Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14064 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/06/2011, (ud. 27/05/2011, dep. 27/06/2011), n.14064

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

E’ BUONGUSTO nella persona dell’ex legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio

dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che lo rappresenta e difende, giusta

delega in calce;

– ricorrente –

AGENZIA FISCALE DELLE ENTRATE in persona del legale pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 57/2006 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 16/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/05/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 16 gennaio 2007 la CTR del Piemonte ha rigettato l’appello proposto dalla Associazione “E’ … Buongusto” nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Chivasso, confermando il diniego della richiesta parziale di rimborso IVA avanzata il 23 luglio 2003 per l’importo di Euro 9.541 relativamente all’acquisto di quadri e di arredi vari, ritenuti dell’Ufficio essere non inerenti ad attività commerciale.

Ha motivato la decisione, per quanto qui interessa, ritenendo che: a) l’istanza di condono, presentata dalla contribuente L. n. 289 del 2002, ex art. 7, non interferiva con il giudizio tributario in corso, secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 340 del 2005; b) mancava il nesso d’inerenza tra beni suscettibili di utilizzazione indifferenziata e l’esercizio di attività incerte (promozione dell’enograstronomia in statuto; esposizione di quadri e oggetti d’arte nel 2003; affittacamere nel 2004) e peraltro mai concretamente acclarate; c) la questione sul diritto a un parziale rimborso, ossia quello relativo alìIVA su fatture asseritamente non contestate dall’Ufficio, costituiva domanda nuova.

Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a plurimi quesiti, l’associazione contribuente; l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A. Col motivo rubricato, la ricorrente denuncia violazione e falsa o mancata applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 della L. n. 289 del 2002 (art. 7, comma 3-13, e art. 16, comma 8) e del D.Lgs. n. 546 del 1992 (artt. 46-62). Assume che, avendo la contribuente aderito alla definizione prevista dalla L. n. 289, art. 7 e non sussistendo le condizioni preclusive indicate nel comma 3, non era più possibile modificare l’importo di rimborsi e crediti. Precisa, sul punto, che non vi era stato alcun preclusivo avviso di accertamento ai fini dell’IVA (lett. c), ma solo un provvedimento di rigetto di rimborso infrannuale dell’IVA, disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1972, art. 38 e non dagli artt. 54 e seg.. Aggiunge che la L. n. 289, art. 16, non considera tale provvedimento tra quelli definibili direttamente, sicchè lo stesso è definibile indirettamente ex art. 7. Infine, rileva che, siccome la vertenza riguardava solo 3.800 dei 4.976,96 Euro richiesti, una volta esclusa la definizione della parte controversa doveva essere dichiara l’estinzione del procedimento per la differenza di 1.176,96 Euro.

B. Il motivo è manifestamente infondato. Riguardo alla definizione automatica di redditi d’impresa, la L. n. 289, art. 7, comma 3 (ult.

periodo), stabilisce: “La definizione automatica non modifica l’importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e delle relative addizionali, dell’imposta sul valore aggiunto, nonchè dell’imposta regionale sulle attività produttive”. Analogamente, l’art. 9, comma 9 (3 periodo), della stessa legge stabilisce che la definizione automatica delle imposte “non modifica l’importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, dell’imposta sul valore aggiunto, nonchè dell’imposta regionale sulle attività produttive”.

C. La Corte Costituzionale, in relazione a quest’ultima disposizione identica a quella del precitato art. 7, nega che il perfezionamento del condono precluda all’amministrazione finanziaria la possibilità di effettuare accertamenti tributari per contestare la debenza del rimborso e rendere incontestabili le somme richieste dai contribuenti quale rimborso dell’IVA (Corte Cost. 340/2005).

D. In proposito, precisa che tale esito interpretativo non solo deriva dalla semplice lettura della norma e dalla natura dell’istituto del condono, ma risulta anche coerente con la giurisprudenza della Corte di cassazione, che in più occasioni ha affermato, da un lato, che la detrazione dell’IVA non è ammessa in difetto del requisito dell’inerenza all’impresa (cfr. Cass. 14337/2002 e 9665/2000, in tema di operazioni materialmente inesistenti) e, dall’altro, che, in generale, il condono non vale di per sè a consolidare i crediti IVA richiesti a rimborso (cfr. Cass. 6429/1996 e 9646/1994).

E. Quanto detto sull’art. 9, comma 9 (3 periodo), vale anche per l’identico art. 7, comma 3 (ult. periodo) e comporta il rigetto del motivo. Nè, peraltro, ha senso giuridico il rubricato richiamo all’art. 16 che, riguardando la definizione delle liti pendenti, si riferisce ai soli atti impositivi e assimilati, giammai alla mera reiezione di un’istanza di rimborso.

F. Il ricorso, pur senza esplicita rubrica, contiene una seconda censura. Sostiene la ricorrente a pag. 19 sub n. 9 che, “ad ogni buon conto, la sentenza deve essere cassata per motivazione contraddittoria”. Assume che, se la controversia non può essere definita ai sensi dell’art. 7, “la definizione potrà, senz’altro esplicare efficacia per la parte restante della controversia, con la conseguenza che potrà essere dichiarata l’estinzione del procedimento per la differenza tra l’ammontare dell’intero rimborso infrannuale e l’ammontare che è stato parzialmente contestato”.

G. Il mezzo non coglie nel segno ed è palesemente inammissibile, non toccando in alcun modo la ratio decidendi della sentenza impugnata sul punto specifico. Infatti, nella sentenza d’appello si legge: “Nè l’odierno giudicante può riconoscere il diritto ad un parziale rimborso, quello ossia relativo all’IVA sulle fatture non contestate dall’Ufficio, in quanto trattasi di domanda nuova”. Nel ricorso per cassazione manca, finanche graficamente, qualsivoglia riferimento diretto a censurare la pronunzia preclusiva sulla novità della domanda.

H. Il ricorso va, dunque, rigettato con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate a favore dell’Agenzia in Euro 1.200 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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