Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14059 del 21/05/2021

Cassazione civile sez. I, 21/05/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 21/05/2021), n.14059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12921/2019 proposto da:

J.S., rappresentato e difeso dall’avv. Marco Cavicchioli. in

forza di procura speciale datata 12.3.2019 trasmessa telematicamente

con la notifica del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

Ministero Dell’interno (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12, Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 08/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/03/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che:

Il Tribunale di Torino con il decreto 1636/2019 rigettava il ricorso proposto D.S., cittadino gambese diretto al riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria ritenendo insussistenti i relativi presupposti sottolineando che il racconto offerto dal richiedente era lacunoso e non credibile.

Riteneva non sussistente, nella zona di provenienza dell’istante, una situazione di violenza indiscriminata, derivante da conflitto armato interno o internazionale, e considerava non sussistenti ragioni di vulnerabilità ai fini della concessione della protezione umanitaria.

Avverso tale decreto D.S. propone ricorso, sollevando in via preliminare questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, sotto un duplice profilo e censurando la decisione sulla base di tre motivi.

Il Ministero intimato si è costituito con controricorso.

Il ricorrente in via preliminare chiede che vanga sollevata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5, per quanto riguarda la previsione del rito camerale ex art. 737 c.p.c. e relative deroghe espresse dal legislatore nelle controversie in tema di protezione internazionale che avrebbe comportato una compressione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio.

Chiede altresì che venga sollevata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) e art. 21, comma 1, così come convertito in L. n. 46 del 2017, per violazione dell’art. 3, comma 1 e dell’art. 77, comma 4, per mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza nell’emanazione del Decreto legge per quanto riguarda il differimento dell’efficacia temporale e quindi dell’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale.

Più precisamente si afferma che il D.L. cit., non contiene norme di immediata applicazione, posto che, ai sensi dell’art. 21 dello stesso, le disposizioni più significative si applicano a partire dal 180 giorno successivo alla sua entrata in vigore.

Con il primo motivo si denuncia la violazione della L. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, lett. a), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3. Si censura la decisione nella parte in cui ha ritenuto di non procedere all’audizione del ricorrente pur in assenza di videoregistrazione in palese contrasto con l’art. 35, richiamato in rubrica.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si critica il diniego di riconoscimento della protezione internazionale fondato sulla pretesa insussistenza in Gambia di una violenza generalizzata senza citare a supporto del proprio convincimento alcuna delle fonti di informazioni previste dall’art. 8 e senza svolgere i dovuti approfondimenti istruttori.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 8 e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si lamenta che il Tribunale avrebbe escluso la sussistenza della violenza generalizzata procedendo in via d’ufficio ad acquisire elementi di prova non corrispondenti a quelli previsti dall’art. 8 e non oggetto di contraddittorio fra le parti in violazione del principio sancito dall’art. 183 c.p.c., comma 8, applicabile anche nel rito camerale.

Le questioni di legittimità costituzionali prospettate dal ricorrente sono state già dichiarate manifestamente infondate da questa Corte di legittimità con le pronunce qui di seguito riportate.

E’ stato infatti chiarito che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (Sez. 1, Sentenza n. 17717 del 05/07/2018).

Con riferimento al secondo profilo di illegittimità questa Corte (Cass., Sez. I, n. 17717/2018) ha già avuto modo di affermare la manifesta infondatezza della questione inerente al preteso difetto dei requisiti di necessità ed urgenza ex art. 77 Cost., poichè la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito – è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale al fine di consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime.

Il primo motivo è infondato.

Dall’esame del decreto impugnato, si evince, infatti, che l’udienza di comparizione delle parti è stata regolarmente fissata dal Tribunale e si è tenuta il 23.1.2019. Il Tribunale ha ritenuto soltanto di non procedere a nuova audizione dell’istante, alla luce degli elementi già acquisiti e della documentazione depositata agli atti.

Orbene – secondo l’insegnamento di questa Corte – nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare, pena la violazione del contraddittorio, l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, senza che sorga tuttavia l’automatica necessità di dare corso all’audizione il cui obbligo, conformemente alla Dir. 2013/32/CE, grava esclusivamente sull’autorità amministrativa incaricata di procedere all’esame del richiedente. Ne consegue che il giudice può decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso il verbale o la trascrizione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione (Cass., 31/01/2019, n. 2817; Cass., 28/02/2019, n. 5973; Cass., 20/01/2020, n. 1088; Cass., 14/05/2020, n. 8931). Tanto più che nella specie, il ricorrente non ha neppure allegato gli elementi che, in caso di audizione, avrebbe – in ipotesi – potuto sottoporre o illustrare al Tribunale.

A tal riguardo, va, per vero, osservato che, se non sono dedotti fatti nuovi o ulteriori temi d’indagine, il giudice di merito non ha l’obbligo di procedere anche all’audizione del richiedente, salvo che quest’ultimo non ne faccia espressa richiesta deducendo la necessità di specifici chiarimenti, correzioni e delucidazioni sulle dichiarazioni rese in sede amministrativa (Cass., 11/11/2020, n. 25439; Cass., 07/10/2020, n. 21584).

Il ricorso per cassazione con il quale sia dedotta, in mancanza di videoregistrazione, l’omessa audizione del richiedente che ne abbia fatto espressa istanza, deve, pertanto, contenere l’indicazione puntuale dei fatti che erano stati dedotti avanti al giudice del merito a sostegno di tale richiesta, avendo il ricorrente un preciso onere di specificità della censura (Cass., 11/11/2020, n. 25312).

Siffatto onere non è stato, per contro, adempiuto nel caso di specie, per cui la censura in esame non può trovare accoglimento.

Il secondo e terzo motivo che vanno trattati congiuntamente per l’intima connessione sono inammissibili.

Il Tribunale ha escluso, sulla base della consultazione di affidabili fonti di informazioni, delle quali ha pure dato puntualmente conto nel provvedimento impugnato, che in Ghana, sia riscontrabile una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che consente il riconoscimento nei confronti dello straniero della forma di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (cfr. amplius, pag. 3 e 4 del menzionato decreto).

Il provvedimento oggi impugnato infatti ha esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, ed ha rilevato che, sostanzialmente, il Ghana non si segnala attualmente alcuna significativa instabilità politica.

Vale osservare che lo stabilire quale sia il livello di violenza esistente nel paese di provenienza del richiedente (se basso, alto o “eccezionale”) è questione di fatto che deve essere “valutata dalle autorità nazionali competenti cui sia stata presentata una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali venga deferita una decisione di rigetto di una tale domanda”, non sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’omesso esame di fatti, profilo nel caso di specie non prospettato.

Il risultato di tale indagine può essere censurato, quindi, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018; Cass. n. 11936/2020) e non sotto il profilo della violazione di legge.

Va solo sottolineato che, come recentemente chiarito da Cass. n. 29056 del 2019, l’eventuale omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poichè, in tal caso, l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando (ma tale ipotesi non è stata minimamente dedotta nell’odierna fattispecie) costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio.

In altri termini, e più specificamente, colui che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito non deve limitarsi a dedurre l’astratta violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ma ha l’onere di allegare l’esistenza e di indicare gli estremi delle COI che, secondo la sua prospettazione, ove fossero state esaminate dal giudice di merito avrebbero dovuto ragionevolmente condurre ad un diverso esito del giudizio.

La mancanza di una tale puntuale allegazione (certamente non soddisfatta dalla sola menzione di provvedimenti giurisdizionali o con il richiamo a fonti di cui, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, nemmeno è riportato l’effettivo contenuto) impedisce alla Corte di valutare la rilevanza e decisività della censura, rendendola inammissibile (cfr. Cass. n. 2720 del 2021; Cass. n. 22769 del 2020; Cass. n. 21932 del 2020).

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri normativi vigenti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rifondere al Ministero le spese di legittimità che si liquidano in complessive Euro 2.100,00oltre s.p.a.d..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2021

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