Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14060 del 08/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 08/07/2016, (ud. 23/02/2016, dep. 08/07/2016), n.14060

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22368-2011 proposto da:

C.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA TACITO 7, presso lo studio dell’avvocato PAOLO GIULIO

CORONATI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO VICINALE QUERCIAIOLO, (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MONTE DELLE GIOIE 13, presso lo studio

dell’avvocato CAROLINA VALENSISE, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LUCIANA ZAMPI;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1863/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il. 28/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato VALENSISE Carolina, difensore del resistente che

ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso principale, in

subordino l’accoglimento del ricorso principale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e per l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.G. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 74/2003 emesso dal Tribunale di Viterbo, nei suoi confronti e nei confronti di M.A., su richiesta dal Consorzio Stradale Vicinale “Querciaiolo, Spinobello, Strada di Vitorchiano, Fosso Acqua Calda” (di seguito denominato Consorzio) per l’importo di Euro 5.710,15, relativo alla morosità delle quote consortili per gli anni 1998 – 2002.

L’opponente deduceva di essere nudo proprietario di manufatti consorziati in località (OMISSIS), dei quali M. A. aveva l’usufrutto, e che perciò egli non era tenuto a pagare gli oneri consortili richiesti, in quanto relativi ad opere di manutenzione ordinaria. Rilevava peraltro che il Consorzio, il quale aveva chiesto il pagamento delle stesse somme anche all’usufruttuaria, era intervenuto contro la M. nell’ambito di una procedura esecutiva iniziata da terzi, così manifestando esso stesso la convinzione della legittimazione passiva esclusiva dell’usufruttuaria.

Il Consorzio si costituiva in giudizio, contestava le deduzione dell’opponente e concludeva per il rigetto dell’opposizione.

Il Tribunale di Viterbo con la sentenza n.387/2004 accoglieva l’opposizione proposta dal solo C. al citato decreto ingiuntivo, ritenendo che egli, quale nudo proprietario del bene consorziato, non era tenuto al pagamento degli oneri in questione, relativi ad opere di manutenzione ordinaria e perciò gravanti solo sulla M., quale usufruttuaria, ai sensi dell’art. 1008 c.c..

Il Tribunale quindi revocava il decreto opposto.

La Corte d’Appello di Roma con la sentenza n.1863/2011, depositata il 28.04.2011, accoglieva l’appello del Consorzio e, in riforma della sentenza impugnata, respingeva l’opposizione proposta dal C. al decreto ingiuntivo n. 74/2003 emesso dal Tribunale di Viterbo e confermava tale decreto, con condanna dell’appellato alla rifusione delle spese.

A sostegno della sua decisione la Corte territoriale – premesso che la fonte della regolazione dei rapporti tra il Consorzio e i consorziati andava individuata nello statuto consortile – argomentava che dagli artt. 4 e 5 di detto statuto si evinceva che tutte le spese consortili erano a carico degli “utenti” e che questi ultimi erano individuati in “tutti i proprietari di terreni, di diritti immobiliari con o senza fabbricati, inclusi nel comprensorio”, concludendo che “anche il nudo proprietario, quale titolare di diritto immobiliare su un immobile consorziato, è utente del Consorzio e come tale è tenuto al pagamento dei contributi, anche se sullo stesso terreno insiste il diritto di usufrutto di altro soggetto, che è tenuto al medesimo obbligo”. La sentenza impugnata peraltro precisava che lo statuto ben poteva derogare alla disciplina di cui agli artt. 1008 e 1009 c.c., non avendo quest’ultima (destinata a regolare i rapporti fra nudo proprietario ed usufruttuario) natura inderogabile.

Avverso tale decisione il C. ha proposto ricorso per cassazione, con un unico motivo, promiscuamente riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5).

Il Consorzio si è costituito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato. Solo il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 23.2.16 nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso Giovanni C. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1008 e 1009 c.c., e l’erronea interpretazione dello statuto del Consorzio, rilevando che dalla corretta interpretazione dello statuto si ricaverebbe che gli oneri consortili gravano solo sull’usufruttuario (compreso nel richiamo dell’art. 5 dello statuto al titolare “… di diritti immobiliari con o senza fabbricati, inclusi nel comprensorio”), laddove il nudo proprietario non potrebbe intrinsecamente essere ricompreso tra gli “utenti”, dato che egli non ha alcun utilizzo/godimento del bene oggetto del consorzio. Il ricorrente sottolinea inoltre, a conferma dell’interpretazione dello statuto consortile da lui propugnata, che il nudo proprietario non deve pagare imposte relativamente al bene oggetto di usufrutto, nè può dedurre fiscalmente l’eventuale pagamento degli oneri consortili (operazione che invece è consentita all’usufruttuario); argomenti, questi, idonei a corroborare l’affermazione che l’unico titolare dell’obbligo di pagamento dei contributi consortili sarebbe l’usufruttuario, effettivo utente del bene inserito nel Consorzio.

Il motivo di ricorso non può trovare accoglimento.

La decisione della Corte d’Appello – sul presupposto (non specificamente contestato nel ricorso e, peraltro, conforme alla giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. n. 24752/13) che gli artt. 1008 e 1009 c.c. non sono inderogabili e disciplinano esclusivamente i rapporti interni tra usufruttuario e nudo proprietario – assume che, nella specie, dette disposizioni non vincolano l’autonomia statutaria del Consorzio e che in concreto tale autonomia si è tradotta in una disciplina degli oneri derivanti dall’appartenenza al Consorzio che non distingue tra proprietari e titolari di altri diritti immobiliari (ivi compresi i nudi proprietari e gli usufruttuari), i quali tutti risultano affasciati nella generica nozione di “utenti” dei beni consortili e, in quanto tali, risultano statutariamente obbligati, in solido tra loro, al versamento dei contributi relativi all’immobile su cui i rispettivi distinti diritti immobiliari coesistono.

Il mezzo di gravame non censura adeguatamente l’interpretazione dello statuto consortile operata dalla Corte distrettuale, perchè non denuncia la violazione delle regole di ermeneusi negoziale dettate dal codice civile, nè individua specifici vizi logici o lacune argomentative della sentenza gravata, ma si limita a contrappone alla interpretazione delle norme statutarie operata dal giudice di merito quella ritenuta preferibile dal ricorrente, così investendo la Corte di cassazione di un riesame del merito della controversia inammissibile nel giudizio di legittimità.

Il ricorso principale va quindi in definitiva rigettato.

Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato del Consorzio.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna il ricorrente a rifondere al contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Si dà atto che la sentenza è stata redatta con la collaborazione dell’Assistente di Studio dott. Ma.Gi..

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2016

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