Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14063 del 27/06/2011
Cassazione civile sez. trib., 27/06/2011, (ud. 27/05/2011, dep. 27/06/2011), n.14063
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope
legis;
– ricorrente –
contro
SHOP DISCOUNT SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ZILIOTTO 20, presso lo
studio dell’avvocato FUSCO FERDINANDO, rappresentato e difeso
dall’avvocato FRANCO MICHELE ANGELO, giusta delega a margine;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 436/2006 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di
LATINA, depositata l’11/12/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
27/05/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’11 dicembre 2006 la CTR del Lazio (sez. Latina) ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti della soc. Shop Discount (in liquidazione dal 1997), confermando l’annullamento dell’accertamento di maggior reddito notificato alla contribuente per IRPEG e ILOR 1996.
Ha motivato la decisione ritenendo che “l’ufficio nel caso in esame ha preteso di determinare il reddito di impresa tenendo presente unicamente la percentuale di ricarico applicata al costo del venduto, prescindendo dalla sussistenza delle condizioni poste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39”.
Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’Agenzia delle entrate; il liquidatore della società contribuente resiste con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
01. Riguardo al primo motivo di ricorso, per motivazione “omessa” ex art. 360 c.p.c., n. 5, il mezzo è manifestamente inammissibile.
Trascura -infatti – la ricorrente che, nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c., il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere accompagnato da un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. Il motivo, cioè, deve contenere – a pena d’inammissibilità – un’indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Sez. Un., n. 12339 del 20/05/2010).
02. Nulla di tutto ciò è leggibile nel caso di specie, essendovi solo una proposizione dialogica finale (pag. 4, cpv.), genericamente descrittiva e non rispondente ai requisiti di legge (“la CTR se avesse tenuto in considerazione le deduzioni dell’Ufficio, alla luce del consolidato orientamento della Suprema Corte non avrebbe potuto far altro che accogliere il gravame”).
03. Anche con riguardo al secondo motivo di ricorso – “per violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” – si rileva che il mezzo è inammissibile. L’Agenzia interroga questa Corte chiedendo “se, ai sensi dell’art. 39 d.p.r. 600/1973, anche di fronte a scritture formalmente corrette, sia legittimo l’accertamento analitico-induttivo d’impresa qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri di ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento del contribuente”.
04. A parte l’evidente contrasto normativo tra la censura in rubrica e il quesito di diritto, quest’ultimo manca delle caratteristiche individuate da plurime decisioni delle Sezioni Unite e delle Sezioni Semplici di questa Corte.
05. Il quesito, come è noto, deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che la parte ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza, evidente nella specie, anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. n. 24339 del 30/09/2008).
06. Inoltre il quesito, contrariamente all’odierna formulazione, deve investire in pieno la “ratio decidendi” della sentenza impugnata e proporre un’alternativa di segno opposto (Cass. n. 4044 del 19/02/2009), altrimenti risolvendosi in una tautologia o in un interrogativo circolare (Sez. Un., n. 28536 del 02/12/2008), se non addirittura – come nella specie – in una proposizione puramente assertiva o ipotetica.
07. Infine, il quesito di diritto formulato con il ricorso è generico e non è direttamente pertinente rispetto alla fattispecie, risolvendosi nell’enunciazione in astratto di regole della materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (Cass. n. 80 del 04/01/2011).
08. Il ricorso va, dunque, disatteso con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 1.200, di cui Euro 1.000 per onorario, oltre a rimb. forf., i.v.a. e c.a.p. secondo legge.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2011.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011