Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14054 del 21/05/2021

Cassazione civile sez. I, 21/05/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 21/05/2021), n.14054

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4326/2019 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in Roma Viale Manzoni n. 81,

presso lo studio dell’avvocato Giudice Emanuele, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 08/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/03/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

Con ricorso affidato a quattro motivi illustrati da memoria, C.A., cittadino del Gambia ha impugnato il decreto reso dal Tribunale di Torino depositato il 8.1.2019, che ne rigettava il ricorso avverso la decisione della competente Commissione territoriale, che a sua volta aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria, nonchè di quella umanitaria.

Per quanto ancora rileva in questa sede, il Tribunale osservava che: le dichiarazioni del richiedente, non erano credibili evidenziando a) il distacco emotivo con cui erano stati descritti gli eventi della morte prima della madre e poi del padre che avrebbero dovuto essere eventi traumatici e drammatici della propria esistenza specie se vissuti come nel caso di esame in giovane età, b) la totale assenza di dettagli relativi alle circostanze ed al contesto in cui i genitori e la matrigna del richiedente erano deceduti; c) le diverse indicazioni date per quanto riguarda luogo di nascita e di residenza in sede di audizione avanti alla Commissione e in sede di richiesta di protezione internazionale; circa la protezione umanitaria osservava che la mera partecipazione alle varie attività svolte nei centri di accoglienza non costituisce una condizione di inserimento nel contesto nazionale e che comunque il richiedente non presentava particolari situazioni di vulnerabilità godendo di buona salute ed infine la non credibilità del racconto portava ad escludere l’applicazione del principio del “non refoulement” di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19.

L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si lamenta che il Tribunale sarebbe pervenuto alla conclusione dell’inverosimiglianza del racconto sulla base di supposizioni e congetture prive di riferimento effettive alla griglia dei parametri individuate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Con il secondo motivo si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si sostiene di aver riferito in Commissione e poi confermato avanti al Tribunale di aver involontariamente ucciso la seconda moglie del padre e di essere ben presto fuggito dal Gambia temendo di essere arrestato e condannato ad una grave pena evidenziando che una tale allegazione avrebbe dovuto indurre il Giudice ad esaminare officiosamente se sussistevano le condizioni per il riconoscimento al ricorrente di una delle due forme di protezione maggiore in particolare della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 14, lett. c).

Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si lamenta che il primo giudice a fronte del racconto narrato avrebbe dovuto verificare se il timore di subire una condanna a morte in conseguenza dell’omicidio involontario di cui il ricorrente si era reso responsabile trovasse riscontro nella legislazione del Paese.

Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che il Tribunale non abbia concesso la misura ritenendo a torto irrilevanti sia il positivo percorso di integrazione del ricorrente in Italia sia il fatto che nel Paese d’origine il ricorrente non abbia più alcun supporto familiare sia il livello di povertà estrema del richiedente e del Paese d’origine.

I primi tre motivi vanno esaminati congiuntamente perchè accomunati dalla medesima ragione di inammissibilità.

Le censure infatti a prescindere dalla non credibilità del racconto del ricorrente, già ben evidenziate dalla Commissione territoriale e condivise dal Giudice di primo grado, con gli ovvi riflessi sulla intrinseca credibilità della narrazione, lungi dal contenere specifiche argomentazioni, intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, si risolvono, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui C.A. intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito secondo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass. n. 7119 del 2020).

Il quarto motivo è parimenti inammissibile.

Il decreto impugnato ha qualificato, in primo luogo, come inattendibile il racconto del richiedente la protezione internazionale segnalando le lacune e le contraddizioni del racconto reso dallo stesso. Peraltro, in materia di protezione internazionale il positivo superamento del vaglio di credibilità soggettiva del richiedente protezione condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è preliminare all’esercizio da parte del giudice del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che il richiedente non è in grado di provare, in deroga al principio dispositivo (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 11267 del 2019; Cass. n. 16925 del 2018). E la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, che è censurabile in cassazione nei limiti di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5; doglianza che non solo non è stata dedotta, ma che, ovviamente, non potrebbe consistere nella prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di questione attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019).

Il Tribunale ha inoltre correttamente negato la sussistenza di elementi tali da far ritenere l’appellante un soggetto in situazione di vulnerabilità, non essendo state dimostrate specifiche situazioni di vulnerabilità, parimenti neppure dedotte rilevando il buono stato di salute del richiedente.

Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2021

 

 

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