Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 14052 del 08/07/2016


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Cassazione civile sez. VI, 08/07/2016, (ud. 11/04/2016, dep. 08/07/2016), n.14052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12464/2014 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in BARI, VIA DEL

TRITONE 102, presso lo studio dell’avvocato VITO NANNA,

rappresentato e difeso dall’avvocato VITO VOLPE, giusta procura

speciale ai margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.G.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 439/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI del

14/3/2013, depositata il 26/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’11/04/2016 dal Consigliere Dott. Relatore ANTONINO SCALISI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 23 aprile 1998 M.G. e G.F. (nella qualità di procuratore generale di T.G. F.) sottoscrivevano un contratto preliminare di compravendita, con il quale M.G. prometteva di acquistare da G.F. nella qualità l’intero primo piano del fabbricato in (OMISSIS) ed un piccolo locale interno ad uso deposito convenendo un corrispettivo di Lire 110.000.000 di cui Lire 15.000.000 venivano versate a titolo di caparra confirmatoria al momento della sottoscrizione del preliminare e il saldo sarebbe stato corrisposto contestualmente alla stipula del definitivo, che sarebbe stato curato dal notaio Carla Pepe, entro il termine essenziale del giorno 20 luglio 1998. Le parti davano atto che l’immobile di cui si dice era detenuto dal M. e che nei confronti di questi il Pretore di Bari aveva pronunciato provvedimento di convalida di sfratto ed ordinato il rilascio entro il 18 febbraio 1998.

Con atto di citazione del 21 aprile 1999 T.G.F. conveniva in giudizio M.G., chiedendo la risoluzione dl contratto preliminare di cui si dice per esclusiva colpa del M. perchè questi non si sarebbe presentato il 20 luglio 1998 davanti al notaio e non si sarebbe neppure presentato il 15 dicembre 1999 dello stesso, pur avendo ricevuto diffida a mezzo raccomandata.

Si costituiva M. deducendo di non essere responsabile del mancato perfezionamento dell’atto pubblico, e che l’atto definitivo non era stato perfezionato per fatto del terzo, chiedeva il rigetto della domanda.

Nel corso dell’istruttoria veniva escussa quale teste il notaio Pepe, la quale affermava che conosceva bene la vicenda M. –

T., ma non sapeva specificare se il 15 dicembre del 1999 qualcuna delle parti fosse intervenuta nel suo studio per sottoscrivere l’atto pubblico di compravendita.

Il Tribunale di Bari con sentenza n. 663 del 2007 rigettava la domanda di risoluzione, osservando che la parte non aveva dato la prova del colpevole comportamento del convenuto; dagli atti di causa emergeva che, quantomeno entrambe le parti avevano mantenuto un atteggiamento di indifferenza e di disinteresse alla stipula.

La Corte di Appello di Bari, su appello di T.G.F. ed a contraddittorio integro, con sentenza n. 439 del 2014 riformava la sentenza del Tribunale, dichiarava la risoluzione del contratto per inadempimento grave del M., compensava i crediti tra le parti (dovuti o a titolo di penale o a titolo di caparra confirmatoria) condannava M. a rilasciare l’immobile in favore di T. e al pagamento della somma 7.436,98 per canoni scaduti, nonchè al pagamento delle spese del giudizio. Secondo la Corte di Bari, la domanda fondata su allegazione di inadempimento del convenuto era stata espressamente formulata, ai sensi dell’art. 1453 c.c., del quale ricorrevano i presupposti e il convenuto non aveva dato prova della mancanza di colpa nell’inadempimento dell’obbligo assunto con il contratto preliminare la gravità dell’inadempimento poi era desumibile dalla gravità dal fatto che la compravendita poneva rimedio alla pronunciata risoluzione del rapporto locativo perdurante per più di un anno.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da M. G. con ricorso affidato ad un motivo. T.G. F., intimato, in questa fase non ha svolto attività giudiziale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unico motivo di ricorso M.G. denuncia la violazione degli artt. 1460 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare anche l’inadempimento dell’attore, che allorquando il convenuto in risoluzione resiste all’avversa pretesa, eccependo inadimplenti inadimplendum, spetta alla parte attrice l’onere di neutralizzare l’eccezione, provando il proprio adempimento o la non ancora matura esigibilità di questo. In buona sostanza, la Corte di appello, secondo il ricorrente, non avrebbe applicato correttamente alla fattispecie la normativa di cui all’art. 1460 c.c. e avrebbe svincolato l’attore (promittente venditore) da un onere probatorio a suo esclusivo carico, quello di dimostrare il proprio adempimento o, quantomeno la propria ferma volontà d’adempiere alle proprie obbligazioni.

1.1.- Il motivo è inammissibile per novità dell’eccezione di inadempimento del T. secondo il principio inadimplendi non est adimplendum ex art. 1460 c.c. e sia perchè l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui “il convenuto non ha mai allegato l’inadempimento dell’attore all’obbligo di comparizione nello studio notarile per la sottoscrizione dell’atto pubblico, sì da invertire l’onere probatorio” non è stata censurata. Va osservato che la questione sollevata relativa all’eccezione inadimplendi non est adimplendum (cioè il giustificare il proprio inadempimento con l’inadempimento dell’altra parte) non risulta trattata nella sentenza impugnata, sicchè la ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità della censura in quanto nuova, aveva l’onere, in realtà non assolto, di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, indicando, altresì, in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde consentire a questa Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare, nel merito, la questione stessa.

Piuttosto, la Corte distrettuale ha deciso la questione in esame correttamente, applicando un principio dalla stessa richiamato, costantemente affermato da questa Corte di cassazione (da ultimo Cass. n. 826 del 20/01/2015) quello secondo cui: in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poichè il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche quando sia dedotto l’inesatto adempimento dell’obbligazione al creditore istante spetta la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell’esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione. E, come, ha evidenziato la Corte distrettuale nel caso in esame, il M. (convenuto) ha semplicemente addotto a giustificazione del suo inadempimento (non già l’inadempimento della controparte (del sig. T.), ma il fatto del terzo, ossia l’indisponibilità del notaio alla stipula dell’atto e le personali difficoltà a presenziare del funzionario dell’Istituto di credito, che avrebbe rogato il mutuo per il pagamento del saldo. Circostanze, comunque, che non sono state provate dal deducente.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere al regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione, dato che T.G.F., intimato, in questa fase non ha svolto alcuna attività giudiziale.

Il Collegio, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e dichiara che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera del Consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2016

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