Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14062 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/06/2011, (ud. 27/05/2011, dep. 27/06/2011), n.14062

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

SHOP DISCOUNT SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ACHILLE PAPA 21,

presso lo studio dell’avvocato PANNAIN REMO, rappresentato e difeso

dall’avvocato GAMBARDELLA GIUSEPPE, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 885/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 28/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/05/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 28 dicembre 2005 la CTR del Lazio (sez. Latina) ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti della soc. Shop Discount (in liquidazione dal 1997), confermando l’accertamento di maggiori redditi notificato alla contribuente per IRPEG/ILOR 1995. Ha motivato la decisione ritenendo che la percentuale di ricarico del 7,46% non era affatto incongrua, sia perchè la media per i “discount alimentari” era del 10-11%, e non del 25% come per i supermercati, sia perchè la società contribuente si era trovata in gravi difficoltà tanto da essere messa in liquidazione poco dopo. Ha aggiunto che, in assenza di una contabilità irregolare e inattendibile, era illegittimo un accertamento induttivo fondato solo sulla percentuale di ricarico del settore.

Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un solo motivo, l’Agenzia delle entrate; il liquidatore della società contribuente resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

01. Con l’unico motivo, denunciando vizi motivazionali (art. 360 c.p.c., n. 5) e violazione o falsa applicazione dell’art.39 d.p.r.

600 del 1973 (art. 360 c.p.c., n. 3), l’Agenzia assume che immotivatamente la sentenza d’appello afferma che si sarebbe in presenza di una illegittima rettifica, basata esclusivamente sul fatto che sarebbe stata applicata dalla ditta una percentuale di ricarico notevolmente inferiore rispetto a quella mediamente riscontrabile nei supermercati “discount”. Inoltre, sostiene la ricorrente che, riguardo al volume d’affari dichiarato, la percentuale di redditività considerata era stata del 5% e che la percentuale di ricarico sul costo del venduto (7,46%), discostandosi troppo da quella media del settore commerciale (20-25%), legittimava di per sè la rideterminazione del reddito d’impresa applicando il 25%, atteso peraltro che era risultato vuoto un esercizio. Infine, in punto di stretto diritto, richiama l’orientamento secondo cui l’accertamento induttivo è legittimo, al pari del disconoscimento di risultanze contabili formalmente corrette, allorquando da esse emerga un comportamento antieconomico delle parte contribuente.

02. A sua volta la controricorrente, in primo luogo, infondatamente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per mancata formulazione del quesito di cui all’art. 366bis, inserito nel c.p.c., con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6.

La disciplina transitoria, dettata dall’art. 27, stabilisce infatti che tale disposizione si applica ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. cit., cioè dopo il 2 marzo 2006, mentre la sentenza della CTR è stata pubblicata il 28 dicembre 2005.

03. In secondo luogo, la controricorrente eccepisce l’inammissibilità del mezzo, atteso che la censura sollevata dall’Agenzia non tocca i rilievi all’operato dell’Ufficio formulati dai giudici d’appello. L’eccezione è fondata.

04. Il motivo di ricorso non coglie nel segno, atteso che esso non censura le reali “rationes decidendi” della sentenza impugnata. In particolare, nulla dice il ricorso riguardo alle denunciate ingenti perdite con avvio della liquidazione societaria e negative ricadute sui ricavi. Si tratta dei passaggi argomentativi della sentenza d’appello, del tutto trascurati nella stesura del ricorso, dove si accenna a una percentuale di redditività asseritamente applicata nel 5%, per la natura dell’attività e lo stato di preliquidazione. Si tratta di questione non esaminata nella sentenza impugnata e di cui è ignota l’effettiva e rituale introduzione nei gradi di merito, non specificando la ricorrente come ciò sarebbe processualmente avvenuto, il che rende la deduzione censurabile, quanto meno, sotto il profilo dell’autosufficienza del ricorso.

05. Inoltre, quanto alla percentuale di ricarico, manca finanche graficamente qualsiasi riscontro argomentativo circa la ragioni per le quali, nonostante le peculiarità del settore dei “discount alimentari” e le gravi difficoltà della soc. Shop Discount, fosse legittimo per l’Ufficio disattendere la percentuale di ricarico del 7,46% solo perchè “eccessivamente inferiore a quella mediamente praticata nel settore commerciale (da un minimo del 20% ad un massimo del 25%)”.

06. Il ricorso del resto sembra mirare a “un’attenta rilettura della motivazione dell’atto impugnato” (rie. pag. 3, ult. cpv.), evidentemente inammissibile, perchè si risolve in una sostanziale richiesta di riesame del merito mediante apprezzamento dei fatti differente da quello della sentenza impugnata (Cass. 5066/2007). Se si opinasse diversamente, il motivo di ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, finirebbe per risolversi in una richiesta di sindacato del giudice di legittimità sulle valutazioni riservate al giudice di merito (Cass. 5274/2007). Nè nel ragionamento del giudice d’appello, quale risulta dalla sentenza e come censurato dalla ricorrente, è riscontrabile alcuna obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento favorevole alla contribuente, nè consta che le ragioni poste a fondamento della decisione stesse risultino contrastanti e tali da non consentire l’individuazione della “ratio decidendi” (Cass. 15693/2004).

07. Inoltre, quanto alla denunciata violazione di legge (D.P.R. n. 600, art. 39), il giudice d’appello, investito del giudizio sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, ha valutato gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio alla luce della prova indiziaria contraria offerta dalla contribuente, che ne era onerata (art. 2697 c.c., comma 2). Si tratta di risultati impugnabili in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono, come si è detto in precedenza.

08. Peraltro, siccome nel ricorso per cassazione è denunziata violazione e falsa applicazione della legge e non risultano indicate anche le argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le medesime o con l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, il motivo è evidentemente inammissibile, in quanto non consente a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 12984/2006).

09. Infine, quanto al pure dedotto vizio di motivazione, è imprescindibile l’integrale trascrizione nel ricorso delle risultanze dell’avviso di accertamento asseritamente decisive o insufficientemente o erroneamente valutate, in quanto, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la S.C. accesso agli atti del giudizio di merito (ult. cit.).

10. Nella specie manca proprio quell’esposizione esauriente (Cass. 7825/2006), che sola consente la chiara e completa cognizione dei fatti (Sez. Un. 11663/2006 e 2602/2003). Nel contesto del ricorso non si rinvengono, invece, quegli elementi indispensabili per una precisa conoscenza (Cass. 3905/1987 e 13550/2004) della vicenda senza la necessità per questa Corte di ricorrere ad altre fonti (art. 366 c.p.c.; Cass. 11563/2006).

11. Ne consegue che la parte ricorrente non ha assolto l’onere d’indicare specificamente il contenuto del documento impositivo erroneamente interpretato o giuridicamente mal valutato dai giudici di merito, non avendo provveduto alla sua trascrizione (almeno nei punti salienti), al fine di consentire a questa Corte il controllo della decisività della questione, e, quindi, del documento stesso, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, questa Corte, come si è detto, deve essere in grado di compiere sulla base del contenuto dell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.

12. Il ricorso va, dunque, disatteso con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per onorario, oltre a rimb. forf., i.v.a. e c.a.p. secondo legge.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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