Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14066 del 23/05/2019

Cassazione civile sez. lav., 23/05/2019, (ud. 12/03/2019, dep. 23/05/2019), n.14066

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13018-2016 proposto da:

C.N.R. CONSIGLIO NAZIONALE RICERCHE, in persona del legale

rappresentante pro tempore domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

GENERALE DELLO STATO, che ope legis;

– ricorrente –

contro

M.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DARDANELLI

37, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO NARDOZZA, che la

rappresenta e difende;

ASSICURAZIONI GENERALI ITALIA S.P.A., già INASSITALIA S.P.A.

incorporante ALLEANZA TORO S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, che la

rappresenta e difende;

TEAM SERVICE S.C.A.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO BARTOLOMEI 23,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO SAVERIO IVELLA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO IVELLA;

– controricorrenti –

e contro

ASSICURAZIONI GENERALI BUSINESS SOLUTIONS S.P.A., ISTITUTO NAZIONALE

PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 7546/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/11/2015 R.G.N. 997/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/03/2019 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ALFONSO PELUSO;

udito l’Avvocato ENRICO IVELLA;

udito l’Avvocato FABRIZIO DE’ MARSI per delega Avvocato SVEVA

BERNARDINI;

udito l’Avvocato MASSIMO NARDOZZA.

Fatto

Con sentenza 16 novembre 2015, la Corte d’appello di Roma condannava il Consiglio Nazionale delle Ricerche (C.N. R.) al pagamento, in favore di M.I. a titolo risarcitorio per l’infortunio occorsole sul lavoro il (OMISSIS), della somma di Euro 30.095,00, già rivalutati, oltre interessi legali: così riformando la sentenza di primo grado, che ne aveva invece rigettato le domande di accertamento della responsabilità dell’infortunio, ai sensi dell’art. 2087 c.c., del datore di lavoro C.N.R. e di sua condanna, in solido con l’Inail, al risarcimento del danno biologico, nonchè in via esclusiva al risarcimento del danno differenziale inclusivo di spese mediche, danno morale, esistenziale ed estetico.

A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva la responsabilità datoriale per non avere provveduto all’adozione di misure organizzative (disposizione dell’esecuzione dei lavori di pulizia, appaltati a Team Service s.c.ar.l., al di fuori dell’orario di lavoro o con modalità non interferenti con le attività abituali degli impiegati) adeguatamente protettive della dipendente M., che era scivolata e caduta sul pavimento bagnato in corso di pulizia, riportando la frattura sottocapita dell’anca sinistra trattata chirurgicamente con mezzi metallici e osteosintesi, da cui conseguivano postumi invalidanti accertati dalla C.t.u. medico-legale di natura permanente in misura del 12% secondo i criteri civilistici (del 13% come danno biologico di competenza Inail) e di natura temporanea totale pari a sessanta giorni e parziale al 50% di novanta.

Essa escludeva invece, sulla base delle scrutinate risultanze istruttorie, la responsabilità della società appaltatrice (che aveva provveduto ad avvisare del pericolo la lavoratrice, con debita apposizione di segnali e l’avvertimento diretto del materiale esecutore della pulizia del pavimento, mentre era in corso), terza chiamata in giudizio e della sua assicuratrice, da quella convenuta.

In base poi alle tabelle milanesi e previa demoltiplicazione per l’età (di sessantasei anni), la Corte capitolina liquidava il danno biologico, comprensivo di quello estetico, nella complessiva somma di C 34.875,00 (di cui Euro 24.795,00 per invalidità permanente e Euro 10.080,00 per invalidità temporanea) e quello morale in misura del 20%; oltre a Euro 1.056,80 per spese mediche ritenute congrue dal C.t.u..

Dalla complessiva somma di Euro 40.890,80 così determinata a titolo risarcitorio, essa infine detraeva, in funzione del danno cd. differenziale a carico datoriale, l’importo di Euro 10.795,00 per danno biologico riconoscibile dall’Inail (superiore a quello effettivamente erogato, non dovendo il datore di lavoro essere onerato dell’inerzia della lavoratrice infortunata nel richiedere la revisione della rendita corrisposta), così definitivamente liquidando ad M.I. la somma di Euro 30.095,00, già rivalutata all’attualità oltre interessi legali.

Con atto notificato il 16 maggio 2016, C.N.R. ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui resistevano con distinti controricorsi la lavoratrice, Team Service s.c.ar.l. e Generali Italia s.p.a.; non svolgeva invece difese l’Inali, pure intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 434 c.p.c., quale error in procedendo, per difetto di uno specifico motivo d’appello censurante la seconda ratio decidendi della sentenza del Tribunale, di esclusione della responsabilità datoriale ai sensi dell’art. 2087 c.c. (la prima riguardando la riconducibilità dell’infortunio ad un’imprudente esecuzione dall’appaltatrice della pulizia del pavimento) per obiettiva incertezza della causa del sinistro sulla base delle risultanze istruttorie, con sostituzione della corte d’appello all’onere della parte impugnante.

2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 1665 c.c., in combinato disposto, per erronea attribuzione di responsabilità al datore di lavoro, nella sostanza di natura oggettiva, sotto il profilo della mancata adozione di idonea cautela organizzativa, per non aver disposto l’esecuzione dei lavori di pulizia, commessi alla terza Team Service s.c.ar.l. (essa eventualmente responsabile in via esclusiva, se non scelta con colpa dal committente ovvero mera esecutrice dei suoi ordini), al di fuori dell’orario di lavoro o con modalità non interferenti con le attività abituali degli impiegati.

3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., per l’erronea assunzione della violazione di una regola di prudenza generica, recessiva a fronte dell’accertato rispetto di tutte le misure di sicurezza (avviso del pericolo alla lavoratrice, con debita apposizione di segnali e avvertimento diretto del materiale esecutore della pulizia del pavimento, mentre essa era in corso) nell’esecuzione dell’attività pericolosa di pulizia dei pavimenti, appaltata a società terza.

4. Con il quarto, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., quale error in procedendo, per omessa pronuncia sulla subordinata domanda di C.N.R. di condanna della società appaltatrice a tenerla indenne da quanto sarebbe stata eventualmente tenuta a corrispondere alla dipendente.

5. Il primo motivo, relativo a nullità della sentenza per violazione dell’art. 434 c.p.c. quale error in procedendo, per difetto di uno specifico motivo d’appello censurante la seconda ratio decidendi della sentenza del Tribunale, è inammissibile.

5.1. Esso difetta di specificità, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, in assenza della trascrizione integrale dei motivi d’appello (Cass. 12 maggio 2010, n. 11477; Cass. 10 gennaio 2012, n. 86; Cass. 20 luglio 2012, n. 12664; Cass. 13 marzo 2018, n. 6014), tanto più a fronte della pur sintetica ma inequivoca esposizione dalla Corte territoriale del primo motivo di appello (“di responsabilità ai sensi dell’art. 2087 c.c., del datore di lavoro nella causazione dell’infortunio, come ricostruito dai testi escussi, oltre che dalle ammissioni dello stesso CNR nelle note interne…”: p.to 2.1. della sentenza).

6. Il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 1665 c.c., per erronea attribuzione di responsabilità all datore di lavoro sotto il profilo di mancata adozione di idonee cautele organizzative nella disposizione dell’esecuzione dei lavori di pulizia appaltati a Team Service s.c.ar.l.) ed il terzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., per erronea assunzione della violazione di una regola di prudenza generica, recessiva a fronte dell’accertato rispetto di tutte le misure di sicurezza nell’esecuzione della pulizia dei pavimenti) possono essere congiuntamente esaminati per ragioni di stretta connessione.

6.1. Essi sono fondati.

6.2. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, la responsabilità dell’imprenditore ai sensi dell’art. 2087 c.c., non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, senza tuttavia essere circoscritta alla violazione di regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, posto che essa è sanzionata anche, alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, per l’omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica del lavoratore medesimo nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico (Cass. 3 agosto 2012, n. 13956; Cass. 5 agosto 2013, n. 18626; Cass. 24 ottobre 2017, n. 25151; Cass. 5 luglio 2018, n. 17668).

Si comprende allora come l’obbligo di prevenzione posto dall’art. 2087 c.c., imponga al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per la tutela del lavoro in base all’esperienza e alla tecnica. Peraltro, dalla norma in esame non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia verificato, occorrendo invece che l’evento sia riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento imposti da fonti legali o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuati (Cass. 12 luglio 2004, n. 12863; Cass. 8 ottobre 2018, n. 24742; Cass. 19 ottobre 2018, n. 26495).

6.3. Ebbene, nel caso di specie, è mancata proprio una tale concreta individuazione della regola di prudenza adottabile, siccome idonea a tutelare nel luogo di lavoro l’integrità psicofisica della lavoratrice (scivolata e caduta sul pavimento bagnato in corso di pulizia, nonostante la debita apposizione da parte dell’impresa appaltatrice del servizio di segnali e l’avvertimento diretto del materiale esecutore della pulizia del pavimento). Ed infatti la Corte territoriale, una volta esclusa la responsabilità dell’appaltatrice per avere “posto in essere tutte le cautele necessarie richieste dalla lavorazione ed… avvisato del pericolo con cartelli e comunicazioni verbali” (così al primo capoverso di pg. 5 della sentenza), ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per non avere seguito “una regola di comune prudenza” che “avrebbe dovuto consigliare l’esecuzione dei lavori di pulizia al di fuori dell’orario di servizio o con modalità tali da non interferire con le abituali attività degli impiegati” (così al quarto capoverso di pg. 5 della sentenza).

Ma una tale affermazione suona astratta e denuncia la mancanza di un concreto accertamento in fatto in ordine alla necessità, in assenza di una diversa alternativa, del passaggio della lavoratrice nonostante il divieto manifestatole, così individuando una misura idonea concretamente adottabile dal datore, tale da configurare un suo inadempimento colpevole ad un obbligo esigibile.

Sicchè, ricorre la violazione di una regola di prudenza innominata quando essa sia debitamente qualificata, in modo da integrare il precetto dell’art. 2087 c.c., ma non quando consista in una mera affermazione, disancorata da un accertamento in fatto in ordine alla sua necessità per l’inidoneità della misura adottata.

7. Il quarto motivo, relativo a nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., quale error in procedendo per omessa pronuncia sulla subordinata domanda di manleva di C.N.R. nei confronti della società appaltatrice, è assorbito.

8. Dalle superiori argomentazioni discende l’accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, con rigetto del primo ed assorbimento del quarto, con la cassazione della sentenza, in relazione ai motivi accolti e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

PQM

Accoglie il secondo e il terzo motivo, rigettato il primo ed assorbito il quarto; cassa la sentenza, in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2019

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