Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14055 del 27/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 27/06/2011, (ud. 24/05/2011, dep. 27/06/2011), n.14055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23658/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

T.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 85/2005 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE,

depositata il 06/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GALLUZZO, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

1. Con sentenza n. 85/05, depositata il 6.7.05, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Pistoia avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto da T.F. – medico veterinario – nei confronti degli avvisi di accertamento analitico – induttivi, con i quali era stato elevato il reddito dichiarato dal medesimo, ai fini IRPEF ed IVA, per gli anni 1995, 1996 e 1997.

2. La CTR riteneva, invero, che le dichiarazioni dei terzi – nella specie, la moglie del contribuente – fossero del tutto prive di rilevanza nel processo tributario, rilevava, inoltre, che non erano state contestate dall’amministrazione le scritture contabili del T., e constatava, infine, che il gravame dell’Ufficio era destituito di fondamento, per non avere l’amministrazione disposto ulteriori e più approfonditi accertamenti, volti a suffragare la rettifica delle dichiarazioni del contribuente.

3. Per la cassazione della sentenza n. 85/05 hanno proposto ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, formulando un unico motivo. L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

1. In via pregiudiziale, rileva la Corte che il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione attiva dell’amministrazione ricorrente. Ed invero, va osservato che, qualora – come nel caso di specie – al giudizio di appello abbia partecipato solo l’Agenzia delle Entrate – succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle Finanze nel giudizio di primo grado, ossia in epoca successiva all’1.1.01, data nella quale le Agenzie sono divenute operative in forza del D.Lgs. n. 300 del 1999 – e il contribuente abbia accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, deve ritenersi verificata, ancorchè per implicito, l’estromissione del Ministero delle Finanze dal giudizio.

Ne consegue che l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale è l’Agenzia delle Entrate; per cui il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva (cfr., tra le tante, Cass. 24245/04, 6591/08).

2. Premesso quanto precede, e passando all’esame dei motivi di ricorso proposti dall’Agenzia delle Entrate, va rilevato che, con l’unico motivo di ricorso, l’Ufficio deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e ss., e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e ss., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

2.1. La ricorrente amministrazione lamenta, infatti, che il giudice di appello avrebbe erroneamente escluso la rilevanza, quanto meno sul piano indiziario, delle dichiarazioni del terzo (la moglie del contribuente), peraltro supportate da copiosa documentazione, e si duole del fatto che sia stato posto a suo carico l’onere di effettuare ulteriori, più approfonditi, accertamenti, diretti a suffragare la rettifica delle dichiarazioni del contribuente.

Del tutto inconferente, poi, si paleserebbe – ad avviso dell’amministrazione – il riferimento, operato dall’impugnata sentenza, alla mancata contestazione, da parte dell’Ufficio, delle scritture contabili del T., essendo del tutto evidente che la contestazione di dette scritture, sul piano dell’attendibilità sostanziale, costituisce il presupposto stesso del ricorso all’accertamento induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54.

2.2. Il ricorso è fondato e va accolto.

2.2.1. Va osservato, infatti, che – vertendosi, nella specie, in materia di accertamento analitico – induttivo – devono trovare applicazione il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e L. n. 549 del 1995, art. 3, che prevede la possibilità per l’amministrazione di utilizzare, ai fini della rettifica delle dichiarazioni del contribuente, la procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore.

Orbene – in via di principio – detta procedura costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dal mero scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati. Ed invero, questi ultimi -sia con riferimento all’imposizione diretta, sia con riferimento all’IVA – legittimano, quando i valori ivi esposti superano il dichiarato dal contribuente, il ricorso all’accertamento analitico – presuntivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, ponendosi in tal caso, detti “standards”, come uno strumento di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, che si affianca agli altri strumenti previsti dalle norme suindicate.

Ne discende che i suddetti parametri standardizzati devono, giocoforza, essere personalizzati con riferimento ai dati relativi all’attività in concreto svolta dal contribuente, sulla scorta degli elementi forniti da quest’ultimo in esito al contraddittorio, che va attivato obbligatoriamente con il medesimo, pena la nullità dell’accertamento analitico – presuntivo effettuato dall’amministrazione finanziaria. La motivazione dell’atto impositivo non può, pertanto, esaurirsi nel rilievo dello scostamento tra reddito dichiarato e parametri di riferimento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto, nonchè con l’indicazione delle ragioni per le quali sono state disattese, dall’Ufficio, le contestazioni sollevate dal contribuente.

Su quest’ultimo, peraltro, incombe l’onere di muovere rilievi specifici ai coefficienti parametrici applicati, nonchè di provare – sia in sede amministrativa, che dinanzi al giudice tributario di merito – la sussistenza delle condizioni, anche con riferimento alla specifica realtà dell’attività economica esercitata, che giustifichino l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui è applicabile lo “standard” prescelto dall’amministrazione finanziaria (cfr., in tal senso, Cass. S.U. 26635/09, Cass. 4148/09, Cass. 12558/10). In definitiva, dunque, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità dell’atto di accertamento fondato sui suddetti parametri, è tenuto a valutare, in primis, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio, e solo una volta ritenuto che si sia formata una valida prova presuntiva, ai sensi dell’art. 2727 c.c. e ss., dovrà dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, gravato da tale onere specifico (Cass. 9784/10). 2.2.2. Premesso quanto precede in via di principio, ritiene la Corte che, nel caso concreto, la CTR della Lombardia non abbia fatto corretta applicazione delle norme concernenti l’utilizzazione degli “standards” elaborati a supporto dell’accertamento analitico – presuntivo, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, nonchè del disposto dell’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova.

Ed invero – premesso che è del tutto incontroverso tra le parti che il T. sia stato posto in condizioni di fornire all’amministrazione le proprie ragioni giustificative – va rilevato che il giudice di appello ha, del tutto ingiustificatamente, escluso il valore presuntivo dei parametri applicati dall’Ufficio, attribuendo all’amministrazione di non avere disposto “accertamenti più approfonditi per acquisire gli elementi certi per suffragare le rettifiche delle dichiarazioni del contribuente”. Ebbene, è di tutta evidenza, ad avviso della Corte, l’erronea applicazione della normativa suindicata operata dalla CTR, posto che – una volta applicati i parametri presuntivi, personalizzati in relazione alla specifica situazione del contribuente, ed avere soppesato e disatteso le contestazioni proposte da quest’ultimo in sede amministrativa – il potere impositivo dell’Ufficio non può ritenersi condizionato da alcun altro incombente. Per converso – come dianzi rilevato – incombe sul contribuente, il quale intenda ulteriormente contestare l’accertamento, promuovere il riesame dell’atto in sede giurisdizionale, sulla base di specifiche allegazioni e fornendo un’ulteriore controprova alle presunzioni desunte dai parametri applicati dall’amministrazione. Nel giudizio tributario di merito il contribuente non è, per vero, vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo, e dispone della più ampia facoltà di prova, perfino qualora non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa (Cass. S.U. 26635/09).

Ne consegue che, nel caso concreto, la CTR non avrebbe dovuto fare carico all’Ufficio di ulteriori incombenti non previsti dalla legge, ma si sarebbe dovuta limitare a prendere atto della mancata allegazione di ulteriori elementi di prova da parte del contribuente.

E tale carenza probatoria – ad avviso della Corte – appare, nella specie, vieppiù significativa, ove si consideri che la stessa sentenza da atto che gli avvisi di accertamento erano, per contro, supportati da “copiosa documentazione”, nonchè dalle dichiarazioni della moglie separata del T., la quale aveva fornito all’amministrazione un nutrito elenco di clienti del marito, nonchè una documentazione informale ed extracontabile dalla quale si desumeva la mancata fatturazione della maggior parte delle prestazioni eseguite dal contribuente, medico veterinario).

2.2.3. Con specifico riferimento, poi, al valore probatorio delle dichiarazioni della sig.ra D. – moglie separata del T. – negato dalla sentenza di secondo grado, osserva la Corte che, nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo – acquisite dalla Polizia Tributaria o, come è accaduto nella specie, dalla stessa amministrazione, e recepite, poi, nell’avviso di accertamento – hanno, quanto meno, valore indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice, unitamente a tutti gli altri elementi di prova acquisiti agli atti. Tuttavia, tali dichiarazioni – in presenza di peculiari circostanze ed, in particolare, nel concorso di elementi ulteriori di prova idonei a renderli particolarmente attendibili – possono rivestire i caratteri della presunzioni (generalmente ammesse nel processo tributario, nonostante il divieto di prova testimoniale) gravi, precise e concordanti, ai sensi dell’art. 2729 c.c., dando luogo, di conseguenza, non ad un mero indizio, bensì ad una prova presuntiva, idonea da sola ad essere posta a fondamento e motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica, da parte dell’amministrazione finanziaria (cfr. Cass. 9402/07).

Ebbene, non può revocarsi in dubbio – a giudizio della Corte – che nel caso concreto le dichiarazioni della moglie del T. rivestano un carattere fortemente presuntivo, essendo corredate – come rileva la stessa decisione di appello – da “copiosa documentazione”, idonea a conferire alle stesse particolare attendibilità e verosimiglianza (nutrito elenco dei clienti del T., agenda del medesimo ed appunti del veterinario chiamato a sostituirlo nel periodo di ferie, dai quali si desumeva l’omessa fatturazione della maggior parte delle prestazioni, quantificazione delle spese di famiglia ed ingenti versamenti sul c/c bancario dei coniugi, attestanti un reddito decisamente superiore a quello dichiarato).

2.2.4. Del tutto inconferente è, infine, l’affermazione, effettuata dal giudice di appello, in ordine alla mancata contestazione delle scritture contabili del T., da parte dell’amministrazione finanziaria.

Va rilevato, infatti, che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui eventuale regolarità non impedisce l’applicazione degli “standard”, nè costituisce una valida prova contraria, laddove l’irregolarità della documentazione contabile – riscontrata nel caso concreto – non costituisce altro che il presupposto stesso per la legittima attivazione della procedura standardizzata (Cass. S.U. 26635/09).

3. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, l’impugnata sentenza va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR della Toscana, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “il potere di accertamento dell’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e L. n. 549 del 1995, art. 3, una volta che l’amministrazione finanziaria abbia applicato i parametri presuntivi, personalizzati in relazione alla specifica situazione del contribuente, ed abbia soppesato e disatteso le contestazioni proposte da quest’ultimo in sede amministrativa, non può ritenersi condizionato da alcun altro incombente. Il suddetto potere accertativo non è impedito dall’eventuale regolarità della contabilità tenuta dal contribuente, che non può costituire neppure una valida prova contraria a fronte degli elementi presuntivi desumibili dai parametri suindicati, laddove l’irregolarità della documentazione contabile non costituisce altro che il presupposto stesso per la legittima attivazione della procedura standardizzata.

Le dichiarazioni del terzo, nel processo tributario, rivestono valore indiziario, ma in taluni casi ed, in particolare, nel concorso di elementi ulteriori di prova idonei a renderli particolarmente attendibili, possono rivestire i caratteri della presunzioni gravi, precise e concordanti, ai sensi dell’art. 2729 c.c.”.

4. Il giudice di rinvio provvederà, altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte di Cassazione;

dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana, che provvederà alla liquidazione anche delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 24 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2011

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