo fra i costi, a detrarne l’Iva ed a farsi rifondere pro quota dai singoli Istituti mediante emissione nei loro confronti di separate fatture con addebito d’IVA. Nell’anno 1995 è però intervenuta una modifica operativa, in forza della quale la Federazione ha cominciato a non detrarsi più l’imposta versata ai fornitori ed a farsi rimborsare dalle varie Casse senza addebito d’IVA. Questo nuovo sistema, tuttavia, non è apparso corretto alla Guardia di Finanza, che nell’anno 2001 ha elevato processo verbale con il quale ha sostenuto che quello intercorso tra le parti era stato un rapporto di mandato senza rappresentanza e che sulle fatture emesse dalla Federazione avrebbe dovuto essere pertanto applicata anche l’IVA. L’Ufficio ha recepito il rilievo, notificando alla Cassa Rurale Levico Terme due distinti, avvisi con cui le ha contestato, per gli anni 1996/97, l’omessa regolarizzazione delle predette fatture e l’infedele dichiarazione dell’IVA, Invitandola al pagamento di complessive L. 21.223.000 a titolo d’imposta ed accessori.

ha Cassa Rurale li ha impugnati davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Trento e dopo aver ricordato che per evitare un lungo contenzioso, la Federazione aveva già provveduto al versamento delle imposte e delle sanzioni, ha puntualizzato che quello ad essa conferito era stato un mandato con rappresentanza e che, da parte sua, non aveva provveduto alla regolarizzazione delle fatture non soltanto perchè non ne ricorrevano i presupposti, ma anche perchè il destinatario non era tenuto a controllare l’esattezza delle valutazioni compiuto dall’emittente in ordine alla non imponibilità dell’operazione.

Tenuto conto di quanto sopra ed aggiunto, altresì, che il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, aveva modificato il sistema sanzionatorio previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, eliminando l’obbligo del pagamento dell’imposta che, oltretuttto, era già stata incassata due volte dall’Amministrazione, ha quindi concluso per l’annullamento degli atti impugnati perchè illegittimi ed infondati.

L’Ufficio ha difeso la correttezza del proprio operato sottolineando in particolare, che la modifica introdotta dal D.Lgs n. 471 del 1997 non aveva riguardato il tributo, ma la sanzione, alla cui applicazione la controparte non poteva pretendere di sottrarsi perchè pur non essendo tenuta a sindacare le conclusioni giuridiche dell’emittente, aveva comunque l’obbligo di verificare se sussistevano davvero i presupposti per la non assoggettabilità delle fatture all’IVA. La Commissione Provinciale ha riunito i ricorsi, accogliendoli con sentenza che l’Ufficio ha impugnato, ribadendo le tesi già esposte in precedenza.

La Cassa Rurale ha depositato controdeduzioni e la Commissione Regionale ha innanzitutto stabilito che dovendosi avere riguardo alla sostanza del rapporto più che alle definizioni ad esso date dalle parti, non poteva assolutamente parlarsi di mandato con rappresentanza, visto che non vi era stata una vera procura, che la federazione aveva sempre contattato in nome proprio i fornitori e che questi, ultimi non avevano emesso tante fatture quante erano le Casse interessate, ma una sola, intestandola alla Federazione che ne aveva suddiviso l’importo fra le mandanti non “in base al costo ipoteticamente anticipato per ciascuna di esse, bensì secondo una quota forfettaria di quanto complessivamente stanziato in bilancio per la pubblicità comprensoriale”.

Ciò posto e condiviso quanto affermato dall’Ufficio in ordine al fatto che la novella di cui al D.Lgs n. 471 del 1997 aveva inciso soltanto sulla misura della pena pecuniaria, la Commissione Regionale ha da ultimo precisato che il compito demandato al destinatario delle fatture non consisteva nel sovrapporre le proprie valutazioni a quelle dell’emittente, ma nel regolarizzare le operazioni con il versamento dell’IVA su di esse dovute.

Per tali motivi, ha quindi accolto l’appello erariale, condannando la contribuente al pagamento delle spese di lite.

La Cassa Rurale ha proposto ricorso per cassazione, deducendo con il primo motivo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, che nel l’interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità non imponeva affatto al destinatario della fattura di accertare la decenza o meno dell’imposta, ma soltanto di supplire alle mancanze eventualmente commesse dall’emittente nella identificazione dell’atto negoziale o nella esposizione degli altri, dati fiscalmente rilevanti.

Con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6 e D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, in quanto al Commissione Regionale avrebbe dovuto riconoscere che nella parte in cui prevedeva anche l’obbligo di pagamento dei tributo, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, comminava, in realtà, una sanzione impropria ormai abolita dall’art. 6, sopra indicato e, quindi, non più applicabile di sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, secondo il quale fra più sanzioni succeduteci nel tempo, doveva applicarsi quella più favorevole all’incolpato.

Con il terzo motivo, la ricorrente ha dedotto la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla natura del rapporto intercorso con la Federazione, che la Commissione Regionale avrebbe dovuto qualificare come mandato con rappresentanza se avesse attentamente ponderato la documentazione in atti e, segnatamente, la comunicazione in data 1/8/1995, il mandato successivamente rilasciato in conformità, la cointostazione delle fatture dei fornitori anche al Comitato Comprensoriale e l’espresso richiamo al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, operato dalla federazione per giustificare la non applicazione dell’IVA sulle fatture emesse nei confronti delle Casse.

Con il quarto motivo, la ricorrente ha infine dedotto la nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine al fatto che l’Ufficio aveva già percepito due volte l’IVA dalla federazione, per cui non poteva pretendere un ulteriore pagamento che avrebbe addirittura portato ad una triplicazione dell’introito.

Così riassunto il contenuto del ricorso, di cui i controricorrenti hanno richiesto il rigetto e cominciando con l’esame del terzo motivo, che va scrutinato per primo in ragione: della sua priorità logico-giuridica, osserva il Collegio che l’interpretazione dei contratti oggetto della controversia è riservata al giudice di merito, le cui conclusioni non sono sindacabili in cassazione se non sotto il profilo della violazione di legge o della insufficienza della motivazione (C. cass. 2002/8577, 2004/3296, 2006/3075, 2007/417S, 2008/13513 e 200 9/129624).

Nel caso di specie, la Cassa Rurale non ha imputato alla Commissione Regionale alcuna violazione di legge, ma soltanto delle carenze motivazionali che, però, non sussistono in quanto i giudici a quo hanno ricostruito la vicenda in modo chiaro e coerente sottolineando, in definitiva, che anche a prescindere dal contenuto niente affatto decisivo del mandato rilasciato dalla Cassa alla Federazione, non vi ora comunque stato, nei rapporti esterni coi terzi, alcun cambiamento capace di comprovare l’effettivo abbandono del sistema precedente in favore di uno nuovo caratterizzato dalla spendita del nome dello mandanti e dalla totale; estraneità della mandataria ai diritti ed agli obblighi derivanti dai contratti a suo mezzo stipulati.

Trattandosi di conclusione adeguatamente argomentata, cui questa Corte non potrebbe preferirne un’altra senza sconfinare nel merito, il terzo motivo va, pertanto, rigettato al pari, del resto, del primo, a proposito del quale è sufficiente ricordare che proprio la giurisprudenza citata dalla ricorrente (v., espressamente in tal senso, C. cass. 200813513 nonchè, sia pure per implicito, C. cass. 2009/19624), riconosce l’obbligo del destinatario di procedere alla regolarizzazione della fattura nei casi in cui, come quello in esame, l’emittente abbia dato al negozio sottostante una qualificazione diversa da quella dovuta, che nel caso di specie la cassa ricorrente non poteva ignorare, stante la sua qualità di parte del rapporto.

Il secondo motivo è invece fondato, avendo le Sezioni Unite di questa Corto confermato l’indirizzo secondo il quale l’obbligo imposto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, di pagare anche il tributo nelle ipotesi di mancata regolarizzazione delle operazioni costituiva una sanzione impropria (C. cass. SU 2010/26126 e 26127), che ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, non poteva più essere applicata dopo l’entrata in vigore del D.Lgs n. 471 del 1997, art. 6, comma 8.

In accoglimento del secondo motivo e dichiarato assorbito il quarto, la sentenza impugnata dev’essere pertanto cassata senza rinvio, perchè non essendo necessario alcun ulteriore accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito con l’affermazione dell’obbligo della Cassa di pagare soltanto una sanzione pari al cento per cento dell’imposta.

La reciproca soccombenza parziale giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte, rigetta il primo ed il terzo motivo del ricorso, accoglie il secondo e dichiarato assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai profilo accolto e, decidendo nel merito, riduce la sanzione complessivamente dovuta dalla Cassa ad una somma pari al cento per cento dell’imposta. Compensa fra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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