Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14053 del 11/06/2010

Cassazione civile sez. I, 11/06/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 11/06/2010), n.14053

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22322-2008 proposto da:

D.L.M. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA G. ANTONELLI 50, presso l’avvocato GICCA

PALLI STELIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FREGNI GIORGIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositato il

17/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato S. GICCA PALLI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla Corte dei Conti di Roma in data 15.9.1976 D.L. M. impugnò il decreto n. 1157 del 20.7.1976, con cui il Ministero della Difesa gli aveva negato il riconoscimento dell’aggravamento di una infermità (otite media cronica bilaterale con ipoacusia) contratta durante il servizio militare di leva.

Con l’entrata in vigore della L. n. 19 del 1994, istitutiva delle sezioni regionali della Corte dei Conti, il ricorso fu inviato da Roma alla Sezione Regionale della Corte dei Conti per l’Emilia Romagna, con sede in Bologna.

Subito dopo avere ricevuto la comunicazione della Corte dei Conti di Bologna L. n. 19 del 1994, ex art. 6 (di conversione in legge del D.L. n. 453 del 1993), il ricorrente depositò tempestiva istanza per la prosecuzione del ricorso.

Dopo quasi 27 anni la Corte dei Conti di Bologna ha accolto, con sentenza del 4.4.2003, il ricorso del D.L., riconoscendo al ricorrente il diritto alla pensione vitalizia di 8^ categoria di tabella A a decorrere dal 1.12.1975.

Il D.L., successivamente, con ricorso alla Corte d’Appello di Bologna, chiedeva la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di un’equa riparazione, nella misura di Euro 30000,00, per violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per l’eccessiva durata del summenzionato processo dinanzi alla Corte dei Conti.

La Corte d’Appello di Bologna con decreto del 2004 rigettava il ricorso, ritenendo che la eccessiva durata del procedimento fosse addebitabile alla omessa attivazione del D.L. per non aver presentato istanza di prelievo e che la posta in gioco fosse esigua.

Detto decreto è stato impugnato dal D.L. dinanzi alla Corte di Cassazione, che con sentenza n. 2531 del 2007 ha accolto il ricorso, con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.

Il D.L. ha provveduto alla rituale riassunzione della causa, reiterando la domanda di equa riparazione proposta.

Con decreto del 21.9-17.12.2007, detta Corte, ritenuta ingiustificata per nove anni la durata del processo presupposto, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di Euro 900,00 (Euro 100,00 per ogni anno di ritardo), oltre interessi legali dalla pubblicazione del decreto al saldo.

Avverso detto decreto D.L.M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi. La intimata Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 6 e 53 della CEDU e dell’art. 111 Cost. per avere il giudice a quo liquidato Euro 100,00 per ogni anno di ritardo, in violazione dei parametri stabiliti dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in una somma variabile tra i 1.000, ed i 1.500,00 Euro annui; con il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 6 e 53 della CEDU e dell’art. 111 Cost. per avere il giudice a quo limitato la ingiustificata durata a nove anni avendo il D.L. ottenuto nel 1991 la pensione in via amministrativa, circostanza questa che se potrebbe incidere sulla valutazione della posta in gioco con limitazione dell’entità dell’indennizzo, non potrebbe incidere, invece, sul computo della durata del processo, avendo, peraltro, il D.L. chiesto la pensione vitalizia con decorrenza dal 1975 e non dal 1991, ed essendo statogli stato riconosciuto dalla Corte dei Conti con la chiesta decorrenza solo con la sentenza del 2003; con il terzo motivo denuncia omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia per avere censurato il ricorrente per non aver prodotto in giudizio la documentazione relativa al processo presupposto, quando tutti gli elementi necessari per la decisione evidenziati dal ricorrente non erano stati contestati da controparte, per cui avrebbero dovuto essere ritenuti pacifici; con il quarto motivo denuncia omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia per avere affermato che il ricorrente non avrebbe fornito elementi di valutazione della posta in gioco nel processo pensionistico, nè provato le sue condizioni socio-economiche, quando l’elemento della posta in gioco era desumibile sia dalla sentenza della Corte Suprema, con la quale è stato disposto il rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, sia dal ricorso in riassunzione; con il quinto motivo denuncia violazione o falsa applicazione del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, art. 17, della L. 28 luglio 1971, n. 585, art. 20 e del D.L. 15 novembre 1993, n. 453, art. 6, violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 6 e 53 della CEDU e dell’art. 111 Cost., avendo la Corte d’Appello di Bologna erroneamente ritenuto la sussistenza nel processo pensionistico di una norma che preveda un onere del ricorrente di presentazione di istanze di trattazione anticipata, tenendone conto, con violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 ai fini della valutazione del “comportamento delle parti”.

Non costituendo la presentazione della istanza di anticipazione della trattazione della causa pensionistica onere del ricorrente, la mancata presentazione della stessa, non potendo essere imputata a comportamento negligente del ricorrente stesso, non potrebbe portare ad escludere che la durata irragionevole del processo venga imputata esclusivamente allo Stato; con il sesto motivo denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 6 e 53 della CEDU e dell’art. 111 Cost., avendo la Corte di merito determinato la ragionevole durata del processo presupposto in anni sei, anzichè in tre, in considerazione della riorganizzazione degli uffici a seguito del decentramento delle funzioni istituzionali disposto con D.L. n. 453 del 1993, evenienza che di per sè non potrebbe rilevare ai fini della valutazione della complessità delle controversie e della quale, quindi, non potrebbe tenersi conto per la determinazione dei tempi medi di definizione dei giudizi nell’ottica della ragionevole durata degli stessi.

Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha indicato quale durata ragionevole del giudizio di primo grado anni tre. Nel caso di specie il giudice a quo si è discostato da tale parametro indicato dalla CEDU, aggiungendovi ulteriori anni tre in conseguenza della riorganizzazione degli uffici della Corte dei Conti avvenuta nel 1994, vale a dire 19 anni dopo l’inizio del processo presupposto.

Tale decisione è del tutto illegittima, atteso che i tre anni di durata ragionevole del processo presupposto erano già decorsi da anni quando è intervenuta detta riorganizzazione degli uffici della Corte dei Conti; tale evenienza, pertanto, non può avere alcuna rilevanza al fine della determinazione della durata ragionevole del processo. Conseguentemente il periodo di durata non ragionevole va determinato escludendo soltanto i primi tre anni. Nè detto periodo può essere limitato a soli nove anni, come ritenuto dal giudice a quo, avendo il D.L. ottenuto la pensione vitalizia in via amministrativa nel 1991. Il processo presupposto è terminato in primo grado soltanto con sentenza del 2003 e soltanto da tale sentenza il D.L. si è visto riconoscere la pensione con la decorrenza richiesta del 1975. Pertanto la durata non ragionevole da riconoscersi è di anni ventiquattro e non di anni nove… Ugualmente illegittima è la decisione impugnata per aver determinato l’equa riparazione nella misura di Euro 100,00 per ogni anno di durata eccessiva. Tale liquidazione è di gran lunga inferiore ai parametri CEDU, cui il giudice nazionale è tenuto ad attenersi. Pertanto, tenuto conto di quanto liquidato dalla CEDU in fattispecie analoghe, ritiene il collegio adeguato l’indennizzo complessivo di Euro 13.500,00 (tredicimilacinquecento), con gli interessi legali dal dì della domanda.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto nei limiti su indicati, il decreto impugnato conseguentemente deve essere cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti istruttori, la causa può essere decisa nel merito, condannando l’Amministrazione convenuta al pagamento a favore del ricorrente, a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale, della somma di Euro 13.500,00, con gli interessi legali a partire dalla domanda.

L’Amministrazione convenuta, perchè soccombente, va condannata, altresì, al pagamento a favore del ricorrente delle spese processuali sia del giudizio di merito che di quello di legittimità, che appare giusto liquidare come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione al pagamento a favore del ricorrente, a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale, della somma di Euro 13.500,00 (tredicimilacinquecento) con gli interessi legali a partire dalla domanda; condanna, altresì, l’Amministrazione al pagamento delle spese giudiziali, che si liquidano: per il primo giudizio di merito nella misura complessiva di Euro 1.850,00 (milleottocentocinquanta), di cui Euro 50,00 per esborsi, 600,00 per diritti e 1.200,00 per onorari; per il secondo giudizio di merito in eguale misura; per il primo giudizio di legittimità nella misura complessiva di Euro 1.600,00 (milleseicento), di cui Euro 100,00 per spese; in eguale misura per il secondo giudizio, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2010

 

 

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